Nel mondo della medicina, sempre più spesso avviene che il medico si trovi a dovere affrontare, nella casistica professionale, situazioni operative che richiedono decisioni di interventi terapeutici che si collocano sul delicato e sfumato confine dell’etica. L’ambascia della decisione più opportuna sta creando il bisogno di disporre di criteri clinici che consentano di operare in coerenza con i valori sostanziali della vita e del rispetto della persona umana. E al fine di rispondere a questa forte esigenza di chiarezza nell’ambito dell’etica della vita, che peraltro tende a coinvolgere sempre di più la coscienza collettiva e non soltanto in ambito sanitario, l’allora Arcivescovo Cardinale Severino Poletto, circa sei anni fa, ritenne opportuno sperimentare una nuova iniziativa nell’ambito dell’Arcidiocesi torinese istituendo il «Centro Cattolico di Bioetica» con il seguente atto:
premesso che la bioetica e l’etica medica sono materie particolarmente delicate, le quali richiedono un serio impegno di formazione e un costante lavoro di verifica alla luce dei principi espressi dalla dottrina della Chiesa cattolica,
considerato che nell’Arcidiocesi è in atto un movimento d’opinione da cui non poche persone – operatori sanitari e non – sono coinvolte con durevole attenzione,
valutate le proposte operative emerse nel merito da parte di volontari direttamente interessati all’ambito bioetico,
con il presente decreto costituisco nell’Arcidiocesi di Torino il «Centro Cattolico di Bioetica» con sede in Torino via XX settembre n. 83 e ne approvo ad experimentum per un quinquennio il regolamento nel testo allegato al presente decreto di cui fa parte integrante.
Dato in Torino, il giorno 15 del mese di agosto – solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria – dell’anno del Signore duemilasette, con decorrenza immediata.
+ Severino Card. Poletto Arcivescovo Metropolita di Torino
Come riportato nell’atto ufficiale cardinalizio, l’istituzione di un Centro per lo studio e la diffusione della bioetica nasceva dunque, con un carattere sperimentale, con l’intento di dare risposte al crescente bisogno di orientamento sui giudizi e sulle scelte in merito ai molti problemi connessi con la vita fisica e la pratica della medicina sollevati dal grande e inarrestabile sviluppo della scienza e della tecnologia. Bisogno che appariva sempre più affermarsi non soltanto nel mondo sanitario, ma nel contesto generale della società.
La bioetica, ufficialmente introdotta nel mondo delle discipline umane nel 1970 dall’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter, cui viene attribuito per questo anche il merito di fondatore, trova il suo riferimento nel tema sostanziale del rapporto tra il binomio “sapere e potere” da un lato, e il senso della vita dall’altro, e nasce proprio allo scopo di istituire il concetto di “limite” che serve a stabilire la “misura” dell’azione di quel binomio. Vengono dunque messi in rilievo sia il significato ontologico dell’uomo sia la legittimità dell’azione dell’uomo sull’uomo.
Van Rensselaer Potter
Nell’idea del fondatore, la bioetica rappresenta il tentativo di sanare il conflitto, o quanto meno la separazione, tra la scienza dello spirito, ambito tradizionalmente appartenente alla riflessione etica sui valori umani e sulle caratteristiche ideali dell’azione dell’uomo, e la scienza della natura; nella traduzione più esplicita: il confronto tra la medicina e la biologia da un lato e la filosofia, la teologia, il diritto, l’economia, la psicologia e l’ecologia dall’altro.
In verità, il tema della vita e della sua tutela è costantemente presente nella storia dell’umanità. Se dunque è storicamente antico, nell’ambito della filosofia, della teologia e del diritto, un interesse per i problemi connessi con la vita fisica, ci si deve allora chiedere per quale motivo, nei tempi moderni si sia avvertito il bisogno di creare una nuova disciplina proprio per garantire la tutela della vita stessa e affidarla alla pratica della medicina.
La risposta sta nei molti avvenimenti che hanno caratterizzato il secolo scorso, come lo sviluppo sempre più rapido e sempre più potente del progresso scientifico, la percezione dei rischi di esposizione dell’intera umanità a iniziative sperimentali incontrollate, la continua crescita dell’offerta tecnologica, l’osservazione dei gravi fenomeni che stavano dominando la stessa umanità e l’ambiente, attraverso uno smodato sfruttamento della natura, la produzione di rifiuti tossici con i relativi problemi di smaltimento, la capacità distruttiva sempre più sofisticata dei conflitti bellici, la possibilità di realizzare progetti biologici fortemente innovativi dischiusi dalla scienza biomedica, in particolare dallo sviluppo della genetica.
E dunque la spinta che sollecita Van Potter nasce da un sentimento collettivo di preoccupazione nei confronti di una realtà generata da un progresso tecnico-scientifico non soltanto orientato al miglioramento delle condizioni della vita umana, ma pericolosamente incontrollato proprio perché affidato alla mercè dell’uomo e alle sue pulsioni.
Va ricordato che i risultati della scienza non hanno in sé un loro naturale orientamento verso un certo tipo di uso, che è invece affidato al libero arbitrio dell’uomo, alle sue inclinazioni spirituali o ideologiche, oltreché, spesso, anche ai suoi interessi. È dunque l’uomo che, decidendo il modo d’uso dei mezzi della scienza e della tecnologia, ne orienta il senso e la valenza, con l’effetto di porre a rischio la stessa sopravvivenza dell’umanità, come la storia recente, in particolare dalla seconda metà del secolo scorso, ha tragicamente evidenziato.
La velocità esponenziale con cui avanza il progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche, soprattutto in campo biomedico, costituisce il vero elemento che, oltre a stabilire l’orizzonte della bioetica, ne dispiega anche i suoi vari aspetti che si estendono dalla biologia alla medicina, per includere l’ambito filosofico, teologico, giuridico, evidenziandone così il carattere di multidisciplina.
E dunque nell’orizzonte della bioetica è insito il compito illimitato di dare risposte continue agli interrogativi che l’evoluzione scientifico-tecnologica pone, in particolare per ciò che concerne le loro possibili applicazioni alla vita, in particolare alla vita umana. Interrogativi che possono riassumersi nell’ormai classica formulazione dell’interrogazione espressa dal pontefice Giovanni Paolo II nel Donum Vitae: «Quanto è tecnicamente possibile è anche eticamente lecito?».
Ed è proprio in questo quadro che nel mondo della medicina si sta affinando sempre di più la sensibilità morale di dover definire gli spazi di legittimità dell’azione a fronte dei processi con cui la nuova cultura scientifico-tecnologica si appresta a investire sempre di più la vita umana.
© Bioetica News Torino, Marzo 2013 - Riproduzione Vietata