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Riflessioni etiche sull’esperimento cinese: gravidanza e parto di topi maschi

09 Luglio 2021

Un mese fa ebbe diffusione internazionale la notizia di uno studio cinese del Naval Medical University di Shanghai, condotto da Rongjia Zhang e Yuhuan Liu, in cui un topo maschio fu fatto partorire mediante taglio cesareo.

Gli Autori nel loro articolo, A rat model of pregnancy in the male parabiont (https://doi.org/10.1101/2021.06.09.447686, 16 june 2021), che venne pubblicato in fase non conclusiva, in preprint senza la revisione critica di altri specialisti, sulla rivista di biologia, bioRxiv, descrivevano le diverse fasi dell’esperimento nella procedura della gravidanza animale maschile (fig. 1 https://www.biorxiv.org/content/biorxiv/early/2021/06/16/2021.06.09.447686/F1.large.jpg).
In breve, un ratto femmina, non gravida, è stata unita chirurgicamente per il sistema vascolare impiegando la tecnica sperimentale chiamata parabiosi, ad un ratto maschio, precedentemente sterilizzato. In una fase successiva si è eseguito sul ratto maschile il trapianto dell’utero e poi il trasferimento degli embrioni in entrambi i topi. La tecnica chirurgica ha permesso lo sviluppo embrionale nell’utero trapiantato esposto all’ambiente ematico del ratto femmina gravida.

Sono stati trasferiti 842 embrioni allo stadio di blastocisti in 46 coppie eterosessuali di ratti sottoposti a intervento di parabiosi. Gli Autori osservano che 196 embrioni (pari a 30,07%) si sono sviluppati normalmente negli uteri femminili naturali mentre «solo il 27 (pari a 9,64%) hanno avuto uno sviluppo normale negli uteri trapiantati» (Fig. 2 https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.06.09.447686v2.full). Dalle coppie sottoposte a chirurgia di parabiosi nei ratti femmina i feti sono stati rimossi vivi con taglio cesareo ed entro due ore alcuni sono deceduti. Il successo in termini di parti e sopravvissuti portati avanti con il ricorso del taglio cesareo per i ratti maschi è stato, affermano gli Autori molto basso, con 10 piccoli nati e sviluppati fino all’età adulta. Nei ratti maschi vi erano infatti feti abnormi morti, un piccolo numero feti sopravvissuti per due o 24 ore. Dopo il taglio cesareo la coppia è stata nuovamente sottoposta a intervento chirurgico per la separazione. I maschi della coppia, una volta separati, sono sopravvissuti almeno 3 mesi.

Gli autori hanno concluso sostenendo il forte impatto che tale esperimento può avere nel campo della ricerca della biologia riproduttiva.

Il dibattito etico in Cina

Un esperimento che ha suscitato commenti differenti, stupore e incredulità, incolore o aspettativa di un accesso equo ai trapianti uterini in donne transgender.

Ad ogni modo è seguito un dibattito acceso tra accademici e il pubblico in Cina, terra in cui lo studio proviene, tanto che è gli argomenti più trattati emergenti nella piattaforma di comunicazione social cinese Weibo. Ne dà notizia il fisico Smriti Mallapaty su Nature il 9 luglio. Nel suo articolo intitolato Pregnant male rat study kindles bioethical debate in China riferendo che alcuni ricercatori in Cina sono preoccupati per una possibile perdita di reputazione del Paese, per l’esperimento con scarse prospettive per una gravidanza maschile dato dal riscontro degli esigui risultati conseguiti o per la mancanza di valore sociale dell’esperimento. Cita un sociologo dell’University of Kent in Canterbury Joy Zhang che ha lavorato per molti anni in Cina, secondo il quale negli anni recenti è stata presentata un’immagine distorta di quello che la cultura della ricerca cinese dovrebbe essere.

Smiriti Mallapaty evidenzia anche, citando il bioeticista Zhang Xingin del Pekin Union Medical College in Bejing, come non si comprende se l’esperimento di gravidanza sia stato accolto dal comitato etico indipendente, nato quest’ultimo a seguito di un caso complesso di editing genomico (sostituendo o modificando parti della sequenza del Dna) nel 2018: un requisito importante per tutti gli esperimenti a fondo pubblico che coinvolgono animali da laboratorio. Riporta il commento di Zhang Xinqing sull’esperimento che se fosse stato per lui lo avrebbe disapprovato.

Inoltre Mallapaty fa notare come gli autori R. Zhang & Y. Liu dell’articolo in preprint su bioRxvi non spiegano in che modo tale esperimento genera un impatto sulla biologia riproduttiva e poi anche che solo 10 piccoli sono stati partoriti e sopravvissuti in età adulta dai ratti maschi e cioè solo il 4% dei 280 embrioni impiantati nei topi maschi.

Riporta il commento del primo autore di tale esperimento su PubPeer.com in prospettiva umana; per Rongjia Zhang: «Se il nostro risultato è corretto, si tratta quasi di una sentenza di morte per la gravidanza maschile umana». Infatti solo i maschi ratti sottoposti a parabiosi hanno la possibilità (seppure bassa) di una gravidanza, di far sviluppare gli embrioni, perché ricevono il sangue gravido del ratto femmina.

Dall’Australia invece Mallapaty riprende l’osservazione della bioeticista Catherine Mills al Monash University di Melbourne «è un cammino assai lontano dalla reale implicazione della ricerca umana…In un certo senso non si tratta di un modello di animale ma solo un esperimento animale». E alla prospettiva di altri esperimenti simili per una sfida futura di trapianti uterini in donne transgender considerata dalla ricercatrice per la salute riproduttiva Mats Braennstroem di Gothenburg University, Mills replica: «Ci possono essere alcune applicazioni limitate dove una donna trans vuole poter iniziare una gestazione», ma altrimenti «quale è il bisogno terapeutico?».

(aggiornamento 10 luglio ore 11.10)

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino