Il pensiero contemporaneo sul libero arbitrio e sulla volontà libera viene integrato ed arricchito in questo scritto dall’affascinante e crescente settore delle neuroscienze. L’autore abbozza una “neurobioetica del libero arbitrio” che dalla problematicità del concetto muove illustrando una multidimensionalità antropologica insita nella persona umana. Si chiariscono i concetti di neuroscienza, neuroetica per presentare un esperimento mentale ed illustrare la realtà della volontà libera e della correlativa responsabilità personale. La prospettiva antropologica emergente viene integrata sia con gli aspetti neuroscientifici di ricerca, come di esempi derivanti dalla prassi clinica neurologica. Il modello teoretico-pratico che risulterà è decisamente anti-riduzionistico e potrà costituire la base, il “ponte”, per una migliore, integrata ed integrativa, prospettiva sulla persona umana sana e malata.
Testo dell’intervento* del prof. P. Alberto CARRARA, LC, al Convegno «Neuroscienze. Quale spazio per la libertà e responsabilità umana?», Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Aula Artistica, Torino, sabato 17 giugno 2017
Convegno organizzato dal Centro Cattolico di Bioetica – Arcidiocesi di Torino, con il patrocinio di Amci e Associazione «Bioetica & Persona Onlus»
SCHEMA:
1. Introduzione: il contesto
1.1 Neuroscienze
1.2 Neuroetica
2. Un esperimento mentale: esiste la libertà? Cos’è la responsabilità personale?
3. Per una libertà multidimensionale
4. Alcune considerazioni conclusive
1. Introduzione: il contesto
Alla fine del 2014 veniva pubblicato un libretto tascabile di 161 pagine intitolato La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, edito da Carocci editore. L’autore è Piergiorgio STRATA (1935-), un neurofisiologo d’eccezione, presidente dell’Istituto nazionale di neuroscienze e direttore del prestigioso EBRI, l’European Brain Research Institute, che collaborò nella sua carriera con il premio Nobel per la Medicina John Eccles a Canberra e Chicago e con Rita Levi-Montalcini in Italia1. Il volume si presenta come un
Un libretto che sostiene l’illusione del libero arbitrio (willusionism). In queste poche righe vi è tutto un condensato di concetti, visioni antropologiche, interpretazioni filosofiche, teologiche, sociologiche, ma anche giuridiche ed etiche che dovrebbero venir esaminate e prese in considerazione da un punto di vista critico. In un’era neuro-centrica come la nostra, tutto l’umano si trova a doversi confrontare con gli sviluppi e le scoperte delle neuroscienze e le conseguenti applicazioni neuro-tecnologiche.
Per sostenere il “mito” della libertà individuale e personale, Strata illustra alcuni esempi emblematici nella storia delle neuroscienze. Tra questi viene citato il noto caso di Phineas Gage che nel 1848, a seguito di un incidente mentre stava costruendo una ferrovia nel New England, una sbarra di ferro gli entrò nell’orbita dell’occhio sinistro attraverso la guancia e forò la base del cranio per uscire dalla parte superiore della corteccia orbitofrontale (OFC). Gage, sopravvissuto all’incidente, cambia di personalità: non era più Gage! Questo caso, rappresenta il modello di alterazione delle personalità e del controllo del comportamento indotto da un esteso danno frontale capace di disinibire i freni corticali rispetto al sistema limbico sottocorticale che media le emozioni e gli istinti (in questo caso una de-regolazione bottom-up). Un secondo caso celebre è quello denominato e studiato da Antonio Damasio nel 1995: il paziente Elliot. Quest’ultimo, per un danno frontale, manifestava una notevole asocialità e una quasi totale assenza di emozioni ed empatia. Strata si domanda se orrendi serial killer come il cannibale di Milwaukee (Jeffrey Lionel Dahmer) che uccise in modo atroce almeno 17 persone, potesse risultare non capace di intendere e di volere o, quanto meno, non gli potesse venir ridotta la pena nell’evenienza neuroscientifica di un problema frontale simile a Gage ed Elliot. Nell’articolo−intervista di Claudio Gallo su «La Stampa» Strata si chiede: «Se si fosse potuto stabilire che Dahmer soffriva di un problema al lobo frontale, come Gage, che non avrebbe potuto agire diversamente, la sua sentenza sarebbe stata diversa?»3. Per Strata (che riprende il pensiero di Benjamin Libet) il libero arbitrio sarebbe una sorta di “notaio”, un “veto” interiore che agirebbe una volta che le reali prese di decisione sono state configurate dal nostro cervello (o da una parte di esso).
Sin dai tempi più remoti, il tema della libertà umana ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. In un modo o nell’altro ci troviamo davanti alla contraddizione e allo scandalo tra due polarità: da una parte, il determinismo assoluto e, dall’altra, l’indeterminismo, il caso. Sarà proprio lo spazio prodotto da queste due polarità del reale che renderà ragione di quella peculiarità, di quel proprium nell’essere umano che da millenni denominiamo “libero arbitrio” o “libertà della e nella volontà”.
