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62 Ottobre 2019
Numero Speciale I volti della sofferenza

I diversi volti della sofferenza mentale

Il dolore emotivo e il dolore fisico

Parlare del dolore da un punto di vista psicologico implicitamente allude ad un riferimento tra una separatezza tra una componente fisica ed una psichica della sofferenza. Il dolore è però spesso una espressione composita di molteplici elementi. Pensando al dolore fisico, certamente possiamo individuare dei meccanismi fisiopatologici che stanno alla base della sua percezione e dall’altra parte riusciamo a distinguere l’esperienza emotiva del dolore rispetto ad una fonte collocata nell’organismo. Tuttavia riproporre una scissione antinomica tra queste due componenti non aiuta a comprendere la complessità di questa esperienza che caratterizza costantemente la nostra vita sia quando possiamo vivere una condizione di dolore sia quando la evitiamo, anche se in modo spesso non consapevole.

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Dr Augusto CONSOLI, Neuropsichiatra al Convegno I volti della sofferenza – Bioetica News Torino F. D’Angelo

Il collegamento tra i due tipi di sofferenza fisica e psichica, peraltro, è osservabile anche quando il dolore e soprattutto mentale ed emotivo ed il nostro corpo è apparentemente sano. Anche in quel caso però l’indissolubile interdipendenza tra queste aree determina spesso la comparsa di un dolore e una sofferenza anche fisica a causa del dolore mentale.

La sofferenza mentale può essere legata agli eventi della vita che arrivano dall’esterno indipendentemente dai comportamenti e dalle caratteristiche del soggetto che ne è coinvolto. Gli eventi dolorosi possono non solo causare un dolore nel periodo in cui agiscono verso l’individuo ma, a seconda del loro significato, possono determinare dei processi psicopatologici che finiscono con l’alimentare una prolungata sofferenza al punto da sviluppare una vera e propria condizione di malattia. È questo il caso che si verifica quando l’evento è costituito da un trauma. Quest’ultimo non può essere definito in modo univoco e oggettivo, infatti il valore traumatico di un’esperienza dipende da come soggetto lo ha interpretato, dalle sue reazioni, dal supporto che la persona può avere nel momento critico e nel tempo successivo. Se l’evento doloroso già fonte di sofferenza acuta viene incorporato come un trauma, queste potranno sperimentare una serie di problematiche psicopatologiche e sintomatologiche che costituiscono l’ampia gamma di disturbi compresi nel Disturbo post traumatico da stress (PTSD).

Vi è inoltre un dolore mentale che può derivare da problematiche psicopatologiche che nascono dal mondo interno del soggetto, spesso del tutto indipendenti da quanto avviene nel conteso ambientale. Tra queste possiamo pensare ad un’ampia gamma di problematiche psicopatologiche che possono determinare una sofferenza depressiva, oppure una sofferenza legata alla perdita di identità e di coerenza nel proprio pensiero in relazione con la realtà, o una gamma di disturbi che rende difficile l’adattamento alle regole sociali e ambientali.

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Aula Magna, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – sezione parallela di Torino, Convegno I volti della sofferenza, Relatori Tavola rotonda: da sinistra dr Ferdinando GARETTO Medico oncologo palliativista, Monsignor Marco BRUNETTI Vescovo diocesi di Alba e responsabile Pastorale Salute CEP – Tutela Minori, prof. Enrico LARGHERO Medico, teologo morale e bioeticista (moderatore Convegno), dr Augusto Consoli Medico neuropsichiatra, prof.ssa Clara DI MEZZA Teologo morale e dr Pier Paolo DONADIO, Medico anestesista – Bioetica News Torino F D’Angelo

Come viene accolta la sofferenza mentale

La presenza di disagio che coinvolga il piano emotivo o cognitivo di una persona può determinare, nei soggetti che si pongono in relazione con questa,  delle diverse posizioni emotive e comportamentali. Possono essere presenti atteggiamenti di minimizzazione o negazione dei problemi rilevati o, viceversa, atteggiamenti di accoglienza e riconoscimento della sofferenza. In una parte dei casi può essere presente disagio, delle preoccupazioni o un senso di inadeguatezza da parte delle persone che si trovano intorno a chi soffre di una malattia di origine mentale, aspetti che determinano distanza emotiva e relazionale. Queste diverse posizioni sono in parte collegate alla possibilità di identificarsi con la persona sofferente o ai timori che la sofferenza mentale provoca in ciascun soggetto.

Anche da un punto di vista scientifico, culturale e sociale i modi e gli strumenti per trattare la sofferenza mentale permettono di comprendere gli atteggiamenti emotivi e le posizioni concettuali che sono sottese.

