Diritti umani “violati” nel mondo. Rapporto di Amnesty International
29 Marzo 2022Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International, mette a nudo le ipocrisie alimentate da un egoismo sempre più accentuato che si riversa sui popoli nell’introduzione al Rapporto 2021 -2022 sui diritti umani, fresco di stampa, edito da Infinito edizioni e curato da Beatrice Gnassi. “Le promesse di un mondo migliore” in sintonia con un sentire solidaristico globale non hanno trovato, se non raro, riscontro, facendo sottendere la loro inafferrabilità se non ci sarà una volontà che desideri effettivamente concretizzare i diversi impegni secondo i valori umani di giustizia. Fanno da contraltare invece nonostante le limitazioni alla libertà di espressione o di associazione le proteste innalzate in più di 80 paesi per “far sentire la propria voce”, i diritti violati.
«Il 2021 avrebbe dovuto essere un anno di guarigione e ripresa. Invece, è diventato un incubatore di disuguaglianze e instabilità sempre maggiori, non solo per il 2021, non solo per il 2022. ma per il decennio a venire», preoccupata, scrive infatti Callamard che sollecita a «costruire insieme un movimento più concreto, esigente e insistente, che abbia come obiettivo una solidarietà globale, fatto dalla gente per la gente». Conclude infine commentando: «Sappiamo che in ultima analisi i nostri futuri e i nostri destini sono intrecciati e interdipendenti: quelli delle persone e quelli del pianeta. Ne siamo consapevoli. Dobbiamo vivere per questo».
Il Rapporto presenta la situazione sui diritti umani in 154 Paesi ed è corredato di infografiche.
Sfollamenti di massa di rifugiati e richiedenti asilo
Il 2021 si caratterizza per la fiumana di persone che sono costrette a fuggire dai loro paesi spinti dalle violazioni dei diritti umani causati da motivi diversi, conflitti interni e repressioni o discriminazioni verso le minoranze come avviene in Aghanistan, Etiopia, Myanmar, Venezuela, Repubblica democratica del Congo o a causa di calamità naturali come la siccità in Angola o nel sud del Madagascar o in Sudafrica. Nel Sud della Repubblica democratica del Congo l’inquinamento nei fiumi causato dal petrolio riversato da una compagnia mineraria ha causato più di 40 decessi, centinaia di casi di diarrea e morte dell’ambiente marino. Secondo i dati riportati dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a metà del 2021 si presentava uno scenario mondiale nel quale vi erano 26 milioni di rifugiati e 4 milioni e 400 mila di richiedenti asilo, molti dei quali rimanevano nei campi profughi per anni con il timore di essere in qualunque momento rimandati nel paese da cui erano fuggiti per la libertà: li ospitano Bangladesh, Uganda, Turchia, Giordania e Kenya.
La Repubblica democratica del Congo è arrivata ad avere un totale di 5 milioni di sfollati interni mentre in Somalia si sono aggiunti a precedenti che erano oltre i 2milioni e 600 mila i 570 mila tra gennaio e agosto. L’Uganda presenta il più alto numero di rifugiati di tutta l’Africa con più di 1milione e 500 mila persone. Rimane slittato a giugno 2022, grazie all’intervento dell’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, la chiusura dei campi profughi di Kakuma e Dadaab voluta dal governo keniano.
La loro vita è stata segnata anche dai colpi inferti dai respingimenti di massa che trovano sempre una qualche giustificazione. Se da un lato si assiste ad un aumento di paesi ospitali nei confronti dei profughi, sono una quindicina, che promuovono progetti non solo per accoglierli ma anche per integrarli, dall’altro il sentimento di xenofobia nei confronti del migrante è accresciuto a livello internazionale. Sono 12 i Paesi che hanno fatto richiesta al Consiglio d’Europa delle Nazioni Unite di allentare la normativa sulla protezione. Cresce il numero dei governi che non si occupano direttamente delle procedure nazionali delle richieste di asilo, esternalizzandole, e che hanno in uso una tecnologia sofisticata di sorveglianza e raccolta dati alle frontiere, sorveglianza che viene per la maggior parte utilizzata – come sostiene Amnesty – in modo sproporzionale soprattutto nei paesi con una maggioranza caucasica, nei confronti delle persone di colore».