Così, Leon TOLSTOJ sintetizzava, nella seconda parte dell’epilogo della sua monumentale opera intitolata Guerra e pace, la conclusione filosofica a cui era giunto: «nel caso presente, è ugualmente necessario rinunciare a un’inesistente libertà e riconoscere una dipendenza che non sentiamo»5. Il grande scrittore russo non poteva certamente immaginare che dopo più di un secolo, il suo stesso scetticismo relativo alla libertà umana sarebbe tornato di moda, alla ribalta tecnico-scientifica e mediatica, alimentato, questa volta, dalla “rivoluzione” in campo neuroscientifico. Ecco emergere la problematica in tutta la sua forza: siamo davvero esseri dotati di libertà, oppure automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Nel fondo la questione si riassume nella domanda: che cos’è la libertà?
1.1. Neuroscienze
Prima di procedere è doveroso chiarire il concetto “neuroscienze”, un neologismo relativamente giovane. Il termine fu coniato all’inizio degli anni Settanta quando Francis Otto Schmitt fondò l’NRP o Neuroscience Research Program (SWAZEY, 1974)6. Leggendo bene l’articolo di Judith P. Swazey, si evince che il NRP prese forma a partire dal 1962 quando Schmitt volle unificare le diverse discipline che studiavano il cervello da prospettive strutturali, funzionali e comportamentali. Le neuroscienze si possono considerare quella «grande famiglia delle discipline biomediche afferenti alla neurologia, che si propongono di studiare il funzionamento del sistema nervoso; in particolare, del cervello. Accanto alle storiche specializzazioni (neurologia, neurochirurgia, psichiatria, psicologia), oggi vanno acquisendo sempre maggiore importanza nuove discipline − quali la neurogenetica, la neurobiologia, il cosiddetto neuroimaging − che stanno aprendo nuovi scenari di studio e ricerca neppure immaginabili solo pochi anni fa ⌈…⌉ le neuroscienze studiano lo sviluppo, la struttura e la funzione del sistema nervoso»7.
L’interesse per il cervello è antico quanto l’uomo stesso. Il neuro-centrismo contemporaneo si spiega alla luce della storia stessa della medicina relativa al cervello e al sistema nervoso (tanto centrale, come periferico). Sarebbe utile presentare una breve sintesi della storia delle Neuroscienze. Rimando ad alcuni testi significativi: al volume in lingua spagnola De la neurociencia a la neuroética (2010)8 e dell’inglese A History of the Brain. From Stone Age surgery to modern neuroscience di Andrew P. WICKENS (2015)9.
Uno dei dati significativi che emerge da questa narrativa storica che dagli antichi egizi arriva ai giorni nostri, è questo: il cervello è associato strettamente al comportamento. Danni cerebrali vengono correlati ad alterazioni di specifiche attività psichiche e viceversa. Toccare il cervello è toccare la persona umana in uno dei suoi nuclei più significativi e costitutivi10.
La storia delle neuroscienze ha contribuito a che si dessero: la decade del cervello (1990-2000), quella della mente (2001-2011), l’anno delle neuroscienze (2012), lo Human Brain Project e The BRAIN Initiative (2013). Questo progresso neuroscientifico e le scoperte relative al funzionamento e all’applicazione nanotecnologica, sia nell’ambito diagnostico, come in quello terapeutico, sul cervello umano, hanno creato un panorama scientifico e mediatico peculiare nella storia del pensiero che diversi esperti non hanno esitato a ribattezzare come una vera e propria “neuromania”11. Accanto a questa è sorta e si sta promuovendo una neuro-cultura che mira a diffondere le scoperte e le nozioni relative alle neuroscienze. Oggi, lo sviluppo delle capacità tecnologiche rende possibile studiare in vivo e visualizzare le aree del nostro cervello osservandone, anche in tempo reale, la loro maggiore o minore attivazione nelle circostanze più svariate. Questo ha prodotto un vero e proprio fiume di studi scientifici in base alla fantasia e al genio di ciascun ricercatore. Dal voler comprendere le basi neurofisiologiche di attività umane quali la memoria, il linguaggio, la vista, la personalità, etc., si è iniziato a studiare i tratti più caratteristici dell’umano come la libertà.
1.2. Neuroetica
Le domande aiutano ad addentrarsi nel merito di una disciplina. Per comprendere cosa sia la neuroetica e di cosa si interessi è utile scorgere alcune delle domande a cui cerca di rispondere, come sottolinea il filosofo spagnolo Enrique BONETE PERALES nel suo volume Neuroética práctica. Una ética desde el cerebro (2010). Alcune di queste domande sono:
Tra le domande emerge la nostra tematica: la libertà e viene abbozzato un grande ambito neurobioetico particolarmente dibattuto come è il cosiddetto willusionism.
