Il sorprendente progresso delle tecniche diagnostiche ha messo negli ultimi anni a disposizione della Medicina degli strumenti in grado di sondare le più profonde recondità della Biologia umana. Un posto di rilievo alla ricerca è stato riservato al cervello che ha rivelato e confermato attraverso questi nuovi studi tutto il suo fascino. L’impulso della nuova disciplina, le Neuroscienze, è così sfociato nella Neuroetica, ovvero sulle ricadute morali delle scoperte scientifiche e quindi sull’agire umano. All’interno di queste tematiche, particolare attenzione è stata riservata alla coscienza, enigma antico, forse irrisolvibile ed avvolto dal mistero. L’integrazione tra vecchi e nuovi saperi potrà sicuramente costituire una nuova strada, anche se inevitabilmente tale percorso si presenterà tortuoso ed irto di difficoltà. La ricerca della verità costituisce un anelito irrinunciabile, anche se forse difficilmente raggiungibile. Il mistero – scriveva Antoine de Saint-Exupery – non è una mortificazione dell’intelligenza, ma uno spazio immenso che Dio offre alla nostra sete di verità.
Enrico Larghero
La realtà, così come la viviamo, sembra un continuum di sensazioni omogenee eppure, sotto la superficie, il nostro cervello opera in una maniera affascinante e misteriosa per amalgamare diversi stimoli sensoriali in un’unica esperienza cosciente.
Qui emerge un dilemma intrigante noto come “binding problem”: indagare come il nostro cervello, nonostante le informazioni siano elaborate in modo relativamente indipendente nei diversi sistemi sensoriali, riesca a integrare questi dati in un’esperienza unitaria. Un singolo momento viene percepito non come un mosaico di sensazioni separate, ma come un’unica scena coerente.
Immanuel Kant, con la sua identificazione della coscienza con l’”io penso” e l’enfasi sull’integrazione informativa come fulcro dell’esperienza, ha lanciato una pietra miliare nella comprensione della coscienza. Gli oggetti percepiti sono collocati all’interno di una struttura spazio-temporale, e relazionati ad altri oggetti, permettendoci di percepire una realtà coerente e significativa. Ciò che percepiamo, quindi, non sono semplici immagini o odori, ma entità concettualizzate, arricchite da significati e connessioni.
La scienza moderna ha accolto e sviluppato ulteriormente questi interrogativi, ponendoli al centro di numerosi studi neuroscientifici. Tra i più significativi, ad iniziare dagli anni ’80 del secolo scorso, quelli di Christophe Koch, neuroscienziato e teorico della coscienza, il quale ha dato un notevole contributo a questa ricerca, sostenendo che la natura stessa della coscienza risiede nell’integrazione delle informazioni sensoriali. Una visione che avrebbe sicuramente fatto piacere a Kant, visto che ogni nostra esperienza, da quella più semplice e quotidiana a quella più complessa, non è altro che l’integrazione di diversi input sensoriali in una singola, coesa percezione del mondo. La coscienza riflette il grado con cui un sistema (come il cervello) può integrare informazioni. In altre parole, la ricchezza e la profondità della nostra esperienza cosciente è direttamente proporzionale alla capacità del nostro cervello di unire diverse forme di dati sensoriali in un unicum esistenziale.
Altri studi significativi, a cavallo tra i due secoli, frutto delle realtà accademiche americane, sono quelli dell’italiano Giulio Tononi, con la sua Integrated Information Theory (IIT), e dell’olandese Bernard Baars, con la teoria dello spazio di lavoro globale. Essi risultano particolarmente importanti in quanto hanno offerto visioni significative, concentrandosi rispettivamente sull’integrazione dell’informazione tra neuroni e sull’importanza delle aree frontali del cervello. Entrambi gli approcci, pur avendo offerto spunti interessanti e resistito al vaglio del tempo e della ricerca, non hanno ancora permesso di cristallizzare una teoria definitiva della coscienza. Tuttavia, malgrado la complessità delle funzioni cerebrali, riusciamo a muoverci nel mondo con una sensazione di continuità e coerenza, percependo le mille sfaccettature dell’esistenza in un flusso unitario e sinergico.
La coscienza rimane una delle ultime frontiere non conquistate della scienza anche nel mondo del 2024, in cui l’intelligenza artificiale e la tecnologia permeano ogni ambito della nostra esistenza.
Mentre proseguiamo nel nostro viaggio attraverso l’esplorazione della coscienza, il mistero di come il cervello intrecci con maestria il tessuto delle nostre percezioni resta uno dei quesiti più affascinanti e sfuggenti della scienza contemporanea.
Il dialogo tra filosofia e neuroscienze indica che la questione della coscienza, che ci pone domande sull’intimità della nostra esperienza, sui confini tra soggettività e oggettività, e su cosa significhi effettivamente “essere”, è un viaggio che proseguirà probabilmente per molti altri anni, unendo sforzi interdisciplinari e, forse, portando a scoperte che oggi non possiamo nemmeno immaginare.
L’assenza di una risposta non è un fallimento, ma piuttosto un invito a esplorare ancora, a guardare al nostro intimo “essere” con curiosità e meraviglia. Ed è in questo spazio, tra il non ancora saputo e l’ancora da scoprire, che la scienza e la filosofia coesistono in un eterno dialogo, confluendo in un dinamico intreccio tra ciò che conosciamo e ciò che ancora ci sfugge. Nel fitto intreccio di teorie, esperimenti e dialoghi interdisciplinari, il mistero della coscienza persiste come uno degli enigmi più avvincenti, spianando la strada a future ricerche, dibattiti e, chi sa, un giorno, a nuove scommesse illuminanti.
Santo Lepore
© Bioetica News Torino, Maggio 2024 - Riproduzione Vietata