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89 Giugno 2022
Speciale L'Arte al servizio della vita

Desiderio di autenticità e ricerca creativa nei giovani: problema educativo nella società tardo-moderna

Le considerazioni che seguono non riguardano in senso stretto il rapporto dei giovani con l’arte bensì, in senso lato, il loro desiderio di autenticità come tensione creativa; il soggetto viene quindi inteso similmente a colui che guarda alla potenzialità della propria esistenza mosso dall’idea di fare di essa, cioè di sé, qualcosa di bello.

Il desiderio dell’autenticità, come intenzione di fare della vita la propria personalissima opera d’arte, costituisce uno degli aspetti salienti che anima la tensione esistenziale tipica dell’uomo moderno e indirizza la sua condotta di vita individuale. La cultura odierna va affermando la progettualità riflessiva, essenzialmente come idea del farsi e del sentirsi sempre più radicalmente artefici del proprio destino; questa è ritenuta la condizione indispensabile per la felicità o comunque per considerare riuscita la propria vita anche al di là dei risultati effettivamente raggiunti. Anche per l’etica moderna più del cosa conta il come, benché in un senso affatto diverso rispetto alla cultura premoderna.

Il concetto di realizzazione di sé nel corso della storia

Quest’ultima, che possiamo anche chiamare cultura classica o tradizionale, indicava il segreto per la realizzazione della vita essenzialmente nell’adesione al principio di realtà, cioè all’ordine delle cose del mondo, alla struttura immutabile ed eterna dell’essere. Il significato canonico del mito della caverna, narrato da Platone nella sua opera più importante, La Repubblica, riecheggia quattro secoli più tardi in una delle più emblematiche frasi pronunciate da Gesù di Nazaret, il fondatore del cristianesimo: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8.32)1.

Nel V secolo dopo Cristo, cioè nell’imminenza del definitivo crollo dell’Impero romano d’occidente, la filosofia neoplatonica e il Cristianesimo – vagliate, selezionate e preservate proprio dalla civiltà romana (Brague 2005) – sono condotte a sintesi dall’opera di sant’Agostino, formando l’architrave filosofica di quella che sarebbe diventata la civiltà medievale europea, nonché del concetto stesso di Europa.

La cultura occidentale che precede l’avvento della modernità si basa, da un lato, sull’idea che il segreto della vita riuscita si trovi nel riconoscimento della struttura oggettiva del mondo e nella corrispondenza (o compartecipazione) tra ideale e reale e, dall’altro lato, nella ferma convinzione che la ragione umana sia ben attrezzata proprio per cogliere questa corrispondenza: com’è noto san Tommaso d’Aquino, il massimo filosofo del medioevo, definisce la verità per l’appunto adaequatio rei et intellectus. L’uomo saggio, colui cioè che fa un uso retto e umile della ragione e che è animato dalla buona volontà (nella misura in cui asseconda il dono della grazia divina), dispone di tutti gli elementi cognitivi e morali per vivere la vita buona e, in senso lato, per edificare una società giusta, sebbene entrambe sempre inevitabilmente imperfette e dunque migliorabili.

In una siffatta società, idealmente, ciascuno conosce sé stesso e il proprio compito e vive la propria esistenza avendone chiaro il senso profondo e la meta ultima, che sono rispettivamente la caritas e la beatitudine eterna, tra loro strettamente intrecciate. In sostanza si tratta semplicemente di amministrare il libero arbitrio, avendo di fronte una realtà nella quale ogni cosa ha il suo posto e le distinzioni vero/falso, bene/male, giusto/ingiusto, bello/brutto sono evidenti, stabili e condivise.

In epoca tardomedievale e primo-rinascimentale la storia dell’Europa imbocca il percorso della graduale uscita da questo orizzonte, segnando il passaggio dal registro premoderno a quello moderno. Nella letteratura sociologica classica questa svolta è stata concettualizzata in modo semplice e chiaro e collocata nella storia delle idee. Ad esempio, secondo Max Weber l’inizio della trasformazione va pensato come quel momento in cui l’idea (che per secoli aveva costituito il cardine assoluto della cultura europea) secondo la quale l’ordine sociale debba riflettere l’ordine divino assecondando così il progetto della creazione, comincia gradualmente a non costituire più l’unico criterio ammissibile per pensare e progettare una società a misura d’uomo e per orientare la condotta di vita propriamente umana.

Dopo il passaggio della soglia, quindi, abbiamo per alcuni secoli il registro tradizionale e quello moderno convivono in modo più o meno conflittuale e collaborativo, sebbene il secondo vada ad erodere sempre più spazio al primo affermando in modo via via crescente il proprio dominio culturale, etico e politico nella forma dei diversi “programmi moderni” tra loro in competizione, come ad esempio le grandi ideologie politiche, ma anche il capitalismo e la società tecnocratica, esse stesse delle ideologie.

Alla ricerca della “felicità”

La vita riuscita è quella della felicità terrena, ma ciò è possibile solo come ricerca ed espressione della propria autenticità. Il soggetto e l’oggetto della ricerca coincidono. L’uomo moderno cerca sé stesso, ma non più nel senso in cui la saggezza antica affermava “conosci te stesso”. Nella cultura classica il nosce te ipsum significava prendere consapevolezza dell’oggettività della condizione umana in quanto segnata dal limite e dalla morte, e accettarla, come premessa indispensabile per una vita autentica; l’atteggiamento contrario è quello della hybris e cioè l’orgoglio assurdo che spinge l’uomo, un essere mortale, a voler oltrepassare il proprio limite nel tentativo tanto superbo quanto illusorio di elevarsi al livello degli dei, gli unici esseri immortali.

