Editoriale
Cronica carenza di medici di Medicina generale e Specialisti ma al contempo migliaia di laureati da tempo bloccati nell’imbuto formativo per mancanza di contratti e borse, carenza di personale infermieristico, insufficiente copertura pubblica dell’assistenza sanitaria territoriale, tempi di attesa talvolta poco rispettosi dei bisogni effettivi della persona, disuguaglianze territoriali di accesso al Ssn. Queste sono alcune delle criticità emergenti nel panorama del sistema sanitario nazionale odierno che destano una forte preoccupazione tra le diverse rappresentanze sanitarie e gli stessi operatori. La paura è che il sistema sanitario nazionale non possa più preservarsi quale garanzia e tutela del diritto di cura e assistenza secondo quei principi di tutela universalistica, equa e solidale per il quale è stato istituito 40 anni fa. Timore manifestato anche dai Cittadini che, rappresentati da Cittadinanzattiva, assieme alla Federazione nazionale dei Medici e Odontoiatri hanno sottoposto di recente al Governo “un nuovo patto per la salute”.
Il fatto che l’Italia sia collocata tra i primi posti per aspettativa di vita media di 83 anni, la contraddistingue per migliori condizioni di vita, per una buona prevenzione, una buona qualità di servizi, ma il trascinarsi a fatica una maglia sempre ristretta per la disponibilità sanitaria pubblica, tra le più modeste in Europa, a cui si aggiungono l’invecchiamento della popolazione con la sua cronicizzazione di molte malattie, la bassa natalità e i tanti problemi strutturali e organizzativi fa temere il peggio per la protezione del diritto alla salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garanti[re] cure gratuite agli indigenti» (art. 32 Costituzione) e per un regresso nell’accesso equo e nella qualità di cura finora offerta con il sacrificio di tutti.
Il Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino ha affrontato l’argomento, di particolare delicatezza e interesse etico, in un convegno intitolato «Tutelare la salute nel mondo di domani. Una riflessione tra Sanità, società ed etica», tenutosi il 15 giugno scorso nella Facoltà teologica di Torino, dove autorevoli rappresentanti del mondo sanitario e impegnati nella società e in politica si sono confrontati offrendo stimolanti spunti di discussione.
La salute è un bene comune sul quale le istituzioni, fatte di persone, devono confrontarsi al di là di ogni pregiudizio e ideologia, afferma il prof. Enrico Larghero che ha moderato l’incontro. Sottolinea l’importanza del dialogo riportando una citazione di Walter Ricciardi, già direttore dell’Istituto Superiore di Sanità e presidente eletto «World Federation of Public Health Associations» nel suo ultimo libro «La Battaglia per la salute»: «Alla domanda se è possibile salvare, anzi consolidare e migliorare un sistema sanitario che non chiede carta di credito o certificato assicurativo a nessuno e fornisce milioni di prestazioni l’anno, la risposta non è semplice né univoca ed è: dipende. Dipende dalla partita che tutti i protagonisti – cittadini, professionisti, manager, politici – decideranno di giocare e, soprattutto, se decideranno di giocarla insieme con un senso di responsabilità, o gli uni contro gli altri».
Mentre sta prevalendo sempre di più nella sanità la tendenza all’aziendalismo dell’ospedale che, condizionato dal mercato, finisce per scartare i più poveri, le realtà [di ispirazione cristiana cattolica come il Cottolengo, i Camilliani..], afferma l’Arcivescovo di Torino monsignor Cesare Nosiglia nel porgere il saluto di benvenuto, si sforzano di restare fedeli al loro carisma originario e a quella scelta umanistica, solidaristica e spirituale che cura il fisico e l’anima del malato, tiene conto dei suoi rapporti con la famiglia e la comunità, promuove l’etica dei medici e degli operatori sanitari, la fedeltà ai principi fondamentali della visione cristiana della persona umana e dei suoi diritti e doveri verso se stessi e gli altri nel rispetto della vita dal suo inizio al naturale tramonto e le richieste del malato attivo, protagonista del suo cammino terapeutico.
Le politiche sanitarie dovrebbero essere «meno succubi di posizioni ideologiche e condizionate da ragioni economico-finanziarie, ma volte a mettere al primo posto le cure proporzionate per le persone malate giovani, adulte o anziane che siano e offrendo a tutti, non solo un percorso terapeutico, ma anche un costante accompagnamento umano e spirituale fino alla fine naturale».
Più alla “mission”, quella di tutelare la salute, meno ai criteri di efficacia ed efficienza di un’impostazione aziendalistica. L’assessore regionale alla Sanità dottor Luigi Icardi durante il saluto istituzionale alla sua prima apparizione pubblica ammette la necessità di riconoscere agli operatori sanitari motivazioni che sono mancate negli anni, consapevole del loro impegno e dedizione che li porta nonostante tutto a riuscire nel «darci ancora un livello elevato di qualità» malgrado le tante difficoltà, come le risorse scarse, il personale ridotto con turni massacranti. Conclude affermando che dall’ascolto dei bisogni degli ultimi, dalle cose più semplici, si può iniziare a riorganizzare al meglio la tutela della salute.