Dal suo monitoraggio in almeno 48 Paesi vi sono state delle azioni illegali nei confronti di rifugiati o migranti. Fa l’esempio della Libia in cui migliaia di persone sono state sottoposte a “sparizione forzata” dopo che sono state fatte sbarcare dalle unità della guardia costiera libica, sostenuta dall’Unione Europea e della Malesia che ha espulso più di un migliaio di persone rimandandole in Myanmar nonostante si sapesse dei rischi di persecuzione a cui sarebbero andati incontro. L’assistenza medica non è stata concessa ai migranti e ai richiedenti asilo, un milione e cinquecentomila in tutto, in Perù. Invece i progetti di integrazione come i preparativi per la Coppa del mondo di calcio 2022 nel Qatar hanno consentito di fermare abusi sul lavoro contro i lavori migranti.
Amnesty sostiene che i governi devono tutelare le persone che cercano protezione internazionale, rispettare i loro diritti e acconsentire che rimangano nel proprio territorio «in condizioni accettabili, fino a quando non sia stata trovata una soluzione duratura.
Popolazione civile, vittima dei conflitti armati
Crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale umanitario vengono compiuti dalle parti in conflitto.
AFRICA SUBSAHARIANA. Amnesty International riporta che nella regione dell’Estremo nord del Camerun risultano ad opera di Boko Harama e della Provincia della Stato islamico in Africa occidentale (Iswap), al 24 ottobre almeno 70 civili uccisi. In Etiopia il fronte popolare di Liberazione del Tigray, le forze di sicurezza etiopi e le milizie si sono accanite su centinaia di civili come è accaduto a Bora, Edaga Berhe e Adi-Goshu. In un raid aereo dell’aviazione etiope su un mercato nel Tigray hanno perso la vita più di 50 civili.
In Niger lo Stato islamico ha mietuto nei villaggi di Tillabéri e Tahoua, tra gennaio e marzo, più di 290 civili.
A nord est della Nigeria Boko Haram e lo stato islamico hanno fatto strage di oltre 120 morti.
In Somalia sono 240 i civili morti tra febbraio e luglio a causa di attacchi dal gruppo armato al-Shabaab e dalle forze di sicurezza, dalle milizie dei clan e dai contingenti militari internazionali e regionali.
Si parla di violenza sessuale come tattica di guerra nei conflitti armati in Africa. Nella Repubblica Democratica del Congo, secondo quanto riportato dalle Nazioni unite, tra gennaio e settembre sono avvenuti nel Nord Kivu e nell’Ituri stupri di 1100 donne. In Sud Sudan, sempre dalle notizie riportate dalle Nazioni Unite, le forze di sicurezza statali e gli attori armati non statali sono responsabili di almeno 63 episodi di stupro, stupro di gruppo e nudità forzata. In Niger ad aprile nella regione Tillabéri membri del contingente ciadiano del G5 Sahel hanno stuprato due donne e una ragazzina di 11 anni.
La limitazione dell’accesso agli aiuti umanitari è un’altra tattica di guerra. Ad esempio in Burkina Faso, il Gruppo di supporto all’Islam e ai musulmani ha bloccato l’accesso alla città di Mansila, causando insicurezza alimentare alla popolazione. Oppure in Etiopia dove più di cinque milioni di persone sono rimaste senza o con limitati aiuti umanitari, in particolare cibo e medicinali, così per 19 milioni nella Repubblica Democratica del Congo e per 8 milioni in Sud Sudan.
Impunità
Mentre nella Repubblica Democratica del Congo agenti di polizia o dell’esercito hanno ricevuto una condanna penale per reati gravi come quello di violenza sessuale, molti altri sono rimasti impuniti come è successo in Burkina Faso per l’uccisione di una cinquantina di persone e la sparizione di 66 persone nel 2019 ad opera del gruppo armato Kogleweogo nel villaggio di Yirgou della provincia di Sanmatenga.