In realtà nel cristianesimo il desiderio di eternità dell’uomo ha potuto trovare una risposta ulteriore e decisiva rispetto al realismo tragico, essenzialmente stoico, offerto dalla saggezza degli antichi: l’eternità diventa possibile come partecipazione e sequela dell’essere finito all’Essere eterno; e ciò non in forza del fatto che l’uomo riesce nel suo sforzo di diventare Dio ma, al contrario, in virtù dell’avvenimento cristiano, per cui è Dio che si fa uomo e riscatta l’umanità dalla finitezza e dalla morte. Pertanto la sapienza cristiana giunge a concludere, con san Paolo, che l’uomo autentico e realizzato è colui il quale può affermare umilmente «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me»2. In questo senso è corretto affermare che la modernità sia definita essenzialmente dal confronto serrato con il Cristianesimo e non genericamente con la religione.

Identità e libertà

La ricerca dell’autenticità che declina il “conosci te stesso” secondo il registro moderno è qualcosa di molto diverso e tuttavia non necessariamente incompatibile con l’accezione classica. Secondo il sociologo canadese contemporaneo Charles Taylor (1999), un pensatore cristiano, si tratta senza dubbio di un lascito positivo della modernità, a condizione però che tale ricerca non degeneri in quello che egli chiama uno “slittamento verso il soggettivismo”; con questo termine si deve intendere l’atteggiamento di irriducibile autoreferenzialità del soggetto, per cui egli ritiene di non aver bisogno di alcun riconoscimento da parte della realtà esterna a lui, compresi gli altri suoi simili, per poter considerare legittimo il risultato della propria ricerca, qualunque esso sia: l’unica cosa che conta è che aggradi a lui.

In realtà la liquidità della cultura e delle relazioni sociali, (Bauman 2018) coincidono con la riflessività della modernità (Beck, Giddens, Lash) come le due facce di quella stessa moneta che è la cultura attualmente dominante in occidente: se da un lato si accentua lo smarrimento del singolo nella forma di una profonda crisi di senso causata dallo smaterializzarsi del dato per scontato (Berger, Luckmann 2010), dall’altro lato, e proprio per questo, si intensifica drammaticamente, specie nei giovani, l’esigenza di definire la propria identità. Ma il fenomeno della liquefazione tanto della realtà esterna quanto valori condivisi e autentici – cioè il nichilismo (Del Noce 2015) – rende le relazioni sociali scarsamente significative, amplifica la solitudine e indirizza la ricerca dell’identità proprio sui binari del soggettivismo (Bauman 2000).

Questa ricerca si configura ora come operazione di costruzione riflessiva dell’identità individuale (Beck 2008), nella quale tutta la responsabilità della narrazione di sé, delle scelte, della riuscita o del fallimento, grava sulle spalle dei singoli. È la libertà radicale che si trasforma spesso in un fardello psicologicamente insostenibile. Questo fenomeno tende a generare soggetti schizofrenici, al contempo radicalmente autoreferenziali e tragicamente insicuri: da un lato personalità narcisistiche (sintesi di fragilità e violenza) che compensano l’ansia della propria solitudine con quotidiane iniezioni di autostima riflessiva, cioè artificiale (Lasch 2018) e che proprio per questo non tollerano di essere smentiti dall’impatto con la realtà e con gli altri; dall’altro lato individui che per ridurre il rischio di incappare nei circoli viziosi di illusione/delusione, euforia/depressione, anziché guardare alla propria vita come un’opera d’arte, tendono invece a progettarla nei minimi termini; certe espressioni dell’arte contemporanea esprimono per l’appunto questa riduzione. L’io minimo narcisistico, in realtà, è facilmente vittima dei processi di omologazione e indottrinamento posti in essere dal potere (Lasch 2020). L’illusione della libertà radicale instaura la massima tirannia.

Conclusione

In questo scenario l’esperienza estetica, come stupore e riconoscenza destati dal gratuito e imprevisto imbattersi nella bellezza oggettiva, costituisce uno dei pochi punti di fuga rimasti da cui ripartire per riappropriarsi della propria vita secondo un principio di realtà.

Note
  1. «Se rimarrete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv  8,31-32)
  2. «Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me. Io non rendo inutile la grazia di Dio». (Gal 2,20-21).
Bibliografia

BAUMAN Z.  (2018) [1997], Il disagio della postmodernità, Laterza, Bari-Roma

BAUMAN Z.  (2000) [1999], La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano

BERGER P., LUCKMANN  T., (2010) [1995], Lo smarrimento dell’uomo moderno, Il Mulino, Bologna

BECK  U., (2008) [1997], Costruire la propria vita, Il Mulino, Bologna

BECK U.,  Giddens A., Lash S., (1999) [1994], Modernità riflessiva. Politica, tradizione ed estetica nell’ordine sociale della modernità, Asterios, Trieste

BRAGUE  R., (2005) [1992], Il futuro dell’occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, Bompiani, Milano

DEL NOCE A.  (2015) [1970], L’epoca della secolarizzazione, Aragno, Milano

LASH C. (2018) [1979], La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive, Neri Pozza, Vicenza.

LASH  C. (2020) [1984], L’io minimo. Sopravvivenza psichica in tempi difficili, Neri Pozza, Vicenza

TAYLOR C.  (1999) [1991], Il disagio della modernità, Laterza, Bari-Roma.

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