I diritti violati dell’infanzia nella guerra, nell’arruolamento a bambini soldato
12 Febbraio 2021La guerra lascia ferite profonde che si emarginano solo con il tempo. Ai bambini sottrae il tempo e la serenità dell’infanzia, privandoli di una vita quotidiana a cui hanno diritto a vivere, nel calore di un’abitazione e degli affetti familiari, nell’istruzione per costruire un futuro nella società. Causa loro solitudine, ansia, traumi psichici e fisici, fame, malnutrizione, menomazioni, perdita o lontananza dai genitori e purtroppo anche morte. L’innocenza e la dignità viene loro sottratta con un peso ancor più grave nella responsabilità quando diventano, in mano a carnefici, vittime di stupri, di sfruttamento da parte di forze o gruppi armati per combattere, cucinare, spiare, fare da staffetta o la guardia. Sequestrati, minacciati, forzati, manipolati o spinti dalla fame, dalla sopravvivenza o da un piatto per cui aiutare la famiglia, questi bambini sperimentano la più crudele forma di violenza che mette in serio pericolo tutto il loro essere messo dinanzi anche a far abuso di sostanze, ad una salute precaria e compromessa, a lavori pericolosi, a torture, nonché al rifiuto possibile di integrarsi nuovamente con i loro familiari o le loro comunità dopo il rilascio.
Il ritorno alla libertà per Sara, una bellissima bambina dopo l’esperienza di “bambina soldato”
Il loro calvario si acuisce al ritorno a casa, come accaduto per Sara, ora quindicenne, rapita per un anno, mentre si recava al mercato per vendere delle arance per essere addestrata ad usare fucile, machete e mine che maneggiò per poter vincere la paura di morire e imparò a saccheggiare per sopravvivere, a fare i lavori pesanti, come trovare legna e pulire nella boscaglia in cui fu portata con altri bambini, e subì violenza. Riesce a fuggire da quel luogo dove «la vita era brutta […] Non ci trattavano bene. Al campo ero molto spaventata», con lei altri bambini, ma costretta a rifugiarsi e vivere in boscaglia perché loro erano ricercati e non potevano mettere in pericolo la comunità. Sara e altri bambine e bambini come lei riuscirà ad avere la sua libertà dopo il rilascio formale nel 2019 dal gruppo armato. Una libertà che sta riacquistando pian piano, come ci racconta l’intervistatrice Helene Sandbu Ryeng (in Sara, rapita e costretta a combattere. Ora vuole una nuova vita, Unicef, 12 febbraio 2021) nella sua effettiva concretezza attraverso il cammino di sostegno ai suoi bisogni di prima necessità e psico-socio-educativo di tre anni messo a punto nel programma di reinserimento dell’Unicef. Sta affrontando la sua ultima tappa, quella istruttiva: «Sto andando a scuola, sono in P5 (scuola primaria). Quando sarò grande voglio lavorare per una ong che si occupa di cibo e costruire una bella casa per i miei nonni».
Dai dati della South Sudan Country Task Force on Monitoring and Reporting dal 2013 ad oggi sono circa 6mila bambini costretti a vivere in modo disumano come combattenti e più della metà con il sostegno della Commissione nazionale per il disarmo, la smobilitazione e il reintegro del Governo del Sud Sudan l’Unicef ha seguito il loro rilascio e reintegro affidandoli temporaneamente a strutture di accoglienza, dando supporto psicologico, sanitario, economico per il sostentamento e formativo.
L’impatto degli orrori a cui hanno assistito è indicibile. «Con frustrazione e impazienza chiedo a tutti i gruppi e le forze armati di interrompere il reclutamento e l’uso di bambini, immediatamente … Chiedo al Governo del Sud Sudan di destinare dei fondi e avviare l’implementazione del Piano di Azione contro tutte le sei gravi violazioni contro i bambini nei conflitti armati, firmato lo scorso anno», ha dichiarato Andrea Suley, rappresentante a.i. dell’UNICEF in Sud Sudan. Una voce che si fa eco e auspicio di una forte sensibilità in questa Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato. Le sei gravi violazioni condannate dal Consiglio di Sicurezza delle UN citate nella più recente risoluzione n. 2427 del 2018, la prima redatta nel 1999, si riferiscono a: arruolamento e uso dei bambini nel conflitto armato, la loro uccisione e menomazione, stupro e altre forme di violenza sessuale, sequestro dei bambini, attacchi alle scuole e ospedali e rifiuto di accesso umanitario ai bambini. Tale risoluzione sollecita gli stati membri a considerare misure alternative alla condanna e alla detenzione incentrate sulla riabilitazione e reintegrazione dei bambini precedentemente associati alle forze armate e ai gruppi armati considerando che la privazione della libertà dei bambini dovrebbe essere usata solo come ultima soluzione e per un periodo il più breve possibile. I bambini accusati di aver commesso crimini durante i conflitti armati devono essere trattati principalmente come «vittime di violazioni della legge internazionale».
