La società contemporanea multietnica e multiculturale elabora percorsi di inclusione attraverso i quali garantire un tessuto comune di dialogo, di confronto e di condivisione. Tuttavia alcuni temi rimangono divisivi e tra questi le tematiche di inizio vita, ovvero interruzione volontaria di gravidanza e maternità surrogata. Il Magistero della Chiesa si è più volte espresso su questi delicati argomenti e con l’Enciclica Evangelium vitae di S.Giovanni Paolo II ha intrapreso una strenua battaglia contro l’imperante cultura di morte. La tutela della vita e delle fragilità emerge anche dalle pagine di Dignitas Infinita come si evince dal commento al testo di Valter Boero e Silvia Tossut a rappresentanza del Movimento per la Vita. Siamo testimoni di un particolare momento della storia occidentale. Difendiamo la natura, sosteniamo l’ecologia e la svolta green, ma ricorriamo alla fecondazione in vitro; siamo per la pace, ma pratichiamo l’aborto e l’eutanasia. Il nostro è veramente un tempo di paradossi…
Enrico Larghero
Nella Dignitas infinita (DI), la tutela della vita nascente è menzionata in svariati punti e trattata nei paragrafi dedicati all’aborto (47) e alla maternità surrogata (48-50). Le posizioni espresse riprendono la linea del magistero della Chiesa, che non ha mai dato segni di incertezza nel riconoscere la dignità della persona umana fin dal concepimento e nel rimarcare come le pratiche artificiali di concepimento vìolino tale dignità. L’attualità di una condanna delle pratiche abortive è comunque evidente: in Francia, il diritto all’aborto è entrato nella Costituzione e il Parlamento europeo ha espresso parere favorevole all’inclusione dell’interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
Al tema dell’aborto la DI dedica di fatto un singolo paragrafo, lungo ma privo di elementi di novità: il §47 è infatti costituito quasi in toto di citazioni (dalla Evangelium Vitae e dalla Evangelii gaudium). I due punti cruciali di questo passo sono mutuati da san Giovanni Paolo II. Primo, l’accettazione dell’aborto nella mentalità e nella stessa legge segnala una “pericolosissima crisi del senso morale”. Secondo, vi è un inganno semantico insito nel ricorso all’espressione “interruzione volontaria di gravidanza”, rafforzata dall’utilizzo dell’acronimo IVG, che non cambia la realtà delle cose, ma ne modifica la percezione. Parola/definizione/azione sono connesse in una sorta di circolo ermeneutico: un orecchio attento sa trarre dalle parole usate nei discorsi pubblici l’antropologia sottesa, che oggi rimanda per lo più al concetto di “qualità della vita” determinato su base utilitarista come parametro per (auto)valutare la dignità della vita. Di fronte a una persona in grado di autodeterminarsi, vige un soggettivismo ai limiti della solitudine e dell’abbandono, mentre una persona priva di questa capacità fatica a trovare chi tuteli la sua dignità.
La piena comprensione di questo paragrafo può darsi, però, solo nel contesto in cui esso è inserito con particolare attenzione a due aspetti ribaditi nella DI: (1) il carattere ontologico della dignità, in virtù del quale essa prescinde dalla possibilità di esercitare la libertà e di autodeterminarsi: “Tutti gli esseri umani possiedono la medesima ed intrinseca dignità, indipendentemente dal fatto che siano in grado o meno di esprimerla adeguatamente” (15, v. anche il 9 dove c’è esplicito riferimento all’inalienabile dignità di “un bambino non ancora nato”); (2) la struttura relazionale della persona umana (26-28).
Questi due aspetti, uniti all’esperienza sul campo dell’accompagnamento delle donne (o delle coppie) che sono intenzionate ad abortire o che vivono il momento della gravidanza con apprensione e umana fatica, consentono di declinare le indicazioni della DI in una riflessione concreta che prende le mosse da un dato spesso trascurato, ma fondamentale: quando accogliamo una donna incinta, ci troviamo davanti a due dignità infinite, quella del nascituro e quella della donna. Il volontariato per la vita è rivolto certo alla dignità del più piccolo e più indifeso tra noi e alla sua tutela, ma il solo modo proficuo di farlo è permettendo alla donna di riconoscersi, lei per prima, come degna: degna di rispetto, di considerazione, di ascolto; infinitamente degna di amore “al di là di ogni circostanza”. L’accoglienza operosa e non giudicante della donna/madre ci pare in definitiva l’unico strumento utile e necessario per contrastare la volontà abortiva – o la ben più frequente rassegnazione abortiva. Solo questa accoglienza è in grado di far fiorire nella donna la consapevolezza di poter a sua volta accogliere il figlio. Non basta il rispetto di un’astratta autonomia disincarnata per esserci per l’altro. L’accompagnamento vero si dà solo accogliendo l’altro nella sua irriducibile dimensione personale proprio per la natura intrinsecamente relazionale della persona umana. Una dimensione che si impone nella sua verità fenomenologicamente proprio nel momento della gravidanza, e che trova conferma nella ricerca scientifica: nessuno di noi può esistere se non in relazione con l’altro. “Perché sia possibile un’autentica libertà, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro” (31): l’invito a superare l’accento riduttivo sull’autonomia individuale che caratterizza la nostra epoca è forse l’aspetto dominante della DI.
Lo stesso rispetto e la stessa tutela del figlio concepito e del soggetto-madre giustificano le parole della DI sulla maternità surrogata (48-50). Ridurre la relazionalità a contratti economici o ridurre la persona e la sua infinità dignità a materiale di scambio vìola il diritto tanto del nascituro quanto della donna. “Il legittimo desiderio di avere un figlio non può essere trasformato in un ‘diritto al figlio’ che non rispetta la dignità del figlio stesso come destinatario del dono gratuito della vita” (49): l’esercizio della libertà e dall’autodeterminazione non può mai trasformarsi nel diritto di violare la dignità ontologica di persona alcuna.
Silvia Tossut e Valter Boero
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