Tutti abbiamo ancora negli occhi l’immagine televisiva del campione di marcia Alex Schwazer in lacrime di fronte a decine di giornalisti, perché accusato di doping e segnato da una dura squalifica che ha determinato la fine della sua carriera sportiva. Anche i più giovani sono rimasti colpiti dal dolore dell’atleta, che fino al giorno prima prendevano bonariamente in giro per lo spiccato accento altoatesino che rendeva tanto originale e simpatico lo spot pubblicitario del loro cioccolato preferito.
Questo triste e, purtroppo, non isolato fatto di cronaca contrasta l’essenza stessa dello sport. Sembra che negli ultimi tempi quest’ultimo abbia rinunciato a testimoniare se stesso e sia diventato protagonista della cronaca nera. Sono state più le righe giornalistiche riservate alla violenza, agli scandali, alle polemiche, al doping farmacologico, alle gare truccate, che non quelle riguardanti i grandi valori connessi alla pratica sportiva, la quale possiede già in sé un grande potenziale valoriale: fascino educativo e pedagogico, coinvolgimento emotivo e sociale, disciplina e rigore, gioco e divertimento.
La Nota Pastorale «Sport e vita cristiana» della Commissione Ecclesiale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport (1995), documento fondamentale per ogni riflessione sullo sport, ricorda al n. 8:
La visione conciliare del rapporto Chiesa-mondo spinge a chiedersi non solo cosa ha da dire la Chiesa allo sport, ma anche cosa ha da dire lo sport alla Chiesa. È proprio questo cordiale e franco dialogo che può avviare un nuovo approccio pastorale allo sport e individuarne alcuni criteri orientativi.
Alla luce di ciò, liberi dal condizionamento dei fatti di cronaca e impegnati nel promuovere tra i giovani modelli di crescita positivi, possiamo affermare che lo sport concorre a ritrovare e a vivere la verità cristiana sull’uomo e sulla società, illuminando e valorizzando anche l’esperienza del gioco e del divertimento. Quindi, isolati episodi negativi non devono soffocare il valore insito nella conoscenza, nel controllo e nello sviluppo armonico della propria corporeità.
Lo sport svolge una funzione del tutto singolare: esso è fattore di unità della persona e dunque di integrità educativa ed etica, dove anima e corpo trovano una feconda armonia. Lo sport è fonte di salute, di amicizia, di confronto leale e sincero, ha una profonda valenza sociale ed educativa, promuove una sana cultura della corporeità.
Ecco perché c’è bisogno di allenatori lungimiranti e miti, autentici educatori di ragazzi così sovente fragili e soli. In tale prospettiva, l’allenatore deve dialogare con le famiglie, con le società sportive, con l’oratorio, per tessere quell’alleanza educativa del tutto necessaria, affinché possibili interessi economici e mediatici coinvolti nello sport e da esso mobilitati, non prendano il sopravvento sulla salute della persona e sulla sua dignità.
Occorre un’etica dello sport, cioè un’etica di responsabilità capace di guardare anche alle conseguenze delle azioni in ambito sportivo. In una società che enfatizza e fa propri i valori della competitività esasperata, delle massime prestazioni, del successo, si devono riconoscere alcuni importanti passaggi:
1. la persona è il valore in sé dello sport, dei suoi significati e delle sue espressioni;
2. si deve affermare il valore della sconfitta, espressione dell’accettazione dei propri limiti;
3. occorre riaffermare il valore del gioco, espressione di creatività e di gioia. Purtroppo, queste dimensioni valoriali dello sport sono oggi messe in ombra dal grave problema del doping.
L’esigenza di sensibilizzare insegnanti e allievi sul doping nasce dalla constatazione che non si tratta più di un problema circoscritto al mondo dello sport di alto livello. È un fenomeno ben più ampio, che si diffonde a largo spettro anche fra coloro che praticano sport solo saltuariamente o solo per migliorare il loro benessere psico-fisico.
Il termine doping viene da doop, un miscuglio di sostanze energetiche che i marinai olandesi già quattro secoli fa ingerivano prima di affrontare una tempesta sull’oceano. Nel ‘900 sono entrati nell’uso comune il verbo inglese to dope e il sostantivo doping, che indica un additivo modificante il rendimento dell’atleta. Ma la definizione generale formulata dal Comitato Olimpico Internazionale non si limita ad indicare le diverse categorie di farmaci proibiti, infatti, specifica che costituisce doping anche l’assunzione di sostanze di tipo fisiologico (cioè presenti nell’organismo umano e normalmente fornite allo stesso dalla comune alimentazione) assunte però per vie non comuni ed in quantità anormali, con lo scopo di incrementare artificialmente la capacità di prestazione. Di fatto, però, le istituzioni sportive si limitano a vietare e a regolamentare soltanto l’assunzione dei farmaci compresi in apposite liste.
Chi assume farmaci per uso improprio nello sport rischia prima di tutto la salute! Oggi il doping è senza dubbio un fenomeno difficile da arginare (come dimostrano i dati delle ricerche più recenti), ma è anche vero che la legge italiana, tra le più severe in Europa, sta producendo i suoi effetti nel mondo sportivo. È un provvedimento che porta profonde innovazioni alla disciplina, introducendo sanzioni penali per chi assume, somministra o favorisce l’uso di sostanze dopanti.
Ora, al di là delle regole necessarie a controllare il problema, dobbiamo domandarci perché alcuni giovani sportivi cerchino la via più semplice, pur conoscendone la pericolosità, per giungere alla vittoria. Le cause sono certamente complesse e molteplici, ma possiamo prima di tutto affermare che in un mondo nel quale i giovani vogliono tutto e subito, sia molto difficile accettare quell’applicazione costante e quello spirito di sacrificio che lo sport richiede. Inoltre, i giovani sportivi desiderosi di successo spesso cadono nella trappola tesa da allenatori e manager senza scrupoli, spinti da precisi interessi economici e sociali. Pertanto, serve una proposta sportiva organizzata in grado di offrire al mondo giovanile non solo la pratica sportiva ma anche, attraverso questa, luoghi accoglienti che agevolino gli incontri e le relazioni, progetti che promuovano la globalità della persona umana, persone esemplari capaci di “educare attraverso lo sport”.
La testimonianza cristiana all’interno del mondo sportivo comprendente atleti, dirigenti e allenatori, costituisce il valore aggiunto che consente anche di evangelizzare attraverso lo sport.
La sfida vera per la comunità cristiana consiste, quindi, nel prendere coscienza che non basta promuovere la sola pratica sportiva delegando a poche persone il compito di promuovere allenamenti, gare e tornei. È l’intera comunità che deve sentirsi corresponsabile e presente visibilmente nel contesto vitale dei giovani.
© Bioetica News Torino, Maggio 2014 - Riproduzione Vietata