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Eterologa all’estero. Quando il conto lo paga la Regione

22 Ottobre 2015

La fecondazione assistita eterologa non  decolla. Tutta colpa, pare, della mancanza di donatori di gameti (ossia ovuli o seme maschile) che per legge devono essere volontari e senza compenso. Per effetto della direttiva europea n.24 del 2011 (recepita dal Dl 38/2014) è possibile però usufruire presso un altro Stato membro della Ue delle stesse prestazioni di assistenza sanitaria incluse nei Lea (i Livelli essenziali di assistenza) se non sono disponibili  tempestivamente nel proprio territorio. Toccherà poi alle Regioni rimborsare i costi.
In Emilia Romagna, almeno quattro coppie avrebbero seguito proprio questa strada. Ma se in Italia il ministro della salute Beatrice Lorenzin assicura il rigore dei controlli per verificare il rispetto delle norme, volontarietà e gratuità in primis, come ribadito dalle linee guida emanate lo scorso luglio, non altrettanto si potrà però fare per la fecondazione eterologa effettuata dalle coppie all’estero e della quale poi si chieda il rimborso.

Dalla Regione Emilia Romagna fanno sapere che la coppia che vuole rivolgersi in strutture sanitarie negli Stati dell’Ue al ritorno in Italia dovrà presentare semplicemente la domanda di rimborso all’Asl competente, con la certificazione medica e la fattura pagata. Il rimborso, che arriva entro 60 giorni, viene calcolato in base ai tariffari regionali, al netto della compartecipazione come previsto dalla normativa a livello regionale. Nessun controllo dunque sulla procedura effettuata all’estero, ma sicuramente una voce di spesa in più per le Regioni, già gravate da problemi di bilancio e ormai costrette a ridurre se non addirittura a tagliare prestazioni “essenziali”.

In Italia «i donatori ci sono, ma sono ancora pochi rispetto alle richieste – spiega Silvana Borsari, responsabile dell’area materno-infantile del Servizio  Assistenza territoriale dell’assessorato Politiche per la salute della Regione Emilia Romagna –. A differenza degli altri Paesi europei, la pratica dell’eterologa in Italia è legale solo dal settembre 2014: sarà necessario un po’ di tempo perché si diffonda in modo significativo la cultura della donazione dei gameti». Una convinzione sulla quale è lecito nutrire qualche riserva. Ma, problema dei “donatori” a parte, l’eterologa non è certamente una prestazione sanitaria di poco peso. «I costi per le coppie – continua Borsari – sono quelli relativi ai ticket per gli esami che devono essere eseguiti per poter fare la fecondazione: mappa cromosomica, esami virologici, infettivologici, ecografie, e così via, e variano in base alle fasce di reddito della coppia».

Non è di poco conto neanche la spesa che dovrà affrontare la Regione. «Al momento non sono state destinate risorse specifiche – continua –. Abbiamo fatto una direttiva regionale, a settembre 2015, nella quale l’eterologa viene considerata analogamente all’omologa e quindi inserita nei Lea. La spesa per l’eterologa è analoga a quella per l’omologa. In più, c’è la spesa relativa agli esami che vanno fatti sui donatori e le donatrici, e per valutare l’idoneità alla donazione».

Le coppie disposte a tutto pur di avere un figlio intanto non mancano. Per quanto riguarda i Centri pubblici dell’Emilia-Romagna – ossia Bologna, Modena,
Parma, Reggio Emilia, Lugo e Cattolica – la stima è di alcune centinaia di persone già in lista d’attesa.

Graziella Melina
Fonte: «Avvenire»

Redazione Bioetica News TorinoRedazione Bioetica News Torino