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Convegno I volti della sofferenza. Prof. Giorgio PALESTRO, Preside Emerito Scuola Medicina Università degli Studi di Torino e Presidente Centro Cattolico di Bioetica Arcidiocesi di Torino – F. Bioetica News Torino

Dal punto di vista scientifico possiamo ad esempio osservare, ormai da molti anni, che con le diverse redazioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi Mentali, arrivato attualmente alla sua quinta edizione, la psicopatologia è stata svuotata e neutralizzata rispetto ai contenuti emotivi funzionali, ed è stato escluso quell’approccio che tende a dare un’idea più complessiva dei significati che i sintomi, e il dolore mentale, possono assumere nella storia del soggetto che ne è portatore. I vari disturbi sono articolati in liste più o meno coerenti di segni, sintomi e comportamenti la cui salienza è valutata non tanto in termini di significato ed economia esistenziale quanto nella numerosità e dei punteggi complessivi che si raggiungono con la presenza o assenza dei sintomi, indipendentemente da una considerazione qualitativa.

Fortunatamente, oltre questo approccio di carattere prevalentemente nosografico, esistono dei profili di lettura del disagio mentale molto diversi. In questi ultimi l’attenzione alla narrazione che il soggetto ha potuto costruire, il suo stato d’animo e il valore delle sue relazioni sono centrali e permettono di interpretare la sintomatologia e il disagio all’interno di una ricerca di significati e di identità della persona.

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Prof. Oreste AIME durante la conferenza «”Non distogliere lo sguardo”. Il male e la sofferenza nella riflessione filosofica» al Convegno I volti della sofferenza. È Docente di Filosofia della Religione, Filosofia Morale,  Logica e Filosofia del linguaggio alla Facoltà Teologica di Torino – Bioetica News Torino

L’impiego dei due approcci, quello nosografico e quello narrativo, sono collegati sia a prospettive culturali e professionali diverse sia a diverse sensibilità e capacità di vicinanza con la sofferenza mentale. Quando gli operatori della salute hanno competenza, sensibilità e formazione adeguata possono riuscire ad integrare i diversi compiti di rilevazione nosografica sia di accoglienza della persona, valutando la sua storia e sostenendone la ricerca di identità. È quindi possibile pur usando strumenti tecnici evitare di creare distanza con il paziente e perdere il valore della relazione d’aiuto. Questo punto di vista è supportato, dal punto di vista teorico, dall’approccio fenomenologico che tende a collocare i vari elementi esperienziali e sintomatici in una lettura fortemente orientata a porre il soggetto come interprete della sua storia e ad aiutarlo a comprendere i diversi aspetti della sua progettualità e della sua sofferenza.

Se da un punto di vista tecnico-professionale abbiamo intravisto alcuni rischi e alcune opportunità nel contatto con la sofferenza mentale, va considerato che da un punto di vista sociale è ancora presente un importante stigma rispetto alla malattia mentale. I diversi disturbi del pensiero, e in particolare i disturbi dissociativi, rappresentano ancora oggi un aspetto difficilmente integrabile nello sguardo che le molte persone hanno verso la società e verso quello che si ritiene il suo funzionamento normale, e sono collegate a preoccupazioni e angosce spesso difficilmente esprimibili. I disturbi depressivi di maggiore gravità possono provocare un senso di sconfitta rispetto alla ricerca di attivazione e vitalità che il contesto sociale esplicitamente ricerca.
I diversi disturbi sono collegati alla paura che possano derivarne comportamenti incomprensibili o pericolosi o al timore che la loro presenza possa contaminare in qualche modo anche i soggetti che, fino a qual momento, non hanno sofferenza mentale. La paura di essere contaminati dal disturbo mentale e lo stigma che ne deriva può determinare difficoltà nel sostegno alle relazioni con le persone con disturbi emotivi e mentali aumentando non solo il grado di sofferenza ma impedendo o rendendo difficili anche dei percorsi di guarigione riabilitazione. Anche in questo caso è possibile osservare la presenza di approcci diversi, che sottolineano l’importanza dell’inclusione e della vicinanza sia come valore di solidarietà sia di concreto supporto evolutivo e terapeutico.

La reciprocità e il riconoscimento reciproco come base di solidarietà ed inclusività

Parlare dei sentimenti che si provano per una persona portatrice di un disagio mentale ci rimanda ai processi e alla capacità di identificazione di ciascuno di noi con i problemi, i bisogni e la sofferenza dell’altro. Questo processo è basato su uno scambio tra i soggetti che, anche implicitamente e spesso inconsapevolmente, portano nella relazione aspettative e bisogni di aiuto, paure e sentimenti non facilmente razionalizzabili e identificabili. Essere sensibilizzati e preparati ad avvertire questi sentimenti può costituire uno strumento di grande valore sia per riconoscere aspetti e domande difficilmente traducibili in parole, ma anche la possibilità di rendere le relazioni tra le persone più profonde e caratterizzate da maggiore reciprocità nelle emozioni e nei pensieri.

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Convegno I volti della sofferenza, Facoltà Teologica Torino. Da sx dr Pier Paolo DONADIO Medico anestesista e prof. Enrico LARGHERO Medico, teologo morale e bioeticista

Un approccio che avvicini le persone in modo più autentico e profondo e renda più inclusive le dinamiche sociali può, anche nel caso della sofferenza mentale, costituire una modalità umana ed efficace per lenire la sofferenza, per indirizzare e sostenere percorsi evolutivi o per aiutare le persone e la collettività a convivere con essa anche quando i percorsi di guarigione sono difficilmente raggiungibili.

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