Firenze 2015. Nosiglia: «È la città il nostro campo di lavoro»
09 Novembre 2015Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio del Convegno: «L’umanesimo che cerchiamo di progettare e testimoniare non è una vecchia “via di mezzo”’: quel che conta davvero è la fedeltà all’uomo nel servizio reciproco tra fratelli – e fratelli sono tutti gli uomini, non solo questi o quei credenti». Sulle orme di Francesco, la «mobilitazione per una Chiesa nuova, più snella, pronta, attenta, e anche trasparente»
Il Convegno è ormai alle porte, mancano pochi giorni all’apertura, in Santa Maria del Fiore, dei lavori – nel pomeriggio di lunedì 9 novembre (e il giorno successivo sarà papa Francesco, con il suo intervento, a offrire le indicazioni “forti” per il Convegno e per la Chiesa italiana). Monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, è il presidente del Comitato che in questi anni ha preparato il cammino e la celebrazione del Convegno, dai documenti preparatori alle assemblee diocesane e regionali che ne hanno segnato lo “stile” e le caratteristiche. Con lui ripercorriamo questo cammino, anticipando anche le possibili prospettive che si apriranno per la Chiesa italiana.
Qual è l’Italia che si vedrà a Firenze?
Il Convegno rappresenta sicuramente una fotografia fedele e ricca di punti di vista originali del nostro Paese. La presenza capillare della Chiesa sul territorio consegna al Convegno un’immagine complessa e veritiera del cambiamento in atto. E poi c’è l’articolazione del “mondo cattolico” in tutti quei “nodi” che sono la spina dorsale stessa della società: famiglia, cultura, sistema educativo, giovani, assistenza; e il vasto mondo della solidarietà nei confronti delle fasce deboli della popolazione.
La Chiesa italiana non è, in tutti questi campi, solo un erogatore o gestore di servizi: ma – ed è facile constatarlo – svolge un compito insostituibile di animazione, di “promozione culturale” in quelle situazioni dove il richiamo ai valori è la vera sfida.
Pensiamo all’accoglienza di profughi, immigrati, poveri, marginali: le parole e gli esempi del Papa, ripresi dalle Chiese locali, costituiscono una chiara “scelta politica”, oltre che una testimonianza cristiana.
Un’Italia da “Paese reale”, che esprime istanze diverse da quelle che vengono interpretate dalla politica o dall’economia?
No, non c’è nessuna contrapposizione. La nostra “partita” si gioca sulla testimonianza dei valori che la Chiesa vuole vivere: è l’annuncio del Vangelo che ci obbliga a coinvolgerci nelle gioie e nelle speranze degli uomini; è l’accompagnamento alla nostra gente il terreno su cui lavorare. Un recente sondaggio, commissionato in occasione del convegno nazionale dei Comuni d’Italia tenutosi a Torino nei giorni scorsi, ha evidenziato che i cittadini si aspettano, dai Comuni come dalle istituzioni in genere, una “credibilità” che si fonda sui comportamenti concreti, sulla capacità di ‘esserci’ là dove ci sono i bisogni veri della gente. Non per niente la “popolarità” dei sindaci, soprattutto nei centri minori, supera quella di ogni altra figura istituzionale….
Quindi le istanze della “società civile” troveranno spazio anche nel Convegno ecclesiale.
Come potrebbe non essere così? La “città”, intesa nel senso più ampio del termine, è il nostro campo di lavoro. Il confronto, libero e rispettoso, con le culture è il metodo con cui siamo chiamati a procedere; e però la testimonianza di una fede viva e attiva, capace di diventare “carità” a servizio dei fratelli è ciò che deve distinguere il nostro agire, farci “riconoscere” come cristiani. Il nuovo umanesimo in Gesù Cristo che è al centro dei nostri lavori parte proprio dalla realtà di una società che non è più né massiva né ideologica ma che, forse proprio per questo, patisce la frammentazione e cerca nei diritti e nelle libertà individuali quelle “risposte di senso” che invece si trovano solo in una prospettiva di vita comunitaria e solidale.
Le suggestioni in questa direzione non mancano: in attesa di quanto ci dirà Papa Francesco all’apertura del Convegno, abbiamo già il ricco materiale delle esperienze giunte al Comitato preparatorio e che hanno costituito la sostanza della “Traccia”.
E abbiamo indicazioni magisteriali precise dello stesso Papa Francesco: l’enciclica Laudato si’ propone un quadro amplissimo di attenzioni intorno a quella “ecologia” che è la vita degli uomini su questo pianeta. Anche in questo senso la città è l’icona che ci accompagna: nella trasformazione delle aree urbane sono presenti i grandi fenomeni che caratterizzano questo nostro tempo. Da una parte le metropoli e le megalopoli attirano milioni di persone, soprattutto nel Sud del mondo, in cerca di sopravvivenza; dall’altra, nell’Occidente più ricco come nelle città simbolo della modernità (Singapore, Hong Kong, Shanghai, Rio de Janeiro, Dubai…) gli architetti disegnano profili urbani che ci parlano di potenza, di scalata al cielo, di culto della ricchezza, di sfida a superare continuamente se stessi. L’umanesimo che cerchiamo di progettare e testimoniare non è una vecchia “via di mezzo”: quel che conta davvero è la fedeltà all’uomo nel servizio reciproco tra fratelli – e fratelli sono tutti gli uomini, non solo questi o quei credenti.
Il Convegno lavorerà sullo schema della «Traccia» elaborata dal Comitato preparatorio, in cui i 5 ambiti del Convegno di Verona 2006 si incrociano con le 5 vie indicate da papa Francesco nella Evangelii Gaudium.
L’intreccio delle vie con gli ambiti è il fulcro e il punto di snodo dell’intero nostro lavoro, sia per la preparazione che per il dopo–Convegno. Perché si tratta di coltivare e valorizzare l’esistente e, al tempo stesso, di compiere quel salto di qualità che il Papa domanda alla Chiesa intera, ma a quella italiana in particolare, per essere più presente ed efficace nell’annuncio ‘ai poveri e agli ultimi’, come chiede il Vangelo.
Al centro del Convegno c’è la “mobilitazione” per una Chiesa nuova, più snella, pronta, attenta, e anche trasparente. E c’è l’impegno per “mobilitare” quanto ormai non è più sostenibile in termini di vecchie strutture e, più ancora, di impostazioni pastorali non più adeguate.
Una volta di più la fedeltà al Vangelo ci chiede “conversione”, capacità di abbandonare le nostre abitudini consolidate per andare verso un “nuovo” che magari non controlliamo perfettamente ma che rappresenta davvero l’avvenire.
Marco Bonatti
Fonte: «Agensir»