In questo contesto di applicazione all’uomo delle tecnologie neuroscientifiche, come già dal 1970 con l’oncologo Potter si era costituita la “bioetica”, così sorge la disciplina denominata neuroetica o neurobioetica che ha “festeggiato” nel 2017 il suo 15° anniversario dalla “nascita”. Secondo diversi autori, tanto la bioetica, come la neuroetica affondano parzialmente le loro radici nel contesto interdisciplinare in cui sorgono le neuroscienze come concetto e come realtà all’interno del contesto medico-scientifico.
La narrativa storica della neuroetica inizia sin dagli anni ’40 del secolo scorso. Bisogna ricordare, infatti che le società scientifiche che si occupano del cervello umano si costituirono proprio a partire dalla Federation of EEG and Clinical Neurophysiology, evento celebrato a Londra nel 1947, dall’omologo celebrato a Mosca nel 1958, dalla fondazione dell’International Brain Research Organization (IBRO) nel 1961, auspicata e voluta dall’UNESCO, e dalla nascita della Society for Neuroscience nel 196913. Queste società si focalizzarono inizialmente sulla promozione scientifica della ricerca sul cervello, riservando un’attenzione marginale alle implicazioni etiche e/o sociali di tali ricerche e applicazioni. Solo a partire dal 1972 la Society for Neuroscience istituì un Comitato di Responsabilità Sociale, il Commitee on Social Responsability, che poi divenne il Social Issues Commitee, che aveva lo scopo di informare tutti i membri della società scientifica e l’opinione pubblica, sulle implicazioni sociali degli studi relativi al sistema nervoso. Questo comitato risultò di capitale importanza nello stabilire le diverse regolamentazioni etiche sull’impiego di animali da esperimento, nello specifico, primati e non primati. Nel 1983 questo stesso comitato iniziò una serie di tavole rotonde annuali su tematiche sociali, successivamente si iniziarono a trattare temi come: il miglioramento cognitivo, la morte cerebrale, la neuro-tossicità, etc.
Lo scienziato spagnolo José DELGADO, grazie ai suoi studi di neuro-elettrostimolazione, ottenne le prime pagine del New York Times il 17 maggio 1965. Delgado aveva infatti impiantato degli elettrodi nel cervello di un toro da corrida, sulla scia remota delle torpedini di Scribonio Largo (65 d.C.). Lo stimolo elettrico prodotto e controllato dal ricercatore spagnolo dimostrò, in modo rigoroso e scientifico, che modificazioni a livello elettrico cerebrale potevano modificare la condotta animale. Il toro infatti veniva manipolato nella sua corsa giungendo fino a retrocedere davanti al famigerato drappo rosso14. Questi risultati, insieme alle sperimentazioni con LSD (dietilammina dell’acido lisergico) su elefanti (sempre degli anni ’60) ad opera del ricercatore statunitense Louis WEST15, segnano i primi tentativi seri e scientifici di valutare, dalla prospettiva etica, i progressi e le scoperte neuroscientifiche.
Su questa scia “nacque”, ancora in forma implicita, la neuroetica.
Il termine neuroetica appare nella letteratura scientifica anglosassone sin dal 1973. È la professoressa della Scuola di Medicina di Harvard, Anneliese A. PONTIUS che pubblicò per prima un articolo dal titolo: Neuro-ethics of “walking” in the newborn dove, oltre al titolo, il neologismo neuro-ethics appare alla fine del lavoro, nell’ultimo paragrafo, dove, in conclusione si afferma: «a new and neglected area of ethical concern-neuro-ethics»16. Il termine neuroetica ritorna nella letteratura scientifica nel novembre del 1989 in un contesto prettamente bioetico riguardante le decisioni sul fine vita. È il neurologo R. E. Cranford che in un articolo scientifico sulla rivista nordamericana Neurologic Clinics, utilizza, per la prima volta, l’accezione “neuroeticista” (neuroethicist), sancendo l’ingresso dei neurologi all’interno dei comitati etici ospedalieri.
In ambito filosofico, il neologismo entra in scena per la prima volta nella discussione circa le prospettive filosofiche riguardanti il sé (Self) e il suo legame-rapporto col cervello. Due pubblicazioni risultano di estremo interesse per definire le “radici” della Neuroetica: la prima, è a carico della professoressa e filosofa Patricia Smith CHURCHLAND che nel 1991 pubblicò un articolo intitolato: Our brains, ourselves: reflections on neuroethical questions17. La Churchland ha “creato” una vera e propria interpretazione della filosofia in chiave neuroscientifica che ha “battezzato”: Neurofilosofia18.
