Vorrei ricordare alcuni volti della sofferenza che abitano la nostra società contemporanea e che fanno appello alla nostra solidarietà e alla nostra coscienza.
In un messaggio per una Giornata Mondiale del Malato Papa Francesco scrive:
La sofferenza è insopportabile quando è vissuta nella solitudine e quando si è esclusi dalla solidarietà del prossimo.
Per questo hanno il volto della sofferenza anzitutto uomini e donne vittime dell’egoismo umano fino a diventare scarto.
“Vite non degne di essere vissute” ci fa pensare in particolare agli anziani non autosufficienti (in Italia 3,5 milioni) o affetti da malattie neurodegenerative che si prolungano nel tempo.
L’aumento dell’età media e della speranza di vita, obiettivo perseguito con forza, viene però accompagnato da un notevole sviluppo delle malattie neurodegenerative, senza che ci sia altrettanta presa in carico dei soggetti. La crisi antropologica, denunciata dal Santo Padre nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, è all’origine di una visione efficientista dell’esistenza che non assicura una vita di qualità alle persone, qualsiasi sia la loro condizione clinica o di disabilità, ma persegue una qualità di vita che, non di rado, poco risponde alla verità dell’uomo. Penso al disagio e alla solitudine di tante famiglie che hanno in casa una persona ammalata.
Dall’egoismo − elevato a pensiero, a cultura, a mentalità − nascono le ingiustizie sociali e ogni forma di miseria. L’egoismo umano e, detto in un linguaggio teologico, il peccato, causa sofferenza sociale, genera poveri e ingiustizia.
San Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis (n. 36) parla di “strutture di peccato” costruite dal cumulo di egoismi personali (e dunque responsabili). Sono luoghi dove si palesano gli effetti del peccato e dell’ingiustizia. Quanta fatica, poi, fanno oggi le istituzioni che ospitano persone con disabilità gravi (quando le fanno ancora nascere) soggetti che sono economicamente impegnativi da sostenere nella loro assistenza e cura, ma che non hanno altre risposte alla loro lecita domanda di esistere.
Il taglio delle risorse destinato a questo settore (da 1 miliardo a 250 milioni in dieci anni) è continuo e preoccupante.
Penso anche alla crescente difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie per quanti sono indigenti come pure alla disparità nell’offerta di cure sanitarie nel nostro paese. Curarsi nel Sud Italia è molto più difficile, le strutture sanitarie e assistenziali sono insufficienti e in numero notevolmente inferiore a quelle del Nord. E questo sta provocando un peggioramento della salute, soprattutto quella dei poveri. I presidi sanitari, anche di ispirazione cristiana, sono tutti concentrati in zone economicamente più agiate: dal Sud occorre prendere l’aereo, magari organizzato da organizzazioni multinazionali dell’assistenza sanitaria, e andare a cercare altrove luoghi capaci di offrire cure adeguate.
I viaggi della speranza! Così alla fatica della malattia, per molti si aggiunge la difficoltà di farsi curare. Al disagio di avere poche risorse economiche si aggiunge la fatica di sopravvivere.
Non dimentichiamo anche il grave problema dell’assistenza domiciliare, della quale non hanno bisogno solo gli anziani. Si parla di continuità assistenziale tra presidi ospedalieri e territorio, anche per malati gravi − oncologici per esempio − ma anche questa tarda a venire. L’Istituto Superiore di Sanità ci dice che nel 2050 avremo praticamente un malato per ogni persona sana. La questione dunque è seria. Sono nuove situazioni che sfidano la solidarietà umana, la giustizia sociale e, non ultima, la carità cristiana.
Altro “volto” che abita le nostre città è quello della sofferenza psichica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne parla in termini di situazione di emergenza, facendo notare come stia salendo nella graduatoria, ai primi posti tra le cause di morte. Come non ricordare anche l’emergenza dei giovani feriti dalle ludopatie e da nuove dipendenze o dal gioco di azzardo patologico, stimato in Italia in 800.000 casi. Tutto questo non può che essere causa di ulteriore disagio per una istituzione tanto fondamentale quanto fragile come è la famiglia.
Sul territorio nazionale si moltiplicano le vittime del crescente divario tra ricchezza e povertà, e di nuovi e disattesi bisogni di cura. Accenno soltanto alla questione dei migranti. Non abbiamo il tempo per affrontare come merita il problema. Il dovere dell’accoglienza di fratelli disperati (impegno che deve vedere impegnata l’intera Europa) ci fa guardare alla loro sofferenza con gli occhi della misericordia.
Se è un falso mito pensare che gli immigrati portano malattie, preoccupa l’aumento della sofferenza psichica causata dai forti traumi vissuta da questi nostri fratelli. E questo chiede la nostra solidarietà e la nostra vicinanza.
Ho voluto accennare solo ad alcuni ambiti, nella coscienza di averne tralasciati molti altri. D’altronde non c’è stagione della vita che non conosca il patire e dunque, non c’è situazione esistenziale che non ci chieda di essere accompagnata dalla nostra solidarietà. I Vescovi italiani hanno indicato come prioritario l’impegno educativo. La malattia, la povertà, la disabilità grave non sono esorcizzate e ignorate solo perché costose, ma anche perché la dimensione notturna della vita è “culturalmente scomoda”.
Cosa c’è dietro il crescente malessere esistenziale e all’aumento delle persone depresse e tristi per le quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità è così preoccupata? Ci sono solo fattori economici? Non mi pare. Forse occorre una seria riflessione su quali valori sono capaci di dare senso e pienezza di vita all’esistenza umana.
L’antropologia è una scienza umana importante, forse la più determinante a orientare scelte etiche e sociali. I modelli antropologici di riferimento, sono decisivi, basta pensare alla nota distinzione tra persona e essere umano per capire la gravità di certe argomentazioni. In un rinnovato e sinergico sforzo educativo e culturale, occorre aiutare la comunità a guardare alla storia e al suo protagonista principale, l‘uomo, con l’infallibile occhio della fragilità, della sofferenza e della morte. È lo sguardo più sicuro, capace di curare deliri di onnipotenza e di immortalità e contribuire all’umanizzazione della cura, della cultura e di ogni relazione interpersonale.
Il mondo della sofferenza ha bisogno di testimoni della speranza.
Anche qualora non potremo risolvere i problemi, come sovente accade, sempre potremo farci compagni di viaggio delle persone fragili.
Scrive Papa Francesco:
Il nome di questa luce e di questa speranza è Gesù Cristo, che ci spinge con la sua carità verso i volti umani delle persone che soffrono! Solo così potremo annunciare con credibilità l’Amore, quell’amore che genera uomini nuovi e nuove comunità.
© Bioetica News Torino, Ottobre 2019 - Riproduzione Vietata