VITA PRENATALE: INIZIO DI UN VIAGGIO1
Introduzione
Interazioni materno-fetali
di Giorgio Palestro*
Un cordiale saluto a nome del Centro Cattolico di Bioetica e mio personale e un sentito ringraziamento ai relatori, specialmente a chi è venuto da lontano, per aver dato la loro disponibilità ad affrontare un tema culturalmente molto avanzato ed eticamente molto delicato.
Il tema che caratterizza l’incontro di oggi riguarda la complessa questione delle interazioni che occorrono tra il corpo materno e il corpo dell’embrione e del feto durante la sua vita intrauterina.
Il tema è assi ricco di aspetti: biologici, filosofici, teologici, giuridici e morali. Fra tutti, le realtà biologiche, oggi palesi, costituiscono elementi di base irrinunciabili per comprendere gli intricati rapporti materno/feto-embrionale. Infatti, proprio gli studi scientifici sulla biologia di questi rapporti hanno fornito contributi di conoscenza che hanno condotto a certezze ormai consolidate nel contesto della comunità scientifica.
È ormai scientificamente ben definito che dalla singamia, cioè dalla fusione dei gameti umani materno e paterno, nasce una nuova cellula, lo zigote con un nuovo corredo cromosomico, maschile o femminile e che include un nuovo corredo genetico.
Ed è proprio questo impianto genetico che conferisce alla nuova cellula, fin dall’inizio, un’identità nuova, unica e specifica e che verrà mantenuta per tutta la vita, gravidica e post-gravidica.
E anche nei casi in cui il genotipo, cioè l’individualità genetica, non esprime una unicità assoluta, come avviene nei gemelli monozigoti, tuttavia il fenotipo, che costituisce l’identità organismica, cioè ciò che noi siamo, sul piano fisico, psicologico, organico etc. in ogni fase del ciclo vitale, è assolutamente unico e irripetibile.
Il motivo è spiegato molto efficacemente dal biologo professor Roberto Colombo, professore di Biologia Generale e Bioetica presso l’Università Cattolica di Milano:
«Il fenotipo è infatti determinato dall’interazione di due variabili tra loro indipendenti: il genotipo, espressione del genoma, e l’ambiente, somma di tutti i fattori estrinseci all’espressione del genoma, ma che esercitano all’interno o all’esterno dell’organismo umano un’influenza fisica, chimica, biologica e psicologica o culturale. L’eventuale identità del primo fattore (genotipo), come nel caso dei gemelli monozigoti geneticamente identici, non annulla le variazioni ambientali interne ed esterne che sopravvengono nel corso dei distinti cicli vitali dei gemelli, rendendo così impossibile una completa uguaglianza fenotipica».
Nell’idea di “variazioni ambientali” il concetto di ambiente non si limita soltanto all’“habitat”, ma include l’intero mondo delle relazioni che traduce, fin da allora, gli infiniti stimoli fisici, psicologici, emotivi, di gioia così come di dolore, di sofferenza, di benessere o dell’opposto, che si concentrano sulla madre durante tutta la vita intra-uterina e che si trasferiscono al concepito mediante influenze fisiche, chimiche, organiche, istologiche… Meccanismi ambientali che poi, nella vita successiva, agiranno direttamente sul vivente.
Questa è la forma più precoce della cosiddetta “epigenesi”.
Il termine “epigenetica” fu coniato nel 1942 dal biologo Conrad Waddington e consiste nell’intreccio tra i geni e i meccanismi molecolari mediante i quali l’ambiente modula l’attività funzionale dei geni, attivando o disattivando alcune funzioni, senza tuttavia modificare le sequenze di DNA, modificazioni che sono ereditabili poiché possono trasmettersi alle generazioni cellulari successive.
La questione dell’epigenesi precoce è un punto su cui insisto ancora citando il pensiero del professor Giuseppe Noia:
«[…] nella precarietà dei sistemi relazionali del nostro tempo ci si accorge, quasi con stupore, che l’essere umano è relazionato fin da subito e che, addirittura, una relazione biologica/biochimica/ormonale è alla base della sua entrata nell’esistenza[…] e ci stimola a riconsiderare la verità ontologica della persona umana».
Di fronte a questa realtà si impone la necessità di una valutazione comparativa tra la condizione che riguarda l’embrione intra-materno, fin dalla sua prima cellula e fin dall’inizio della sua vita, con i relativi rapporti fisiologici di interazione che ne conseguono, e quella dell’embrione asportato, eventualmente anche manipolato, e conservato per congelamento. È dunque evidente che l’embrione asportato e crioconservato sarà privato di quel complesso mondo relazionale che sappiamo esistere nei rapporti tra madre e figlio nella vita intrauterina fin dalla sua prima cellula.
Personalmente, credo che le decisioni che provengono dall’ambito giuridico, come è accaduto di recente, non debbano essere orientate a un allineamento alle decisioni assunte da altri Paesi, considerando retrogrado rimanere distinti su posizioni diverse. Si tratta, infatti, di decisioni che colpevolmente prescindono dalla realtà biologica, con la quale non è stato preso neppure in considerazione il confronto, con la conseguenza di escludere anche gli inevitabili risvolti bioetici che ne derivano.
L’assenza di questo passaggio di confronto, porta inevitabilmente agli episodi che hanno caratterizzato la cronaca più recente e che hanno messo in evidenza i rischi che derivano dall’inevitabile, per quanto rara, evenienza dell’errore umano, come ad esempio, gli scambi di embrioni.
Ritengo che in questo genere di materia, si debba evitare in modo assoluto la possibilità, anche se remota, che si verifichi l’errore umano. Ma poiché l’errore umano è connaturato con la sua fallacità ed è quindi intrinseco nella sua azione, ritengo, dunque, non soltanto opportuno, ma essenzialmente doveroso evitare che si creino le condizioni perché tale errore si possa realizzare.
Senza contare, come giustamente fa notare il ministro Beatrice Lorenzin che:
«Ci sono alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica, ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l’anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e il diritto di chi nasce da queste procedure a conoscere le proprie origini e la rete parentale come fratelli e sorelle».
Per non dimenticare – aggiungerei infine – il rischio che si apra una vero e proprio commercio, con una corsa a offrire gameti. Il che richiederebbe attentissimi controlli per escludere che esistano affezioni di vario genere, incluse quelle legate a stili di vita impropri.
* Giorgio Palestro
Professore ordinario Emerito di Anatomia e Istologia Patologica e già Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Torino
Presidente del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino
1 Convegno dal titolo «Vita prenatale: inizio di un viaggio», organizzato e promosso dal Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino, svoltosi sabato 14 giugno presso la Sala Perazzo del Centro Congressi Santo Volto di Torino, in via Nole 3. Accreditato Ecm per tutte le professioni sanitarie. Segreteria scientifica: Enrico Larghero. Del convegno pubblichiamo gli interventi dei relatori Giorgio Palestro, Clementina Peris, Gino Soldera e don Mario Rossino, a cura della rivista «Bioetica News Torino».
La locandina dell’evento
© Bioetica News Torino, Luglio 2014 - Riproduzione Vietata