Nonostante il concetto neuroetica fosse già ventilato in diversi ambiti del sapere, la “paternità” del neologismo viene attribuita storicamente alla prima definizione “canonica” risalente al maggio 2002. In questa data (13-14 maggio), a San Francisco (USA), si tenne il primo congresso mondiale di esperti intitolato: Neuroethics: mapping the field. In tale contesto in cui parteciparono oltre 150 esperti in neuroscienze, bioetica, psichiatria e psicologia, filosofia e diritto, William SAFIRE, politologo del New York Times recentemente scomparso, suggerì la seguente definizione contemporanea di neuroetica definendola: «quella parte della bioetica che si interessa di stabilire ciò che è lecito, cioè, ciò che si può fare, rispetto alla terapia e al miglioramento delle funzioni cerebrali, così come si interessa di valutare le diverse forme di interventi e manipolazioni, spesso preoccupanti, compiuti sul cervello umano»19. I testi delle conferenze esposte in questo congresso, organizzato dalla DANA Foundation, dallo Stanford Center for Biomedical Ethics dell’Università di Stanford e dall’Università della California, sono stati raccolti dall’editore Steve J. Marcus nel libro omonimo: Neuroethics: mapping the fiel.
È perciò il 2002 che si considera l’anno fondativo della neuroetica e gli atti delle conferenze di San Francisco segnano la nascita di questa nuova pseudo-disciplina e ne sono l’emblema e il punto di riferimento privilegiato.
Il termine neurobioetica, che invece vuol sottolineare la centralità della persona umana in ambito di ricerca neuroscientifica, è stato coniato ed utilizzato per la prima volta nel 2005 dal neuroscienziato James Giordano. Il 20 marzo del 2009, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, sorse il Gruppo di Neurobioetica (GdN), una realtà costituita da professionisti e studiosi provenienti da diversi ambiti che attraverso una metodologia di approccio pluri e interdisciplinare affrontano sia le questioni etiche delle neuroscienze, come pure le neuroscienze dell’etica20.
Oggigiorno una vasta letteratura comprende manuali come il primo del 2006 curato da Judy Illes Neuroethics: Defining the Issues in Theory, Practice and Policy (Oxford University Press); una rivista specializzata Neuroethics edita dalla Springer sin dal marzo del 2008 e diretta da Neil Levy; nel 2011 l’Oxford Library of Psychology pubblica un volume monumentale di oltre 900 pagine, contenente 52 capitoli di numerosi autori, a cura di Judy Illes e Barbara J. Sahakian, intitolato The Oxford Handbook of Neuroethics; nel 2015, Jens Clausen e Neil Levy, sono gli editori per la Springer dei tre volumi dell’Handbook of Neuroethics: 1850 pagine, 23 sezioni, 117 capitoli. Sulla vastissima bibliografia relativa a questo “nuovo” settore di riflessione interdisciplinare, James Giordano, insieme ad altri collaboratori, hanno curando la pubblicazione sulla rivista PEHM (Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine) di un articolo bibliografico in quattro parti (dal 2014 al 2017).
La neuroetica si era già diffusa, per lo meno quanto al concetto stesso, a livello globale. Sembra oggigiorno indiscusso il suo status di nuova e consistente disciplina. In effetti, gli stessi editori dell’Handbook of Neuroethics della Springer, Jens CLAUSEN e Neil LEVY, nella loro introduzione «Che cos’è la neuroetica?» (What Is Neuroethics?), sottolineano che la “neuroetica” e l’importanza delle neuroscienze è un fatto assodato21. Quest’evidenza viene corroborata dai dati che sono sotto gli occhi di tutti: oggigiorno The Society of Neuroscience conta circa 42.000 membri, in circolazione vi sono oltre 220 riviste specializzate nel settore delle neuroscienze e ogni anno vengono pubblicati oltre 25.000 articoli riguardanti il cervello22. Questa “nuova” disciplina teoretico-pratica, viene caratterizzata come «riflessione sistematica ed informata sulla neuroscienza ed interpretazione della stessa neuroscienza», includendone, oltre alla neuroscienza, «le correlative scienze della mente (la psicologia in tutte le sue molteplici forme, la psichiatria, l’intelligenza artificiale e così via), allo scopo di capire i loro risvolti per l’autocomprensione umana e i pericoli e le prospettive delle loro applicazioni»23. Come ben si afferma, Clausen e Levy propongono di considerare la “neuroetica”, e particolarmente le “neuroscienze dell’etica”, nella loro accezione più estesa possibile, quella che includa la riflessione filosofica delle peculiarità umane quali l’intelletto, la coscienza, la libertà, etc.
