Introduzione
Ad ottobre assieme ai membri dell’ufficio pastorale Caritas e del Tavolo Salute mentale dell’Arcidiocesi di Torino, in occasione della Giornata mondiale per la Salute mentale, abbiamo tenuto un convegno in cui si è affrontato il tema dei giovani cercando di comprendere il modo in cui vivono ed affrontano il disagio e il dolore della mente (si può vedere l’incontro sul canale YouTube della Pastorale della Salute, I giovani e la sofferenze mentale: consapevolezza, integrazione e rischi di esclusione).
Dopo i saluti e l’introduzione di don Luca Ramello e don Paolo Fini, direttori degli uffici diocesani Giovani e Salute, vi è stata una prima tavola rotonda, moderata dal giornalista Alberto Chiara. In questa prima fase del convegno tre esperti, il dott. Paolo Peretti, la prof.ssa Fanny Guglielmucci ed il dott. Andrea Dughera si sono confrontati su alcune delle principali criticità: fragilità e dipendenze, dimensione relazionale e web, eventi imprevisti e spiazzanti. Sono emersi con forza temi cruciali quali il ruolo educativo degli adulti e l’incomunicabilità che spesso si manifesta con le generazioni più giovani, contraddistinta da un forte senso di spaesamento e solitudine nelle delicate tappe tipiche dell’adolescenza: i giovani si sentono troppo soli dinanzi alle sfide della crescita.
Poi è stata la volta dei giovani a confronto, scelti per la propria sensibilità ed esperienza, hanno condiviso proposte e speranze, aspettative e riflessioni sui temi della spiritualità, delle politiche, della formazione. Dalla voce diretta dei giovani, abbiamo sentito parole di speranza ma anche critica: scarseggiano le situazioni di costruttiva sintonia, tra generazioni e tra pari, orientate alla autentica crescita umana dei giovani, non di rado in grande difficoltà nel mondo del lavoro o nel percorso di studi a causa della incapacità di “pensare in grande” e di superare una prospettiva troppo legata al “presente”.
Durante i lavori di gruppo i partecipanti si sono confrontati sui contenuti discussi alle tavole rotonde cercando di far emergere i temi principali da restituire in plenaria a fine incontro. Sono emersi in particolare i seguenti temi: arricchire di senso e significato le prospettive esistenziali dei giovani, creare reti efficaci di intervento ed azione, lavorare con e per le famiglie anche in una ottica di “armonizzazione” reciproca, supportare gli insegnanti, sempre più coinvolti ― tra disorientamento e scarsi strumenti ― anche nella sfera emotiva dei giovani, fornire strumenti per facilitare l’emergere della sofferenza ed il disagio troppo spesso vissuti in forma nascosta, con vergogna, in un clima di angoscia interiore ed omertà.
Ad uno dei relatori, la professoressa Fanny Guglielmucci, psiconalista relazionale, abbiamo chiesto un approfondimento che vi presentiamo di seguito.
Giovani e salute mentale a cura di Fanny Guglielmucci
I giovani e salute mentale, questa la tematica su cui mi è stato chiesto di dire qualcosa. Dico, innanzitutto, che i giovani e la salute mentale si situano in un contesto “macro”, inteso come storico, culturale, politico e sociale, e che non si può dire qualcosa sul tema senza tenerne conto. L’Italia non è un Paese di giovani, né per giovani:
L’immagine che fuoriesce dai dati del Rapporto Giovani 2022 ― la più estesa indagine epidemiologica sul territorio nazionale ― mette in luce uno scenario di incertezza per le nuove generazioni, il 68% dei giovani 18-22 è spaventato dall’idea di non poter contare su un lavoro con un reddito adeguato, di vivere in una realtà che ha eroso in modo drammatico le risorse economiche e sociali, frutto di pesanti inadeguatezze sul piano strutturale e di una certa cecità nel riconoscere i bisogni dei Post-Millennials.
Lo stato emotivo angoscioso e spaesato dei giovani, cela un dolore sordo e l’assenza di visione prospettica sul domani. Oggi più che mai esiste tra le nuove generazioni una pervasiva difficoltà ad impegnarsi con continuità per portare a termine un proprio progetto. Privi di motivazione ed entusiasmo è come se le nuove generazioni non credessero più nel futuro, nella possibilità di poter cambiare le cose. Tutto è già scritto, in modo immutabile, perciò che senso ha impegnarsi, fare fatica o combattere?
Credo che questo spaccato sulla sofferenza della GenZ sia ben riassunto in una scena del film Figli (2020), in cui la figlia ― Paola Cortellesi ― dice esasperata, alla madre «la vostra generazione si è mangiata tutto» sottolineando come quello che sia stato rubato alle “nuove” generazioni sia in realtà la capacità di immaginarsi di vivere un futuro pieno e soddisfacente. Come è possibile vivere in un mondo privo di risorse, incerto e precario, un mondo in cui le generazioni dei padri faticano a lasciare lo spazio ai propri figli? Semplice: non si vive. Si mima una vita pseudo-normale, si fanno cose, si comprano oggetti che hanno lo scopo di definirci, di definire la nostra identità e la nostra appartenenza a gruppi (si pensi all’ultimo modello di i-phone per esempio) e si va avanti così, senza pensare troppo e senza sentire troppo.
La verità è che i giovani sono terrorizzati, sempre più frequentemente si anestetizzano con sostanze o si ritirano in mondi virtuali dove possono ancora essere e far finta di esistere. In apparenza forti e aggressivi, sono in realtà fragili e disgregati, inermi e impreparati ad affrontare la vita, il dolore, l’incertezza e l’incontro con l’altro perché noi ― I vecchi ― non li abbiamo preparati. Io credo che ci sia a monte di questa loro fragilità e sofferenza il fallimento della nostra funzione genitoriale.
Parafrasando Jessica Benjamin nel bellissimo libro Legami d’amore. I rapporti di potere nelle relazioni amorose quello a cui assistiamo oggi è un conflitto intergenerazionale unito a una crisi esistenziale che si situa in un paradossale rapporto in cui il riconoscimento e l’emancipazione dei giovani mette a dura prova la generazione dei padri e il mantenimento di un intero sistema. Un sistema rigido, che si oppone fermamente al cambiamento e all’emancipazione, che sottrae ai giovani la consapevolezza della loro volontà e iniziativa, minando così le fondamenta della loro autostima e privandoli dell’idea di poter fare davvero qualcosa. Ancora, mi sembra che all’interno di una visione Intersoggettiva quello a cui assistiamo è a una distorsione dei rapporti di amore. In questo scenario i giovani trovano un’assenza lá dove dovrebbe esserci una presenza calda e rassicurante: la famiglia, le istituzioni, lo Stato. Ecco allora che alla relazione padre-figlio, basata su riconoscimento reciproco e complementarietà disuguale, si sostituisce una logica basata su paura, controllo e negazione.
Vorrei chiudere questa mia piccola riflessione mettendo quello che ho segnalato mancare: la visione prospettica verso il futuro e l’idea che invece si possano davvero cambiare le cose per il meglio. La trasformazione sociale è ancora possibile, non è una chimera, ma occorre ripristinare un concetto di amore “sano”, inteso come riconoscimento e cura dell’altro. Se pensiamo ai rapporti di amore come forme di identificazione con l’altro stesso, allora amare qualcuno significa riconoscerlo come una parte di noi, e dunque agire nel suo migliore interesse implica a qualche livello agire nel nostro stesso interesse a livello sociale.
© Bioetica News Torino, Dicembre 2022 - Riproduzione Vietata