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51 Settembre 2018
Speciale Disposizioni anticipate di trattamento e obiezione di coscienza

Editoriale

Tema dell’obiezione di coscienza resta un argomento bioetico fondamentale. Sempre più in una società complessa si deve definire la responsabilità dell’individuo, dei suoi atti in rapporto alla deontologia e al diritto.

La relazione tra legge e morale rimane aperta ponendo in essere delle questioni che toccano le coscienze individuali e collettive. L’argomento delle Dat e il suo lungo e tormentato iter parlamentare ne sono la conferma.

Codificare il reale secondo la legge rimane per certi versi un’utopia. Gli scenari aperti dalle tecnoscienze richiedono ora più che mai una riflessione profonda e articolata su tali questioni.

Sulle «Dat e obiezione di coscienza» il Centro Cattolico di Bioetica ha tenuto il 19 maggio scorso un convegno presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – sezione parallela di Torino di cui pubblichiamo gli Atti.

Alla luce dell’applicabilità e dei risvolti futuri che essa può determinare in ambito sanitario la legge n. 219/2017 su Consenso informato e Disposizioni Anticipate di Trattamento – che norma le modalità di consenso/dissenso alle cure e ai trattamenti sanitari compresi quelli  di NIA in fine vita e l’atto testamentario di rifiuto o consenso su volontà espresse anzitempo qualora subentrasse l’incapacità di decidere – presenta alcuni  punti di ambiguità interpretativa sui quali si è posta  una meditata e seria riflessione per evitare alcune possibili “derive” quali la porta di ingresso all’eutanasia passiva o il divenire della vita umana da bene indisponibile a disponibile.

Nel rispetto e nella tutela della vita umana, nella sua integrità fisico- psichico e spirituale, l’agire del medico non può andare contro quella che è la propria formazione medica e deontologica: «prestare in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme […  in contrasto con gli scopi della mia professione» (Giuramento di Ippocrate, 2007).

Alla possibilità di far esercitare da parte del medico l’obiezione al rifiuto dei trattamenti «finalizzati alla guarigione [del paziente] e dell’indispensabile apporto idrico», riconoscendone i suoi doveri e competenze professionali e alla richiamata importanza dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, ha accennato nel saluto istituzionale l’Arcivescovo di Torino monsignor Cesare Nosiglia, sollevando alcune criticità espresse nei comma V e VI del primo articolo del testo.

Nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali del diritto come la Convenzione di Oviedo sono già inscritti quei principi basilari a cui il medico può far riferimento nei «casi più problematici [di fin di vita] di conflitto tra l’abbandono terapeutico e l’eccesso sproporzionato e futile delle cure». Da questa premessa l’avvocato Mauro Ronco, professore Emerito di Diritto Penale e Presidente del Centro Studi «Rosario Livatino, illustra come il principio di beneficialità teso al bene del paziente e quale «fondamento dell’attività medica» di un agire con oggettività mediata da scienza e prudenza, viene limitato nella nuova legge (artt. 1 e 3) a favore di una maggiore autodeterminazione del paziente e parimenti di una limitata autonomia del medico. Si compromette così quell’alleanza terapeutica tra medico e paziente necessaria che le Dat così espresse nella legge, per il carattere vincolante sotteso dall’accezione «ordine» e non orientamento» (Dichiarazione) invece disattendono nell’espressione «è tenuto al loro rispetto» (comma 6) che può dar adito ad intraprendere poi il suicidio assistito.

Il consenso informato nella sua complessità è prassi quotidiana in oncologia dove si è sempre prestata una particolare attenzione alla comunicazione della notizia nelle diverse fasi della malattia. Rispetto alla legge sulle Dat, che è considerata buona nel suo insieme, vi sono tuttavia aspetti da considerare nella pratica clinica. Innanzitutto la questione della nutrizione e alimentazione artificiale  e della sedazione in fase terminale presentata dal dottore Alessandro Comandone, primario del Presidio Ospedaliero di Oncologia «Gradenigo». A distanza di tempo dalla scrittura della Dat la persona si troverebbe ad affrontare complicanze – descritte da Comandone – che non avrebbe conosciuto prima dinanzi alla volontà di sospendere i trattamenti nonché dinanzi a nuove possibilità terapeutiche. Poi un interrogativo, tra gli altri: la multidisciplinarietà specialistica caratterizza ormai da tempo il percorso oncologico di cura e dunque quale figura spetti di attuare le Dat?

Nel corso di attuazione della legge un rischio potrebbe essere quello di dare alle Dat un mero «valore formale» spiega il professore Carlo Casalone S.J., docente di Teologia morale alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione San Luigi e coordinatore della sezione scientifica della Pav. Un mero  strumento che, nella sua messa in atto non vengano considerate  la coscienza del malato nella sua dimensione psichico-spirituale da un lato nell’incontro dell’interpretazione più rispondente alla competenza  professionale e coscienziosa del  medico.

Se da un lato il teologo fa notare la mancanza della possibilità di un obiezione di coscienza da parte del medico, dall’altro non nasconde le difficoltà espresse in una posizione di astensione o sospensione di un atto, che potrebbe «comportare una imposizione di trattamento sanitario, in violazione dell’art. 32 Cost.».

La pubblicazione degli Atti Disposizioni Anticipate di Trattamento e obiezione di coscienza si conclude infine con le riflessioni sul convegno del presidente del Centro Cattolico di Bioetica- Arcidiocesi di Torino  professore Giorgio Palestro, Docente Ordinario Emerito di Anatomia e Istologia patologica dell’Università degli Studi di Torino.

 

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