Note
* La presentazione dell’intervento del prof. P. Alberto Carrara, L.C., è pubblicata su acarrara.blogspot.it/ ⌈https://prezi.com/ge6_yk0tai4p/dalle-ns-alla-ne-per-una-liberta-piu-umana/ 16.06.2017⌉
1 P. STRATA, La strana coppia. Il rapporto mente−cervello da Cartesio alle neuroscienze, Carocci, Roma 2014
2 Dal sito ufficiale della Carocci editore: http://www.carocci.it
3 C. GALLO, Aiuto, il mio cervello decide al posto mio. Il neurofisiologo Piergiorgio Strata presenta le ultime conoscenze sui meccanismi cerebrali e conclude che il libero arbitrio è un’illusione, «La Stampa», 9 ottobre 2014, [http://www.lastampa.it/2014/10/09/cultura/aiuto-il-mio-cervello-decide-al-posto-mio-xzFLHbddbX9ZBmOm4j4VpJ/pagina.html]
4 L. TOLSTOJ, Guerra e pace, vol. IV, Mondadori, Verona 1957, p. 365
5 IVI, p. 365
6 S. M. AGLIOTI − G. BERLUCCHI, Neurofobia. Chi ha paura del cervello? ,Prefazione, Raffaello Cortina, Milano 2013, p. 19. Si legga per ulteriori approfondimenti: J. P. SWAZEY, «Forging a neuroscience community: A brief history of the Neurosciences: Paths of Discovery», in F. G. WORDEN − J. P. SWAZEY − G. ADELMAN ( a cura di), The Neurosciences: Paths of Discovery, MIT Press, Cambridge 1974
7 M. GANDOLFINI, I volti della coscienza. Il cervello è organo necessario ma non sufficiente per spiegare la coscienza, Cantagalli, Siena 2013, pp. 11-13
8 Per approfondire ulteriormente gli sviluppi storici della ricerca sul cervello, consiglio la lettura della sintesi che si trova al capitolo 1° di questo libro: J. M. GIMÉNEZ AMAYA – S. SÁNCHEZ-MIGALLÓN, De la Neurociencia a la Neuroética. Narrativa científica y reflexión filosófica, Eunsa, Navarra 2010, pp. 17-49
9 Cf. A. P. WICKENS, A History of the Brain: From Stone Age Surgery to Modern Neuroscience, Psychology Press (Taylor & Francis Group), London and New York 2015
10 M. AGLIOTTI – G. BERLUCCHI, Neurofobia. Chi ha paura del cervello?, Raffaello Cortina, Milano 2013, p. 23
11 P. LEGRENZI – C. UMILTÁ, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino, Bologna 2009
12 Cf. E. BONETE PERALES, Neuroética práctica. Una ética desde el cerebro, Desclée, Bilbao 2010, pp. 15-16
13 J. M. GIMÉNEZ AMAYA – S. SÁNCHEZ-MIGALLÓN, De la Neurociencia a la Neuroética. Narrativa científica y reflexión filosófica, Eunsa, Navarra 2010, pp. 64-65
14 Per ulteriori approfondimenti sulle ricerche del professor José Delgado si possono consultare i seguenti articoli scientifici posti in ordine cronologico: Cf. J. M. R. DELGADO − R. B. LIVINGSTON, «Some respiratory, vascular and thermal responses to stimulation of orbital surface of frontal lobe», J. Neurophysiol. 11 (1), 1948, 39-55; Yale J Biol Med. 28 (3-4), Dec-Feb 1955-6, 245–252; J. M. R. DELGADO, «Hidden motor cortex of the cat», Amer. J. Physiol. 170 (3), 1952, 673-681; J. M. R. DELGADO, «Permanent implantations of multilead electrodes in the brain», Yale J. Biol. Med. 24 (5), 1952, 351-358; P. D. MACLEAN − J. M. R. DELGADO, «Electrical and chemical stimulation of frontotemporal portion of limbic system in the waking animal», Electroencephalogr Clin Neurophysiol. 5 (1), Feb 1953, 91-100; V. H. MARK− F. R. ERVIN – W. H. SWEET − J. M. R. DELGADO «Remote telemeter stimulation and recording from implanted temporal lobe electrodes», Confin Neurol. 31 (1), 1969, 86-93
15 L. J. WEST − C. M. PIERCE − W. D. THOMAS, «Lysergic acid diethylamide: its effects on a male Asiatic elephant», Science 138 (7), 1962, 1100-1104
16 A. A. PONTIUS, «Neuro-ethics of “walking” in the newborn», Perceptual and Motor Skills 37 (1), 1973, pp. 235-245
17 P. S. CHURCHLAND, «Our Brains, Ourselves: Reflections on Neuroethical Questions», in D.J. ROY − B.E. WINNE − R.W. OLD (a cura di), Bioscience and Society(Report of the Schering Workshop, Berlin 1990, November 25-30), Wiley and Sons, New York 1991, pp. 77-96
18 P. S. CHURCHLAND, Neurophilosophy: Toward a Unified Science of the Mind-Brain, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1989; Brain-Wise: Studies in Neurophilosophy, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2002; Braintrust. What Neuroscience Tells Us about Morality, Princeton University Press, 2011 (tradotto in italiano: Neurobiologia della morale, Raffaello Cortina, Milano 2012)
19 W. SAFIRE, «Visions for a new field of “neuroethics”», in S. MARCUS (ed.), Neuroethics: Mapping the Field. Conference Proceedings, Dana Press, New York 2002, pp. 3-9
20 Sito ufficiale del Gruppo di Neurobioetica (GdN) http://neurobioetica.blogspot.it/; https://www.upra.org/ricerca/gruppi-di-ricerca/neurobioetica/
21 Cf. J. CLAUSEN − N. LEVY (ed.), Handbook of Neuroethics, Springer, Dordrecht 2015, 3 volumi, XXIII sezioni, 117 capitoli, pp. 1850; ISBN: 978-94-007-4706-7 (Print) 978-94-007-4707-4 (Online), introduzione v-vii