Nel percorso che Sara sta facendo sono ancora incise le ferite. «Se non avessi vissuto questa esperienza, la mia mente sarebbe libera. Invece questo ricordo resterà per sempre dentro di me»: sono le parole di Sara, che possiamo comprendere, vedendo le immagini delle realtà vissute da altri che come lei hanno e sono state vittime dei conflitti armati impiegati come combattenti, immagini che prendono il posto nella loro mente di notte a quei sogni innocenti della loro infanzia. Eccole nel video Quando chiudo gli occhi… realizzato da Unicef Italia, il passato che intralcia il presente di un’altra ragazza, come Sara, del Sud Sudan, paese in cui dal 2020 è stato raggiunto un accordo di pace.
Impegno internazionale: prevenzione, rilascio, reintegro dei bambini nei conflitti armati
Joseph Borrell dell’Alta Rappresentanza dell’Unione Europea e vice presidente della Commissione Europea e Virginia Gamba della Segretaria generale di Rappresentanza speciale per i bambini e il conflitto armato spiegano il drammatico panorama odierno in cui «le forze armate e i gruppi armati continuano a reclutare e a impiegare bambini, strappandoli dalle loro famiglie e comunità, crudelmente scollando la loro dignità e distruggendo le loro vite e il loro futuro». Ne consegue che «purtroppo solo una frazione di quelli che vengono rilasciati beneficiano al momento dei programmi di reintegro. La mancanza di sicurezza impedisce migliaia di bambini dall’accedere ad un’istruzione di qualità e all’assistenza sanitaria mentre scuole e ospedali continuano a fare da bersaglio. Pur essendo vittime i bambini rimangono illegalmente sospettati e detenuti per la loro presunta o effettiva associazione con le milizie e i gruppi armati».
La pandemia dovuta alla diffusione del virus Sars-CoV-2 rende ancora più difficile il quadro odierno non solo in termini educativi dei bambini ma anche della prevenzione contro l’arruolamento inarrestabile dinanzi al crescere della povertà e della mancanza di opportunità. Occorre proteggerli: è una priorità. Insieme, spiegano i rappresentanti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite, condividono la volontà e l’impegno nell’assicurare che tutti i bambini, ovunque siano, sperimentino una adolescenza libera dalla violenza e accedano all’istruzione, cruciale nel prevenire il reclutamento e l’impiego dei bambini.
I progetti di sviluppo e umanitari per proteggere i bambini nei conflitti armati sono attivi in Colombia, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen.
Il ruolo della parte mediatrice negli accordi di pace
Questi bambini vanno protetti non solo in tempo di guerra ma anche durante gli accordi di pace e nel periodo di pace, affinché vi possano trovare nelle comunità una stabilità adatta alla loro crescita. Da un lato le frustrazioni subite possono ripercuotersi negativamente nel loro sviluppo e con conseguenze nell’adultità, sul loro stato di salute e sulla loro condotta. Dall’altro, la temuta consapevolezza dalle parti in conflitto di essere processate per il reclutamento ed uso dei bambini li rende restii al loro rilascio in quanto prova del crimine di guerra commesso. «È importante quindi pensare con intelligenza a modi per includere una buona protezione e più appropriata e a un linguaggio di prevenzione negli accordi di pace mentre ci si assicura che i bambini ricevano sostegno specialistico secondo la tipologia richiesta per una reintegrazione nelle comunità e che le parti siano consce delle violazioni commesse», spiega Virginia Gamba introducendo l’importanza di mettere al centro le esigenze dei bambini, conoscendone i loro bisogni e le normative per la loro tutela, da parte dei mediatori nella gestione di iniziative per la prevenzione e la fine dei conflitti negli accordi pace. Lo esprime chiaramente nell’introduzione alla guida pratica per mediatori per proteggere i bambini nelle situazioni di conflitto armato, una guida dell’Ufficio di Speciale rappresentanza della segreteria generale per i bambini e il conflitto armato pubblicata un anno fa, nel 2020.
Un esempio, tra le molte iniziative intraprese nelle Filippine, in Nepal, Myanmar, Colombia, Sud Sudan, riguarda l’accordo di pace nella Repubblica Centrale Africana, firmato a Bangui, il 6 febbraio 2019, tra il governo e i 14 gruppi armati, che comprese misure di protezione per i bambini, a cui vi lavorarono prima su richiesta dello stesso governo l’Alta rappresentanza della Segreteria generale per i bambini e il conflitto armato in collaborazione con Minusca, Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale nella Repubblica Centrale Africana, e l’Unicef. Tra gli impegni da onorare da parte dei gruppi armati vi erano il ritiro da ogni coinvolgimento con atto distruttivo o con occupazione illegale di costruzioni pubbliche, siti come ospedali, scuole e luoghi religiosi, per le persone con disabilità mentali, atti di violazione perpetrati nei confronti dei civili; la fine di ogni forma di reclutamento etc.
(aggiornamento 13 febbraio ore 15.48)