La salute umana dipende dalla salute del pianeta
08 Aprile 2022Non distogliamo lo sguardo contemplativo dalla bellezza del creato perché ci dà la forza di impegnarci a preservare la natura – animale e vegetale – l’ambiente e la terra del pianeta su cui viviamo e a cui è legata la nostra sopravvivenza. L’agire umano senza curarsi di come abbondanti risorse sarebbero potute esaurirsi e del delicato equilibrio necessario per poter vivere ha contribuito ad accelerare il processo di riscaldamento climatico globale i cui effetti del mutamento del clima hanno iniziato a mettere a dura prova aree e popolazioni più vulnerabili con prolungate siccità, carestie, desertificazioni, inondazioni improvvise, innalzamento degli oceani, migrazioni.
L’Organizzazione mondiale della Salute (Oms) nella giornata celebrativa del 7 aprile, dedicata alla Salute, ha invitato tutti a concorrere nel rendere la vita del pianeta ospitale per l’umanità affrettandosi ad agire con urgenza per cercare di ridurre le conseguenze da noi causate inquinando l’atmosfera di gas serra. Dalla salute del pianeta dipende la salute dell’essere umano: Our planet, our health, è il tema su cui si vuol richiamare l’attenzione per ripensare ad un’economia e un’agricoltura sostenibile, per riadattare spazi urbani dinanzi all’irruenza degli eventi atmosferici, per avere una nutrizione salubre in un processo che coinvolge l’intera filiera alimentare dal terreno coltivato ai prodotti della terra e industriali alla fauna alla flora e all’ambiente in una convivenza pacifica fra le popolazioni e integrata con la natura.
Il 90% della popolazione respira le emissioni del carbon fossile, il surriscaldamento accresce la diffusione di malattie dovute alle zanzare che aumentano in modo consistente, inquinamento e plastica si trovano nei fondali dei mari, nelle alte montagne e finisce nella catena alimentare. Obesità, cancro, malattie cardiovascolari sono le conseguenze di un cibo a tavola malsano, altamente processato.
Sul fronte sanitario i medici cattolici dell’AMCI (Associazione medici cattolici italiani) e i medici per l’Ambiente dell’ISDE (Associazione italiana medici per l’Ambiente) hanno scritto una dichiarazione congiunta per chiedere che tra gli impegni per la tutela dell’ambiente vi è quello di contrastare l’aumento delle spese militari per il riarmo.
I loro rispettivi presidenti, Filippo Maria Boscia dell’Amci e Roberto Romizi dell’Isde spiegano: «Le due emergenze (guerra e ambiente) sono faccia della stessa medaglia e noi non possiamo restare inermi difronte a tanta barbarie, che uccide in entrambi i fronti migliaia di persone; non possiamo tollerare una guerra altamente inquinante e destruente l’ambiente e che moltiplica vittime, creando disabili e sfollati. Porre in secondo piano l’ambiente è il delitto più grave che chiude ogni finestra di luce e oscura ogni futuro vivibile: è un grave errore!».
Sottolineano la necessità di essere oculati nelle spese militari e di riarmo in quanto queste «sottraggono importanti risorse per altre emergenze, quali scuola, salute, ricerca, agricoltura sostenibile, famiglia, cooperazione internazionale» e violano i più importanti riferimenti valoriali e culturali.
Ricordano le parole di Papa Francesco nell’apprendere la notizia dell’aumento da parte del Governo del 2 percento del Pil per il riarmo nell’ambito della tensione dell’Europa con la Russia nel conflitto russo-ucraino. Ha indicato la via della controproposta: «La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso – un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».
«Siamo ad un bivio. Le decisioni prese ora possono rassicurarci un futuro vivibile. Abbiamo gli strumenti e la conoscenza richiesta per limitare il riscaldamento», osserva il direttore Hoesung Lee del gruppo di studio intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC), che intravede la possibilità di ridurre le emissioni più nocive rispettando politiche e regolamenti che possono rivelarsi efficaci. Una ventata di sollievo e di speranza. A Ginevra 195 governi membri hanno approvato il 4 aprile scorso, durante la sessione dei lavori iniziata il 21 marzo, il terzo rapporto del gruppo di lavoro dell’IPCC, intitolato Climate Change 2022: mitigation of climate change. Si tratta della terza serie del Sesto rapporto di dichiarazione (AR6) che verrà completato quest’anno.
Per dimezzare le emissioni entro il 2030 gli scienziati, che sono un centinaio, propongono alcune misure strategiche, «opzioni di risposta che possono beneficiare la biodiversità, aiutare ad adattarsi al cambiamento climatico e assicurare bestiame, cibo, acqua e forniture di legna»: più transizioni nel settore energetico per ridurre in modo consistente l’uso del carbon fossile, per una diffusa elettrificazione, per un’efficienza energetica migliorata e un uso alternativo di gas come l’idrogeno. Per il co direttore Priyadarshi Shukla con giuste politiche, infrastruttura e tecnologia capaci di cambiare i nostri comportamenti e stili di vita si può ottenere una riduzione tra il 40 e il 70% di emissioni di gas serra entro il 2050. Aggiunge che determinati cambiamenti di stile di vita possono migliorare il nostro benessere e la nostra salute.
Poi città e aree urbane nuove possono rivelarsi adatte alla riduzione delle emissioni impiegando un basso consumo di energia come ad esempio con città compatte facilmente attraversabili a piedi, con il trasporto elettrico in combinazione con fonti di energia a bassa emissione e assorbimento migliorato di carbone e immagazzinamento usando la natura.
Anche un’azione nel mitigare gli effetti negativi degli impatti nelle costruzioni.
Il riuso e il riciclo dei prodotti e la minimizzazione dei rifiuti per ridurre l’impatto delle emissioni causate da industrie.
Un altro aiuto può venire dal mondo dell’agricoltura, della foresta e dall’uso di altre terre.
Se non si provvederà immediatamente e seriamente a ridurre le emissioni più nocive in tutti i settori non si potrà rimanere ad un riscaldamento globale entro 1,5 ° Celsius. «La temperatura globale si stabilizzerà quando le emissioni di diossido di carbonio raggiungeranno lo zero netto (quantità di carbonio rilasciato nell’atmosfera sarà uguale alla quantità rimossa ndr)». Ossia, gli studiosi spiegano che «per 1.5 °Celsius occorre raggiungere lo zero netto di emissioni globali di diossido di carbonio nei primi 2050, per il 2°Celsius si ha agli inizi del 2070». In questo modo la limitazione attorno ai 2°C richiede che le emissioni di gas serra raggiungano il picco entro il 2025 al massimo, per poter essere ridotte di un quarto entro il 2030.
Il punto su cui focalizzano è che per stare attorno ai 1.5°Celsius di riscaldamento globale le emissioni di gas serra dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 al massimo, per essere ridotte del 43% entro il 2030; nello stesso tempo – spiega il gruppo dell’IPCC – il metano dovrebbe ridursi di un terzo. Solo facendo così è inevitabile che la soglia della temperatura sarà superata temporaneamente ma si potrà ritornarvi sotto entro la fine del secolo.