22IVI, p. vi
23IVI, p. vi
2. Un esperimento mentale: esiste la libertà? Cos’è la responsabilità personale?
Glannon, in difesa del compatibilismo, distinzione tra celebrale e mentale
Uno dei principali studiosi e divulgatori nell’ambito della neuroetica a livello internazionale è il filosofo canadese Walter Glannon. Due opere possono descrivere il suo approccio alla neurobioetica: Bioethics and the Brain (2007) e Brain, Body, and Mind. Neuroethics with a Human Face (2011).
Per illustrare la distinzione tra cerebrale e mentale, Glannon in uno dei suoi scritti fa riferimento alla serie di esperimenti mentali in voga tra i filosofi della mente e che riprendono lo sfondo neuroscientifico e le tematiche del libero arbitrio e della responsabilità personale. Nell’articolo in difesa del compatibilismo On the Revised Principle of Alternate Possibilities (1994) GLANNON riformula e completa, estendendolo, il principio delle possibilità alternative modificato (PAP’) nella sua versione proposta da Harry Frankfurt, introducendo e discutendo proprio una sorta di “esperimento mentale” nel quale viene chiamato in causa il cervello24. L’esempio non è una mera ipotesi logica, ma una reale possibilità alla luce delle conoscenze sul cervello e della tecnologia.
Viene ipotizzata la situazione in cui due individui, Smith e White, io utilizzerò il filosofo Popper e il neuroscienziato Eccles, condividono lo stesso desiderio e la stessa intenzione di commettere un omicidio (nello specifico l’assassinio del Presidente del loro Paese). Uno di essi, Eccles, essendo neurochirurgo e non volendo essere lui stesso l’autore materiale del delitto, procede segretamente, all’insaputa dell’amico, ad impiantare un dispositivo nel cervello di Popper. Tale congegno è in grado di monitorare, ed eventualmente manipolare a piacimento, i processi cerebrali di Smith, specie nel caso quest’ultimo manifestasse qualche segno di cedimento nel portare a compimento l’intenzione di uccidere il Presidente. Si discutono diversi possibili scenari in cui emerge che anche se il cervello è l’organo centrale, tanto nella coordinazione come nell’esecuzione delle funzioni motrici che realizzano l’agire intenzionale umano, tale agire gli si distingue e non gli si identifica.
Ad esempio: la manipolazione dei processi cerebrali, attraverso il dispositivo impiantato nel cervello, a prescindere dal tipo di stato mentale intenzionale (favorevole o meno alla realizzazione di una determinata azione), induceva la realizzazione dell’atto.
Le alterazioni della condotta attraverso interventi diretti di stimolazione cerebrale nell’animale (topi, gatti, cani, scimmie e tori), sebbene fossero noti alla comunità scientifica a partire dal 1952, erano poi stati diffusamente pubblicizzati dai mezzi di comunicazione a livello internazionale a partire dal 1965, a seguito degli esperimenti di José Delgado.
Esperimenti mentali del genere sono utili per scoprire le due direzioni di causalità di cui siamo costituiti, entrambe inter-agenti e inter-dipendenti: dai processi cerebrali all’azione (o non azione) e dagli stati mentali, attraverso la modificazione dei processi cerebrali, all’azione (o non azione). Si potrebbe dire dal bottom-up al top-down. Per semplificare il discorso, due sono le linee di causalità mente-cervello. Nella prima linea di causalità, quella bottom/up, per bottom intendo la costituzione materiale del sistema nervoso (per semplificazione, il cervello), mentre per up comprendo le funzioni mentali. Alterazioni della struttura (morfologia) e della funzione (fisiologia) del sistema nervoso sono in grado di indurre alterazioni delle funzioni mentali. Classici esempi in letteratura sono quelli di Phineas Cage e del paziente Elliot. Di recente, è stato analizzato il caso clinico e umano dell’artista e fotografo Edward Muybridge25.