In Sud Sudan il processo per le 100 vittime che manifestarono nel 2019 continua ad essere rinviato.
Quale sorte per i difensori dei diritti umani ?
Con l’arresto e azioni penali viene messa a tacere la voce dei difensori dei diritti umani: è avvenuto in diversi paesi tra cui Benin, Congo, Repubblica Democratica del Congo (Drc), Eswatini, Kenya, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania, Zambia e Zimbawe.
Nel Drc due informatori finanziari sono stati condannati a morte in contumacia per transazioni che favorivano individui o enti sottoposti a sanzioni internazionali; in Ruanda 15 anni di carcere sono stati assegnati ad un 15enne per avere criticato le politiche del governo su You Tube.
L’ambientalista Joannah Stutchbury è stata uccisa nella propria casa in Kenya dopo aver ricevuto minacce di morte; una sorte simile è toccata a due giornalisti in Somalia.
Le associazioni non governative devono affrontare diverse difficoltà per proseguire il loro operato: ad esempio in Togo sono state sospese il rilascio e il loro rinnovo mentre il governo ugandese ne ha sospese 54 con la motivazione di inadempimento legislativo o ancora in Zimbawe dove sono costrette a chiudere se vi è il sospetto di finanziamenti a esponenti politici durante le elezioni.
Angola, Burkina Faso, Drc, Madagascar, Senegal, Tanzania, Togo sono Paesi in cui i media non hanno dovuto sospendere le loro attività. Social network finiscono tra chiusure e sospensioni in Eswatin, Niger, Senegal, Sud Sudan, Uganda e Zambia.
ITALIA. Si hanno manifestazioni nelle piazze per poter accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati senza green pass che hanno assunto anche toni violenti. Amnesty fa osservare come i diritti dei residenti anziani nelle case di riposo a ricevere le visite dei familiari sono stati violati a lungo prima che venissero rilasciati i permessi con i certificati verde covid-19.
In tema di migranti Amnesty rileva come la regolarizzazione dei migranti avviata nel 2020 ha raggiunto risultati limitati: ad agosto 60 mila hanno ottenuto qualche documentazione su 230 mila richieste mentre decine di migliaia di domande sono inevase. L’irregolarità ha impedito inizialmente la vaccinazione anticovid-19 che poi a settembre è stata resa possibile su base volontaria.
Sono 4800 i cittadini afghani evacuati dall’Afghanistan dopo la presa di potere da parte dei talebani.
Sono 32 mila tra rifugiati e migranti catturati in mare e riportati in Libia, «nonostante le diffuse prove di continui abusi nei loro confronti». Da Libia e Tunisia provengono oltre 67 mila, tra cui minori non accompagnati, che hanno raggiunto via mare l’Italia. Le morti in mare sono arrivate a 1500 nel 2021.
120 guardie carcerarie e alti funzionari dell’amministrazione penitenziaria sono state accusati di tortura e maltrattamenti nei confronti di un gruppo di detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere in Campania.
EUROPA E ASIA CENTRALE. Si è assistito alle fortificazioni delle frontiere e respingimenti “illegali”. Cresce il razzismo contro le persone nere, roma ed ebree. Discriminazione tra paesi ricchi e poveri è resa evidente nelle politiche sui vaccini il cui numero è alto in Europa mentre è basso in alcuni paesi dell’Europa orientale e dell’Asia Centrale.
La Polonia sfida l’Europa sull’indipendenza della magistratura del paese. In Bielorussia le autorità hanno utilizzato il sistema giudiziario come arma per punire vittime di tortura e testimoni di violazioni di diritti umani.
L’imbavagliamento della voce del giornalismo è avvenuta in Bosnia ed Erzegovina con quasi 300 cause di diffamazione in gran parte proveniente dai politici; in Croazia vi sono più di 900 cause; indebolita la libertà di espressione in Bulgaria, Repubblica Ceca e Slovenia; il Kazakistan e la Russia hanno intensificato il ricorso a leggi contro l’estremismo per reprimere il dissenso.