Introduzione
a cura di Enrico Larghero
Il timore di molti si è avverato. Dopo il caso di Mario, primo paziente in Italia ad accedere al suicidio assistito, è giunto agli onori della cronaca una seconda storia, quella di Fabio Ridolfi*, tetraparetico da 18 anni, che interagisce con il mondo circostante utilizzando un puntatore oculare.
Oggi a 46 anni si trova a vivere una vita che non riesce più ad accettare ed in un videoappello sostiene: «Gentile Stato, aiutami a morire. Ogni giorno la mia condizione è sempre più insostenibile».
Sulla vicenda accogliamo l’illustre ed illuminante parere del professor Giuseppe Zeppegno, bioeticista e Direttore del Ciclo di Specializzazione in Teologia Morale della Facoltà Teologica di Torino. La riflessione, per essere equilibrata, deve comunque andare oltre il singolo e drammatico caso ed ampliare l’orizzonte sul valore autentico della cura, sui rischi dell’accanimento terapeutico, sul senso della vita e della morte, sul significato di dignità di vita.
I media da qualche tempo hanno portato alla ribalta il dramma di Fabio Ridolfi, un uomo di 46 anni costretto all’immobilità da 18 anni a causa di una tetraparesi. Attraverso il puntatore oculare, strumento che gli permette di comunicare con il mondo circostante, ha comunicato che il Comitato etico marchigiano ha dichiarato due mesi or sono che la sua sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile e che conseguentemente la sua situazione clinica giustifica l’aiuto medico alla morte volontaria sulla base della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale (Cappato\Dj Fabio).
Il Servizio Sanitario Regionale competente però non ha ancora indicato quale deve essere il farmaco utilizzabile per questo atto eutanasico e quali devono essere le modalità di somministrazione. Fabio Ridolfi ha altresì affermato che «ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene». Ha deciso quindi che gli sia sospesa la PEG, l’alimentazione mediante sonda per via enterica utilizzata nei casi in cui si registra l’incapacità cronica della deglutizione, e di avviare una sedazione blanda presso la propria abitazione per poi essere trasferito all’hospice di Fossombrone dove sarà sottoposto a sedazione profonda fino al decesso.
La sentenza citata fa riferimento al procedimento intentato contro Marco Cappato che aveva provveduto al trasporto in Svizzera del dj Fabo, tetraplegico e affetto da cecità bilaterale corticale che aveva richiesto il suicidio assistito. La Corte costituzionale aveva dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del Codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) […], agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».
La sentenza invocata di per sé però non autorizza l’aiuto medico alla morte volontaria perché, a differenza dei paesi anglosassoni, in Italia non è applicabile la legge del common law secondo cui una sentenza emessa ha natura vincolante sui casi simili a venire. Di fatto è ancora in vigore nella sua interezza l’art. 580 del Codice penale che asserisce: «Chiunque determina altrui al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni».
È peraltro evidente che sussistono casi in cui il paziente, pur non essendo in situazione di terminalità, è sottoposto a terapie che, non solo non garantiscono il miglioramento delle condizioni cliniche, ma sortiscono l’unico effetto di procurare un prolungamento precario e penoso della vita. In questi casi vale la pena ricordare ciò che sostiene la Dichiarazione Iura et bona della Congregazione per la Dottrina della Fede (1980):
Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare […]. Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? […] In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali […]. È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.
L’articolo è pubblicato in anteprima concessaci dal direttore Alberto Riccadonna de La Voce e il Tempo, nella rubrica Bioetica e Notizie, domenica 19 giugno 2022
* Dall’Associazione Luca Coscioni si è appreso della morte di Fabio Ridolfi, successivamente alla pubblicazione dell’articolo. «La famiglia Ridolfi comunica la morte di Fabio, il 46enne di Fermignano (Pesaro Urbino) che ha scelto la revoca del consenso alla nutrizione e alla idratazione artificiali. Nel pomeriggio aveva avviato la sedazione profonda», ne annuncia i funerali in forma privata e ne chiede alla stampa il rispetto della privacy.
(aggiornamento 14 giugno ore 22.10)
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