Editoriale
A stento si riconoscono le città. Non c’è più quel frenetico andirivieni a cui ormai eravamo abituati e talvolta assuefatti. E nei centri dei piccoli paesi il quotidiano incontro per fare qualche “chiacchera” non si fa più. L’abitazione è diventata una finestra sul mondo da cui osservare ed essere informati su quanto accade fuori, sugli avvenimenti raccontati dai mezzi radiotelevisivi, dai social, dai canali internet del Governo, del Ministero della Salute, della Protezione Civile − che scorrono in un susseguirsi veloce di palinsesti, ricchi di dettagli incentrati quasi del tutto sulla diffusione dell’epidemia da CoVid-19 (Corona Virus Disease).
Una patologia, quest’ultima, infettiva che colpisce le vie respiratorie, di eziologia ancora sconosciuta ma dal virus individuato, della famiglia dei coronavirus umani, chiamato Sars-COv-2 (o nuovo coronavirus). È assai temuta, come la stiamo conoscendo, per la sua capacità infettante di proliferare purtroppo veloce. La letteratura scientifica è piuttosto scarna e gli studi si stanno facendo direttamente sul campo ma si riscontra che la maggior parte dei casi, l’80% riporta infezioni alle vie respiratorie e polmonari più lievi mentre 1 su cinque si ammala gravemente manifestando difficoltà respiratorie che possono essere anche fatali.
Tutto ciò che ruota attorno al COVID-19 desta attenzione. C’è un grande movimento, mosso da competenza professionale, umanità e generosità nonostante stanchezza, stress, turnazioni affaticanti si facciano sentire insieme a condizioni di disagio per carenza di personale, mancanza di dispositivi di sicurezza e carenze strutturali. È a loro a cui va la nostra gratitudine, a quanti si prodigano in modo più che straordinario in questo periodo di emergenza sanitaria epidemiologica nazionale e internazionale, prendendosi cura − fino purtroppo ad ammalarsi loro stessi e rimanendo lontano anche dagli affetti più cari − delle 26 mila e più persone contagiate in Italia tra casa e strutture ospedaliere (aggiornato al 17 marzo). Il nostro pensiero va a quanti non ce l’hanno fatta– sono 2.503 le persone morte – e ai loro familiari che non hanno potuto stare loro accanto, dare una sepoltura come avrebbero voluto e a quanti hanno dovuto aspettare perché non c’era più posto al cimitero.
Diamo ascolto alle istituzioni che ci dicono di rimanere a casa, di non spostarsi eccetto per motivi di lavoro, di necessità o di rientro al domicilio, in residenza o in abitazione, sapendo che è per la tutela della nostra salute e di quella degli altri.
È vero che ci troviamo in uno scenario inaspettato – ora si parla di pandemia, diffusa in più di 110 Paesi nel mondo, ma “controllabile” (dipende dai nostri comportamenti) – con l’arrivo del virus Nuovo Coronavirus che ha cambiato le nostre vite, le nostre abitudini ma è pur anche vero che tale esperienza, che ci richiede molti sacrifici, ci fa consapevoli del nostro essere, infinitamente piccoli e fragili. Solo ubbidienti, tutti insieme, alle regole restrittive, ma temporanee, emanate dal Governo in sintonia con quanto gli esperti scientifici raccomandano (misure ambientali, igienico-protettive e sociali di distanza interpersonale, evitare assembramenti di persone etc…) si può arrivare ad una ripresa alla normalità il più presto possibile. Guardiamo alla Cina la cui rigida applicazione di misure di contenimento nelle zone più colpite agli inizi ha portato ad una fase di regressione con timidi ma ottimistici segnali di ripresa per il Paese.
Con la pubblicazione di questo numero doppio, monografico, intitolato «Ai confini della vita», che raccoglie le sintesi delle relazioni del convegno organizzato dall’Unitalsi sezione Piemontese in Torino e tenutosi presso la Casa Cottolenghina il 25 gennaio scorso, desideriamo offrirvi una lettura stimolante alla conoscenza e alla riflessione su questioni etiche e sui progressi della scienza odierna nelle situazioni di confine che ci possono accompagnare nelle fasi della vita da quella nascente a quella terminale. Vi contribuiscono affermati specialisti della professione sanitaria in Piemonte, di levatura nazionale e internazionale, che ringraziamo vivamente assieme alla dottoressa Maria Rosaria Sardella, medico psichiatra responsabile sanitario Unitalsi – Piemonte che ha coordinato la pubblicazione dei lavori.
«Lo staff» di Bioetica News Torino
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