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106 Settembre
Speciale Dignitas Infinita

Futuro? Riflessioni a margine dell’inverno demografico

Adnkronos, in un articolo datato gennaio 20241, riportava quanto segue: “(…) i giovani si sposano sempre meno, il costo della vita è aumentato e gli esperti contano che ciò potrebbe peggiorare (…)”. 

Verrebbe da pensare che il soggetto della suddetta frase sia l’Italia. Effettivamente, rientriamo a pieno titolo in ognuna delle casistiche sopra descritte. E, tra l’altro, questo è valido per la maggior parte dei paesi europei.

Quello che stupisce, però, è che la situazione descritta dal succitato articolo riguardasse la Cina. Nell’immaginario collettivo, la Cina non è un paese in crisi né economica né demografica.

Pare inverosimile che la Cina, dove meno di mezzo secolo fa si introduceva la “politica del figlio unico” (rimasta in vigore dal 1979 al 2013), oggi si trovi a fare i conti con la problematica della decrescita demografica.

Questa, però, è la dimostrazione che, a Oriente come a Occidente, la “politica degli slogan” non paga mai. Inoltre, i dati ci dimostrano che non sempre è sufficiente che il politico di turno cambi idea (o slogan) affinché la storia muti il suo corso. Infatti, dopo più di 10 anni dal momento in cui la “politica del figlio unico” è stata abbandonata la situazione cinese non è migliorata. Anzi, è peggiorata. Infatti, la Goldman Sachs ha certificato in un suo report che nel corso del 2024 il numero di animali domestici nelle città cinesi supererà il numero di bambini sotto i quattro anni. 

La Cina, il cui sviluppo sembrava inarrestabile, va in contro ad una crisi demografica per le stesse identiche motivazioni occidentali, trovandosi anch’essa a fronteggiare: meno matrimoni; meno figli; più anziani (a cui garantire un costoso welfare); più cani e gatti; etc.

La situazione sopra descritta sembra rispecchiare quella italiana (più pet store e meno asili). Ma, in questo caso, la massima: “mal comune, mezzo gaudio” non è valida. 

Esaminando la situazione cinese, però, non è sufficiente analizzare solamente i costi economici delle politiche attuate. Bisogna soffermarsi anche sui costi sociali che sono conseguenza delle scelte di Pechino (e che, da un punto di vista bioetico, sono decisamente più rilevanti). Infatti, la “politica del figlio unico” ha avuto come conseguenza ultima il ricorso all’aborto selettivo in base al sesso che, giocoforza, ha causato uno sbilanciamento nella proporzione tra individui di sesso maschile e femminile nel Paese.

Riassumendo, si è permessa (e incentivata) una nuova “strage degli innocenti” la cui conseguenza ultima è stata un crollo demografico che avrà conseguenze politiche ed economiche incontrovertibili.

Ma se lo scopo di questa riflessione non può essere il mutamento dello status quo, l’auspicio è che, perlomeno, gli errori commessi dal governo cinese rappresentino un monito per chiunque si trovi a legiferare e, più in generale, a prendere delle decisioni che hanno delle ricadute sul presente e sulle generazioni future. 

Infatti, invece che preoccuparsi solamente dell’hic et nunc, ogni decisore (politico, economico, etc.) dovrebbe ragionare sulle conseguenze a lungo termine delle proprie scelte, analizzando la questione con un imprinting bioetico. 

Se Pechino avesse adottato questo modus operandi non avrebbe di certo perseguito una politica che ha avuto come conseguenza ultima un ricorso incondizionato all’aborto selettivo. La Bioetica ci insegna o, meglio, ci può insegnare a ragionare valutando in ogni circostanza, in maniera olistica, i rischi del “pendio scivoloso”. Il mio desideratum (tanto da giurista quanto da bioeticista) è che ognuno sappia imparare al meglio questa lezione, abbandonando la “logica degli slogan”.

Note
  1. https://demografica.adnkronos.com/mondo/cina-popolazione-calo-demografico/

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