Nella seconda linea di causalità, quella denominata top/down, per top intendo le funzioni mentali (cognitive, volitive, immaginative, ecc.), mentre per down mi riferisco alla struttura e funzione del sistema nervoso. Esempio emblematico di tale regolazione è il filone inaugurato dall’italiano Angelo Mosso, precursore, con la sua “macchina per misurare le emozioni”, dei principi sottesi alla contemporanea risonanza magnetica funzionale26. L’immaginare, il pensare, un qualsiasi task cognitivo o uno stimolo emotivo, sono in grado di alterare il flusso ematico cerebrale. Applicazioni in ambito psichiatrico si riportano sin dalla fine degli anni ’90. Non basterebbe una libreria per contenere l’abbondante letteratura che sta affiorando sull’influsso ristrutturante (in negativo; meno in senso positivo) dell’ambiente e dei comportamenti assunti (scelti) a livello cerebrale (basti pensare alle cosiddette “nuove dipendenze”, come quella relativa al GD o Gambling Disorder o “gioco d’azzardo patologico” riportata nel DSM-5; oppure basti considerare gli studi su pazienti psicopatici, sullo sviluppo dei tratti psicopatici in adolescenti, ecc.). Emerge sempre più una consistente letteratura relativa al controllo personale, mediato dalla decodifica cerebrale, di protesi meccaniche, le cosiddette interfacce cervello-macchina27 e persino quelle mente-mente.
Note
24 W. GLANNON, «On the Revised Principle of Alternate Possibilities», Southern Journal of Philosophy 32 (1994), 49-50
25 S. MANJILA et al., «Understanding Edward Muybridge: historical review of behavioral alterations after a 19th-century head injury and their multifactorial influence on human life and culture», Neurosurg Focus 2015; 39 (1): 1-8
26 S. SANDRONE , «Angelo Mosso (1846–1910)», Journal of Neurology 2012; 259 (11): 2513-2514
27 Per non appesantire la bibliografia in questo specifico contesto relativo alla neuroprostetica, riporto semplicemente alcuni degli ultimi e più significativi lavori. C. E. King (et al.), «The feasibility of a brain-computer interface functional electrical stimulation system for the restoration of overground walking after paraplegia», Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation 2015; 12: 80-90
3. Per una libertà multidimensionale
Ora, il legame della coscienza all’azione (agency) e, in particolare, alla volontà libera che si esprime nella scelta e che è condizione indispensabile per la responsabilità personale, è messo in luce da questa sintesi di Rita LEVI-MONTALCINI: «la coscienza collega il nostro io con le esperienze degli eventi, in quanto ci consente di comprendere la nostra esistenza come entità pensante, rendendoci responsabili delle nostre azioni»28. Ecco in rapporto reciproco coscienza, io (Self) e libero arbitrio.
Bisogna chiarire la terminologia. Innanzitutto, la scelta (electio) è l’atto della volontà, cioè della potenza appetitiva (tendenziale) umana che si realizza in un certo movimento dell’uomo verso qualcosa che viene inteso come bene, cioè verso un bene prescelto29. Il concetto di “prescelta” implica la precedenza di un certo giudizio di raffronto tra alternative, un giudizio di preferenza che anticipa la scelta stessa, anzi, che ne diviene un aspetto30. Ecco che la scelta ha come premessa una specie di “consiglio”, cioè un giudizio (o una serie di giudizi-ragionamenti) orientato verso il da farsi, verso l’agire. Questo consiglio è manifestazione dell’autocoscienza.
Anche dal punto di vista neuroscientifico è abbastanza evidente che, in primo luogo, a una decisione ponderata è sottesa una “catena” di ragionamenti e, in secondo luogo, che tali giudizi radicano, nella loro possibilità corporea di manifestazione e di processazione (cioè sono integrati), in strutture neuronali, in particolare in reti corticali (cortical networks)31.
La volontà libera manifestata nella scelta presenta una gradualità: bottom/up che si può considerare integrativa a quella che emerge per la coscienza. Mi spiego meglio. Come ad ogni stratificazione dal basso verso l’alto (bottom/up) della coscienza corrisponde un certo giudizio, prima a livello della sensibilità (sistema vegetativo) e della percezione: vigilanza (wakefulness) − enterocezione – esterocezione − integrazione (senso comune) − consapevolezza (awareness − understanding of) dell’ambiente (environment) − propriocezione (consapevolezza di sé− awareness – understanding of self), sino al livello integrativo più alto, che potremmo considerare il giudizio “vero e proprio”, quello pieno, proprio perché autoconsapevole, autocosciente, che ci rende “padroni” del nostro agire, meglio, della nostra scelta (consapevolezza cosciente o auto-consapevolezza − conscious awareness o self-awareness − coscienza fenomenica, esplicitabile attraverso il linguaggio), così anche per l’agire libero umano (e per la sua implicazione di responsabilità che sottende) si dà una stratificazione dal basso verso l’alto (bottom up) integrata e includente quella coscienziale. Questo rende ragione dei numerosissimi processi inconsci e del loro influsso nelle scelte intraprese32.