Le innovazioni tecnologiche e della scienza medica hanno ricadute sociali e culturali che comportano cambiamenti in una società già complessa di oggi e di domani con risvolti etici e bioetici non previsti prima, del tutto nuovi, come il «potere di entrare nel mistero della vita, “catturando” quei momenti cruciali, come l’esperienza del dolore e della malattia, per realizzare un obiettivo nuovo, ovvero la vita “di qualità” », afferma il professore Giorgio Palestro, presidente del Centro Cattolico di Bioetica – Arcidiocesi di Torino. Ne ha evidenziati alcuni nella sua relazione introduttiva non senza trascurare l’impatto che le strutture e servizi sanitari hanno sull’ecosistema. La spersonalizzazione del rapporto medico – paziente, ad esempio. Oppure lo sviluppo di «un atteggiamento sempre più critico verso [i sanitari], che si è evoluto in un desiderio, spesso dominante, di rivalsa nelle ipotesi di fallimento delle cure [… ], trasformazione [che] nel corso degli ultimi anni, ha avuto un impatto determinante sulla giurisprudenza» assicurando da un lato una tutela sempre più adeguata al paziente e dall’altro il peso di una «gravosa responsabilizzazione che non ha certo giovato all’intenzione di migliorare la qualità dei servizi rivolti al paziente e gli interventi giurisprudenziali si erano prefissi».
Per il dottor on. Giovanni Monchiero, già presidente della Scuola di Umanizzazione della Medicina Onlus, della Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) e già membro della Camera dei Deputati, che ha tenuto una lezione magistrale, la medicina ha raggiunto una serie di successi che ha cambiato la storia dell’umanità dall’eradicazione di malattie infettive alle terapie innovative, all’aspettativa di vita che si allunga al progresso terapeutico che è di per sé positivo mentre dove sono sorte e possono sorgere problemi etici è all’inizio e al fine vita dell’esistenza umana. Si tratta di problematiche non ristrette al solo campo clinico e sanitario e su cui interviene anche la giurisprudenza e la politica e si aprono alla società coinvolgendola in un dibattito pubblico.
Dall’ibernazione per procastinare la morte all’interruzione volontaria di gravidanza alla fecondazione eterologa alla maternità surrogata. Se la conoscenza della sperimentazione della clonazione su animale venisse applicata alla condizione umana − spiega il dottor Monchiero − non è visionario ipotizzare che presto saremo in grado effettuare gestazioni artificiali in modo da far nascere bambini senza padre né madre e dar origine ad una nuova umanità. Una tale esperienza comporterebbe un cambiamento del patrimonio genetico nel giro di poche generazioni. A questo punto pone una riflessione: «Riuscirà l’etica dell’agire a prevalere su quella del sapere, o l’umanità serenamente seduta sui suoi immensi arsenali nucleari, accetterà di essere trasformata dalla Scienza in un’altra specie dalle caratteristiche nemmeno immaginabili?».
Il voler limitare le sofferenze dell’ammalato sembra nascondere le volontà di rimuovere la morte come fatto “naturale” e di esorcizzarlo trasferendolo nella sfera della libera disponibilità individuale. C’è un certo tipo di paura, spiega Monchiero, quella di vivere vicende dolorose e drammatiche analoghe a situazioni limite, poche ma che hanno segnato profondamente con i lunghi strascichi giurisdizionali come è accaduto a Welby e Dj Fabo sul suicidio assistito, a Englaro per la figlia Eluana con una pluralità di questioni etico-giuridico inestricabili in materia di dignità della vita e disponibilità della vita altrui, dove il concetto di terapia applicato a idratazione e nutrizione artificiale è stato messo in discussione, o dove è lo Stato a intervenire su se e quando si deve morire nei casi del bambino inglese Charly Gard e del francese Vincent Lambert.
Si è così sentita la necessità sia da parte dei favorevoli sia da parte dei contrari di normare il fine vita lavorando ad un unico testo, la legge n. 209/2017 − di cui Monchiero è tra gli ispiratori −, che contemplasse una normativa utile alla persona sofferente richiamando i principi della deontologia medica, dell’autodeterminazione del paziente, il consenso informato e l’esperienza delle Dat. Tra le criticità evidenzia che la disposizione senza una ragione attuale ma a futura tutela non ha una certa utilità ed è piuttosto pericolosa, c’è il rischio di una male interpretazione che può essere evitato con la nomina di un fiduciario. Invece la legge garantisce un progetto condiviso mediante la pianificazione programmata delle cure per le persone affette da una malattia a prevedibile evoluzione negativa. Un ultimo punto su cui si sofferma è l’obiezione di coscienza che non è stata inclusa ma che al Parlamento la questione sull’introduzione è stata più volte sollevata sia per le strutture sia per il singolo. Per le strutture private religiose «non mi pare ipotizzabile che il fornitore di un servizio alla persona possa violare l’art. 32 della Costituzione che regge tutto l’impianto normativo e ai singoli sanitari la legge non impone alcun comportamento positivo. Il rifiuto, da parte del paziente delle cure che il medico ritiene utili costituisce l’esercizio di un diritto che il medico non può coartare».
