Il Ministro della Salute, in ossequio ai dettami della legge 219/2017, entro il 30 aprile di ogni anno dovrebbe trasmettere alle Camere una relazione sull’applicazione delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) e le regioni dovrebbero fornire al ministero le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno. A causa del mancato adempimento di questa disposizione, l’Associazione Luca Coscioni, fondata nel 2002 e notoriamente impegnata a promuovere la legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia, ha di sua iniziativa condotto nel 2022 e nel 2023 indagini a tappeto per verificare la diffusione delle succitate DAT. Nei due anni in cui è stata promossa la ricerca hanno risposto 6.097 comuni, il 77,2% del totale. Si è potuto così rilevare che sono attualmente depositati 230.940 atti (uno ogni 191 cittadini maggiorenni). Il 90,4% di essi è stato già inserito nella Banca Dati Nazionale. A questi si devono aggiungere quelli che, essendo depositati presso gli studi notarili, gli uffici consolari e le strutture sanitarie, non possono essere censiti.
Considerando i risultati pervenuti entro il 31 dicembre 2023 dai 4.533 enti che avevano già fornito le loro percentuali nell’anno precedente, si può evincere che nel 2023 è stato depositato il 52,5% di DAT in più rispetto al 2022. Al primo posto si è distinto l’Abruzzo seguito da Marche, Piemonte, Trentino-Alto Adige e Emilia-Romagna. In Piemonte un cittadino su 143 li ha redatti. Anche la Valle d’Aosta è fra le prime posizioni. È infatti all’ottavo posto con una DAT ogni 152 maggiorenni. La provincia di Torino, con una dichiarazione ogni 132 abitanti, ha superato la media abruzzese (1 su 134) mentre Aosta, con una DAT ogni 108 abitanti, si colloca tra le prime dieci città italiane. La provincia con più testamenti di fine vita depositati è però Varese (una DAT ogni 86 maggiorenni).
La Chiesa non è pregiudizialmente contraria alla compilazione previa delle proprie volontà da utilizzare al sopraggiungere di malattie che rendono i pazienti incapaci di interloquire con i sanitari. Ne è prova la scelta della rivista cattolica Aggiornamenti Sociali di incaricare il suo gruppo di studio bioetico di elaborare un modello di DAT coerente con i dettami dell’etica cristiana. Il testo stilato è scaricabile liberamente dal sito della rivista. In esso si specifica che l’estensore, pur convenendo che la vita terrena è una benedizione di Dio, può chiarire che non considera opportuno prolungarla ad ogni costo come se fosse un valore supremo e assoluto. Riconosce perciò l’opportunità di sospendere le terapie e i dispositivi artificiali di sostegno vitale che risultano sproporzionati e che hanno l’unico scopo di prolungare in modo gravoso il processo di morte. Questa sottolineatura è ribadita anche da diversi trattati ecclesiali in materia. La lettera Samaritanus bonus,curata nel 2020 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ad esempio ribadisce l’opportunità di sospendere le terapie sproporzionate, fermo restando la necessità di mantenere le cure di base, cioè le cure palliative, incluse quelle per alleviare il dolore, che offrono un accompagnamento dignitoso alla morte naturale. Il medesimo pronunciamento ribadisce esplicitamente che la rinuncia ai trattamenti «che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita» può essere «espressa nelle cosiddette dichiarazioni anticipate di trattamento, escludendo però ogni atto di natura eutanasica o suicidaria».
L’Associazione Luca Coscioni lamenta che il numero degli aderenti è ancora troppo basso. Ha accusato lo Stato di non essere sufficientemente attento a sensibilizzare sulla questione e si è impegnata a richiedere a un pool di medici di offrire indicazioni sul tema a tutti i cittadini. Contrariamente a quanto denunciato dall’Associazione, sembra evidente che non sia mancata l’informazione in materia. Al tempo del contrastato dibattito che ha portato alla promulgazione della legge 219/2017 non c’era mass media che non desse quotidianamente un accurato resoconto sull’andamento delle trattative. Probabilmente chi lamenta la scarsa raccolta delle DAT dimentica che l’esistenza del diritto di redigerle non è da confondere con il dovere di sottoscriverle. È verosimile pensare che la maggior parte dei cittadini non sia portata a pensare al fine vita e preferisca implicitamente affidare alle persone correlate la gestione di una eventuale incapacità di interloquire con il personale sanitario. Una eventuale campagna di sensibilizzazione può comunque sortire qualche positivo effetto a condizione però che non si fomenti la contestabile idea che la vita sia un bene insindacabilmente disponibile e soggetta all’indiscutibile autonomia decisionale del singolo, anche se non gravato da condizioni patologiche terminali.
© Bioetica News Torino, Agosto 2024 - Riproduzione Vietata