INTRODUZIONE
a cura di Enrico Larghero
Più studiamo il cervello – affermano molti medici neurologi – e meno lo conosciamo. Questo pensiero rende comprensibile a tutti quanto siano complesse la funzionalità cerebrale e l’elaborazione dei pensieri.
Tuttavia qualche timido bagliore emerge dall’oscurità. Un contributo significativo, senza facili nazionalismi, è stato dato da due scienziati italiani, il primo è Camillo Golgi (1843-1926), Nobel della Medicina nel 1906 grazie alle sue ricerche sulle cellule nervose, attraverso metodi e tecniche rivoluzionarie. Più recentemente la torinese Rita Levi Montalcini (1909-2012) Nobel per la Medicina ne1 1986. La ricerca che l’ha resa famosa è quella dell’NGF, il Nerve Growth Factor, il fattore di crescita delle cellule nervose. Sono queste due tappe miliari per la nascita e lo sviluppo delle Neuroscienze, disciplina in grado di elaborare una nuova prospettiva per lo studio del cervello umano.
Santo LEPORE, ingegnere, teologo morale e esperto della materia, ci accompagna con alcuni interventi alla scoperta del misterioso mondo della psiche umana, tra scienza, fede ed etica.
La funzione del cervello
È un organo completamente protetto da una teca cranica ed è fatta di una serie di sottostrutture chiamate lobi, di cui ognuna sottende una specifica funzione: il movimento, la sensibilità, la visione, la memoria.
Essenzialmente il cervello svolge tre funzioni principali:
- decodifica, interpreta la realtà circostante
- riesce a farci muovere, farci produrre linguaggio comprensibile da altri e grazie a questo noi possiamo modificare la realtà che ci circonda
- garantisce le interazioni sociali, fa sì che ognuno di noi è oggetto per un altro soggetto e viene da esso definito, giudicato.
Come dei semafori cerebrali (Brain Traffic Light), i circuiti della corteccia cerebrale frontale abilitano il cervello a decidere quando iniziare un’azione e quando iniziare un pensiero e quando terminarlo. E grazie a questa funzione il cervello guida il nostro comportamento. Una guida per la nostra personale ricerca di felicità, per la personale ricerca di uno scopo, e tramite questo tende alla preservazione della specie e alla trasmissione del nostro codice genetico nel tempo.
La “nostra” memoria: il suo rapporto con il tempo
La cosa particolare è che il cervello per guidare il nostro comportamento, per guidare le nostre decisioni, deve pescare informazioni da quello che viene chiamato: engram amnesico ― non è altro che tutta una serie di modificazioni dei nostri circuiti cerebrali che avviene a seguito dell’esperienza, e altro non è che la memoria.
La memoria ha uno stretto rapporto con il tempo. Il nostro essere immersi nell’ambiente circostante, con lo scorrere del tempo abbiamo la trasformazione plastica dei nostri circuiti, a seguito dell’esperienza e a seguito dell’imprimersi nella memoria del nostro cervello.
Un viaggio tra i ricordi
Il ricordare è come un vero e proprio viaggio nel tempo, perché quando noi ricordiamo, vi attiviamo tutto quell’insieme di cellule cerebrali che si erano attivate al momento in cui la memoria veniva impressa, veniva codificata; quindi, di fatto noi torniamo con la nostra mente al momento in cui quella memoria si è impressa nella nostra vita.
Fino alla fine del 1800 non si sapeva quali fossero i meccanismi attraverso cui la memoria veniva impressa nei nostri circuiti. Ora sappiamo che abbiamo delle costellazioni di neuroni che interagiscono tra di loro, ma interagiscono anche con tutta un’altra serie di elementi cellulari cerebrali: astrociti, microglia che ne mantengono ferma la struttura e ne garantiscono un’adeguata funzione.
Costellazioni di neuroni ― network di neuroni ― che sono collegate da mappe di sinapsi. Quando le sinapsi si potenziano grazie alla memoria, i neuroni ricevono una potenza di connessione maggiore, la loro eccitabilità aumenta e si creano delle costellazioni che si accendono e si spengono nel tempo e grazie a questo fenomeno di cellule neuronali (insieme di cellule neuronali connesse alla nostra corteccia cerebrale) noi evochiamo di fatto il ricordo.
Questo tipo di meccanismo è molto importante: le nostre memorie si dividono in memoria di ciò che ci è successo (episodi della nostra vita) che sono le memorie episodiche; le memorie del significato delle cose che sono le memorie semantiche (il significato di un oggetto). E come se vi fosse un mare in cui queste memorie sia episodiche, sia semantiche vanno alla deriva: un flusso di informazioni che è il nostro pensiero spontaneo, la nostra immaginazione.
Quindi, bisogna immaginare che il flusso di pensiero che noi costantemente creiamo nel nostro cervello e che ci permette di tenere concentrata l’attenzione sul circostante, ci permette anche ogni secondo di immaginare qualcosa che può succedere o può non succedere mai. È vero che è il frutto di quello che succede in quel momento, ma è anche il frutto del nostro passato; quindi, la memoria condiziona anche il nostro pensiero e quello che ci succederà.
Il suo ruolo tra passato e futuro
E altrettanto importante, oltre che ricordare, avere la capacità di cancellare le tracce di memoria. Si può essere portati a pensare che il sistema di memorie ideale sia quello che garantisce la massima persistenza, la massima fedeltà nel tempo, ma così non è. Perché un sistema non può potenziarsi in continuo, deve avere una sua omeostasi, un suo equilibrio, e per poter ricordare bene delle cose si deve cancellarne e depotenziarne delle altre. Questo è il motivo per cui cancellare delle tracce di memorie è importante così come ricordarle.
Non si sa in neurobiologia ancora se veramente quello che viene cancellato non c’è più oppure se è semplicemente non più rievocato. Non sappiamo neanche i meccanismi di preciso della cancellazione delle tracce di memoria, forse è un indebolimento della sinapsi, forse è una vera e propria distruzione della sinapsi.
Quello che sappiamo è che la capacità di cancellazione delle tracce di memoria è molto importante per ricordare meglio, ma anche perché molte tracce di memoria sono di fatto tracce che possono essere anche dolorose e che non dobbiamo e non vogliamo rievocare, perché già come intuì Sigmund Freud alla fine del 1800, alcune memorie dolorose possono imprimersi nei nostri circuiti cerebrali, venire fuori quando un qualsiasi stimolo esterno, anche scollegato, ce le ricorda, e sottendere anche patologie psichiatriche.
Quindi, alla luce di quanto detto possiamo dire che:
- la memoria condiziona il nostro passato, perché come disse il neuroscienziato Eric Kandel: «la memoria è la colla che tiene insieme i frammenti della nostra vita, e senza la memoria saremo senza speranza e non avremmo uno scopo nella nostra esistenza».
- la memoria condiziona il nostro futuro perché il flusso di pensiero spontaneo che noi generiamo viene ripescato continuamente da un mare alla deriva di ricordi che sono sia quelli che noi apparentemente teniamo a mente, sia quelli che forse non abbiamo mai cancellato o che abbiamo cancellato definitivamente.
© Bioetica News Torino, Aprile 2022 - Riproduzione Vietata