L’aspetto umano deve sempre coniugarsi al sapere scientifico. La relazione umana non potrà mai venire meno nonostante l’uso della tecnologia, dei robot. Uno scenario nuovo che comporta in ambito sanitario nuove responsabilità, nuovi elementi deontologici ed etici, afferma Guido Giustetto presidente dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Torino. Fa osservare come un ventennio fa era inimmaginabile il mondo in cui viviamo ora, riportando l’esempio dello smartphone e del pancreas artificiale. Spiega che vi sono persone affette da diabete che utilizzano già il pancreas artificiale, strumento che serve per interpretare i dati della glicemia che un sensore sottocute legge e dare il comando a una piccola pompa che invia insulina. Un problema legato alla tecnologia è quello del “furto o manipolazione dei dati” da parte di maleintenzionati che in questo caso potrebbero modificarne le unità di insulina.
Rispetto a qualche decennio fa il tempo speso con il paziente è assai diverso, più lungo, eppure «sia ha l’impressione che tutto sia fatto di corsa» e ci vuole più tempo da dedicargli. Giustetto riporta l’esempio dei malati oncologici cronici e cardiovascolari. Le pratiche amministrative incidono nel tempo dedicato alla relazione. Manca una formazione universitaria adeguata per facilitare il rapportarsi con un linguaggio più appropriato con l’interlocutore così come per sapere fronteggiare situazioni di richieste da parte di pazienti che sono sempre più informati ed esigenti e consapevoli della loro autodeterminazione. Infine il dottore Giustetto conclude con il voler andare incontro a quelle persone che da sole non riescono ad accedere ai servizi offerti nel complesso sistema sanitario.
Il presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Torino e membro del Consiglio Regionale del Piemonte dottor Mario Giaccone solleva il rischio della prevalenza degli interessi commerciali con l’ingresso del capitale nella proprietà farmaceutica con la legge sulla concorrenza, che può risultare irrispettosa della professione farmaceutica sul piano deontologico e servire preferibilmente aree densamente popolate e redditizie tralasciando quelle meno remunerative, lontane dai centri e più disagiate, creando una disuguaglianza tra i cittadini che la rete del sistema farmaceutico dovrebbe invece tutelare. Un altro punto di riflessione è la sostenibilità e l’ammodernamento del sistema farmaceutico. Ad esempio con la prescrizione e la dispensazione di alcuni farmaci innovativi sul territorio (biosimilari ad esempio) prescrivibili dal medico di famiglia dopo che è accertata la loro sicurezza come quelli tradizionali ed efficacia, se non riservati ad uso ospedaliero. Infine la farmacia potrebbe offrire servizi, essere un sostegno all’aderenza terapeutica così come è prescritta. Un aiuto soprattutto alle persone anziane che non riescono a seguire correttamente la terapia; fatto che ricade in termini di salute sul Ssn. «La remunerazione della prescrizione sia data non dalla vendita del farmaco ma dalla sua efficienza ed efficacia nel servizio sia da un punto di vista economico che professionale».
Sulla sanità futura il dottor Josè Parrella, presidente dell’Associazione Religiosa degli Istituti Socio-sanitari di Ispirazione Cristiana (ARIS), associazione che da sessant’anni rappresenta diverse realtà no profit, da istituti di ricerca e cura a centri di riabilitazione a presidi e ospedali classificati a residenze sanitarie ed assistenziali, sostiene che «i principi ispiratori della 833/78 non possano e non debbano esser modificati, poiché significherebbe mettere in discussione la solidarietà universale. È vero anche che alcuni correttivi sono e saranno necessari, anche perché i costi della sanità sono almeno in questi ultimi anni a carico del cittadino e delle loro famiglie, se è vero come è vero che gli italiani concorrono per 33 miliardi circa della spesa sanitaria, oltre il fondo assegnato. Lo sviluppo della sanità garantita dalle Assicurazioni sarà un prelievo aggiuntivo dalle tasche degli italiani».
Più che alla tecnica in sé è alle implicazioni della tecnoscienza a livello umano, etico e sociale che deve preoccupare e occorre un cambiamento di mentalità che tenga conto dei tempi in cui si vive, sostiene infine a conclusione del convegno la presidente dell’Associazione Cattolica degli Operatori Sanitari (ACOS) Fiorenza Bugana. Il nuovo codice deontologico dell’Infermiere specifica all’art. 4 che «il tempo di relazione è tempo di cura». È più che mai necessario essere preparati anche ad affrontare con il malato paure, ansie, problematiche di carattere etico, stare accanto nei momenti difficili per i familiari. Il Codice Deontologico è, spiega, un richiamo anche a questo aspetto innovativo e ciò fa pensare ad un cambio di rotta anche nel contesto professionale, pur non chiedendoci di essere degli psicologi, ma semplicemente delle persone attente e sensibili. Denso di significato è anche la successiva affermazione: «Nell’agire professionale l’infermiere stabilisce una relazione di cura, utilizzando l’ascolto ed il dialogo».
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