Do volentieri il benvenuto ai relatori e a voi tutti partecipanti a questo convegno e vi ringrazio della vostra presenza. La mia riconoscenza va in modo particolare al Presidente del Centro Cattolico di Bioetica, Prof. Giorgio Palestro, e al direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute, don Paolo Fini, che con i loro collaboratori hanno accolto il mio invito a programmare questa iniziativa. Manifesto anche la mia gratitudine all’Ordine dei Medici e all’Accademia di Medicina che hanno offerto il loro patrocinio per il nostro incontro.
Ho profondamente desiderato questo evento perché sono consapevole che la legge Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, ratificata dal Senato il 14 dicembre 2017, è stata giudicata in alcuni aspetti positivi, quali la sottolineatura dell’importanza del consenso informato e delle cure palliative, ma ha anche suscitato serie e legittime critiche e osservazioni sia presso i vescovi, sia in una parte consistente dell’opinione pubblica e in molti operatori sanitari. Il serrato dibattito mediatico che ne è scaturito ha rischiato di creare maggiore confusione.
In sé e per sé la possibilità di stilare le DAT non è negativa. Anche la Nuova carta degli operatori sanitari, pubblicata dal Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari nel 2016, afferma al paragrafo 150 che
È però particolarmente discusso di questa legge il quinto comma del primo articolo perché dà l’impressione che il paziente possa rifiutare anche i trattamenti finalizzati alla sua guarigione e all’indispensabile apporto idrico e alimentare. Se così fosse, sarebbe più che mai giustificata una seria opposizione perché tale scelta si configurerebbe come una forma di “eutanasia passiva”. Il sesto comma del medesimo articolo inoltre sembra togliere ogni possibilità di obiezione da parte del medico perché asserisce che «è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo».
Va rilevato che lo stesso comma precisa che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norma di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali». Questo assunto dovrebbe far intendere che non sia concessa nessuna deriva eutanasica visto che la legge italiana commina pene severe a chi la provoca o vi collabora (cfr. articoli 579-580 del c.p.). Inoltre, il Codice deontologico dei medici all’articolo 17 asserisce che «il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte». La non messa in atto o l’eventuale sospensione dei trattamenti non dovrebbe quindi mai essere effettuata se motivata dall’arbitraria volontà di darsi la morte, ma solo se percepita come un trattamento sproporzionato in riferimento al quadro clinico del paziente.
In questo senso si è espresso anche il paragrafo 152 della Nuova carta degli operatori sanitari che, facendo riferimento al documento della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato nel 2007 e intititolato Responsa ad quaestiones ab Episcopali Conferentia Foederatorum Ameriae, afferma che «la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio». L’obbligo di somministrazione non è quindi assoluto. Permane «nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità». La nutrizione e l’idratazione artificiale potrebbero essere, infatti, addirittura dannose e potrebbero causare una morte anticipata qualora il paziente nella fase terminale avesse una limitata capacità di metabolizzare gli alimenti o fosse in blocco renale.
Rimangono però riserve interpretative che potrebbero aprire scenari preoccupanti. A scanso di equivoci, pertanto, da più parti sì è invocata la possibilità e in parte la necessità di prevedere l’obiezione di coscienza. Questo invito è stato espresso anche il 25 gennaio scorso dal comunicato finale del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana che così recita:
In linea con le preoccupazioni espresse dalla CEI, non sono pochi coloro che propongono di precisare nei successivi regolamenti applicativi quanto nella legge lascia adito a interpretazioni ambigue. In attesa di questi sviluppi auguro a tutti voi qui presenti di un adeguato servizio alla vita anche nella sua fase terminale. Ci guidi la consapevolezza espressa da Papa Francesco nel Messaggio ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della Word Medical Association tenuto a Roma il 16 e 17 novembre scorsi quando il Papa diceva
Queste parole del Papa indubbiamente danno una grande luce ma sono tutto sommato anche tradizionali nel magistero dei Papi per quanto riguarda il fine vita. Ora voglio rinnovare a voi tutti il grazie per la vostra partecipazione. Prenderò visione poi volentieri e con interesse di tutti i vostri interventi e considerazioni che vorrete fare e proporre. Buon lavoro.
Monsignor Cesare Nosiglia
© Bioetica News Torino, Settembre 2018 - Riproduzione Vietata