Introduzione
a cura di Enrico LARGHERO
Nella storia dell’umanità stili di vita, di pensiero e costumi si sono succeduti nei secoli. Le malattie non si sottraggono a tale regola. Alcune sono state debellate, altre sono comparse all’orizzonte, altre ancora infine erano probabilmente già presenti sulla terra, ma non era stata data loro una definizione scientifica. È questo il caso dell’autismo, un disturbo del neurosviluppo che coinvolge linguaggio, socialità e comunicazione.
Comparso sui testi di psichiatria all’inizio del XX secolo, era già esistente, sotto altre classificazioni, da molto decenni. Nel tempo le conoscenze si sono affinate ed oggi dietro la sigla Asd (Autism Spectrum Disorders) si configura una condizione clinica eterogenea che può manifestarsi in modo diverso nelle persone affette durante i primi anni di vita.
Le cause sono in gran parte sconosciute, la diagnosi è complessa, i farmaci a disposizione non hanno purtroppo lo scopo di guarire, ma di controllarne i sintomi. Tuttavia il numero di malati affetti nel mondo è piuttosto elevato, sfiorando gli 80 milioni e ciò rappresenta pertanto una vera sfida per la scienza medica. Mentre le armi a nostra disposizione si affineranno, le uniche risposte che nel frattempo risultano efficaci si chiamano vicinanza, solidarietà e amore.
Si parla più propriamente di autismi
L’ Autismo è una condizione di neurodivergenza sotto la cui definizione vengono raggruppate situazioni anche molto differenti tra di loro. Sarebbe pertanto più corretto parlare di Autismi, dal momento che le caratteristiche possono manifestarsi in modo molto differente da soggetto a soggetto, con intensità altrettanto varie. Possiamo tuttavia identificare delle caratteristiche comuni che, in ambito clinico, fanno riferimento ai criteri diagnostici del DSM V (Manual of Mental Disorders, V edizione) e in particolare: deficit della comunicazione e dell’interazione sociale, che si manifestano nei vari ambienti di vita del soggetto, e la presenza di interessi e/o comportamenti ristretti e ripetitivi.
La severità del quadro dipende dalla necessità di supporto necessario, ovvero da quanto le caratteristiche autistiche interferiscono con lo sviluppo, e dall’eventuale presenza concomitante di altri disturbi del neurosviluppo (disabilità cognitiva, ADHD, etc). La diagnosi clinica, viene supportata da test standardizzati. Le indagini di laboratorio e strumentali sono complementari e prescritte solo su indicazione.
Quali sono i segnali che aiutano ad individuarli?
Nella maggior parte dei casi, i segnali sono davvero molto precoci, e i bambini giungono all’attenzione degli specialisti intorno ai due anni di età. Questo anche grazie ai programmi di identificazione precoce messi in atto dal Ssn, per favorire interventi tempestivi. Alcuni bambini e ragazzi giungono all’attenzione più tardivamente fino alle situazioni in cui l’accesso ai Servizi per la diagnosi avviene in età adulta: sono soggetti che si sono adattati bene all’ambiente fino a quel momento o che hanno caratteristiche più sfumate (difficoltà a farsi degli amici, giocare con gli altri/a lavorare in gruppo, saper sostenere una conversazione, regolare le proprie emozioni, comprendere il comportamento altrui, mantenere relazioni lavorative e sentimentali stabili). Possono essere presenti interessi peculiari/esclusivi, rigidità comportamentali, selettività alimentare e sensibilità eccessiva per rumori o per alcune sensazioni tattili, presenza di crisi comportamentali per sovraccarico di stimoli, difficoltà scolastiche.
In alcune situazioni, il livello cognitivo può essere anche superiore alla norma, ma le caratteristiche autistiche possono interferire con la piena realizzazione della vita sociale oppure le difficoltà sono evidenti solo in determinate circostanze, quando il soggetto si sente sotto pressione o a disagio.
Diagnosticato l’autismo come si interviene? Quale aiuto può essere dato alla famiglia e alla scuola?
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, non esiste una «causa» dell’autismo. Esistono sindromi genetiche note in cui l’autismo è una delle componenti, ma nella maggior parte dei casi non si giunge a un’etiopatogenesi specifica. La letteratura scientifica concorda su un’eziopatogenesi multifattoriale, in cui le cause genetiche contribuiscono al 50%, mentre la restante parte sarebbe ad attribuire a fattori ambientali.
Cosa fare dopo la diagnosi? Gli interventi indicati sono di tipo psicoeducativo di stampo cognitivo comportamentale, individuale e/ o in piccoli gruppi, sui vari aspetti di vita: autonomie, apprendimento, emozioni, comunicazione, socializzazione.
Di fronte alla diagnosi, la famiglia può rimanere confusa di fronte alla mole di informazioni presenti in rete: meglio affidarsi agli specialisti per ricevere le corrette informazioni, indicazioni e supporto. Oltre al Neuropsichiatra e allo Psicologo, sono molte le figure che possono essere coinvolte (educatore, tecnico della riabilitazione psichiatrica, logopedista, neuropsicomotricista) che lavorano in équipe multiprofessionale.
La famiglia ha un ruolo fondamentale deve essere coinvolta in tutte le fasi di cura: solitamente vengono proposti parent training per aiutare i genitori a trovare risposte e strategie. Allo stesso modo la scuola potrà essere seguita per personalizzare la didattica e favorire la socializzazione con i pari. Si sta lavorando per sensibilizzare la società sull’importanza di modificare l’ambiente per rendere più inclusivi gli spazi comuni e i servizi.
Le eventuali comorbidità associate possono modificare la prognosi, ma in ogni caso è possibile raggiungere moltissimi obiettivi per favorire una vita piena e appagante, secondo le risorse di ognuno. Gli interventi devono sempre rispettare l’unicità dell’individuo e il suo modo di essere, evitando l’ormai antiquato concetto di «normalizzazione».
Ringraziamo il direttore Alberto Riccadonna per averci concesso la pubblicazione di Autismo, la diagnosi, le prospettive, il ruolo della famiglia e della società di Martina Casabianca, «La Voce e il Tempo», 5 febbraio 2023, pp. 27
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