Inoltre, a questo livello si collocano tutti i numerosissimi studi neuroscientifici che da Benjamin Libet ad oggi stanno chiarendo certi processi di preattivazione inconscia del nostro organo cerebrale che preparano, anticipandola, l’esecuzione volontaria di certi movimenti o azioni cognitive che, secondo ciò che è stato chiarito, non possono venir considerate “libere”, poiché non realmente scelte. Qui si aprirebbe un enorme dibattito che non mi è possibile affrontare in maniera esaustiva. Semplicemente ripercorro i grandi postulati e le evidenze empiriche per trarre qualche conclusione.
Il dibattito contemporaneo in quest’area è stato ben riassunto da Kerri SMITH e pubblicato sulla rivista Nature qualche anno fa, nel 201133. I primi esperimenti che hanno maggiormente influito alla diffusione di una visione neurodeterminista circa l’agire libero dell’uomo furono realizzati da Benjamin LIBET. I risultati di Libet sono stati successivamente pubblicati sulla rivista Behavioral and Brain Sciences nel 198534. Il titolo dell’articolo metteva in luce l’esistenza di una «iniziativa cerebrale incosciente» che in qualche modo vincolerebbe la volontà cosciente durante l’azione volontaria. Libet e i suoi collaboratori presero le mosse dalla scoperta di Hans Helmut KORNHUBER e Lüder DEECKE, pubblicata nel 1965, relativa ai Bereitschaftspotential (readiness potentials), i potenziali di preparazione o disposizione (PD): variazioni elettrochimiche corticali che precedono l’esecuzione di un’azione motoria volontaria35. I risultati sostanzialmente ci dicono che esistono dei potenziali corticali di preparazione localizzati nella corteccia motoria secondaria (corteccia premotoria) che precedono di circa 350 millisecondi (ms) la realizzazione cosciente di un movimento volontario (azione). I dati di Libet furono replicati e confermati da HAGGARD e EIMER che li pubblicarono nel 199936. Nel 2008 John-Dylan Haynes, neuroscienziato del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Leipzig in Germania, utilizzando tecniche di neuroimaging (fRMN), realizzò una serie di esperimenti più sofisticati dimostrando che le intenzioni venivano codificate nella corteccia motoria secondaria (frontopolar cortex) fino a sette secondi prima che i partecipanti allo studio prendessero coscienza delle loro stesse decisioni motrici37. Nel 2011 seguirono ulteriori conferme e si affermò che: «questi risultati appoggiano a conclusione che la corteccia premotoria è parte di una rete di regioni cerebrali che danno forma alle decisioni coscienti molto prima che si giunga allo stato di coscienza delle stesse»38.
È fuori discussione e bisogna riconoscere che, almeno a prima vista, questi risultati sono sorprendenti. Ciò che ci si aspetterebbe è che l’area della corteccia premotoria non si attivi prima del prendere coscienza della decisione di eseguire un certo movimento. D’altra parte, però, la sequenza temporale sembra indicare che il cervello prepara il movimento prima che diventiamo coscienti di deciderlo.
Possiamo ben affermare che, come del resto vale per l’ambito coscienziale strettamente implicato, anche la decisione volontaria emergerebbe gradualmente da meccanismi inconsci e sarebbe associata a sostrati cerebrali specifici39. Lungi dal determinarci nella nostra volontà libera, questi meccanismi sono la manifestazione di quell’incarnazione (embodiment) che siamo e che ci costituisce (ci predispone e ci condiziona) e che rappresenta lo stesso spazio per poter essere liberi nel nostro scegliere. Interessanti studi neuroscientifici correlano una maggior consapevolezza in prima persona dei processi interiori che ci muovono ad agire, frutto di un atteggiamento meditativo (meditators), alla capacità di modulare le componenti inconsce di preattivazione neuronale40. Non è forse questo uno dei “segni” evidenti che non siamo automi in balia dell’anarchia del nostro cervello?
Sarebbe utile, ma non mi è possibile farlo per non estendermi troppo, correlare clinicamente le successive dimensioni dal basso verso l’alto (bottom/up) in cui un danno o una patologia cerebrale, alterando o annullando la manifestazione dei livelli “superiori”, provoca comportamenti (azioni) di responsabilità personale attenuata, se non proprio azzerata (azioni “irresponsabili”). Dagli stati stuporosi di coma vigile (mutismo acinetico), agli stati vegetativi, a quelli di minima coscienza, alle condizioni di sindrome dell’imprigionato (locked-in), alla sindrome del telefono (quella che implica lesioni alla corteccia cingolata anteriore dei lobi frontali), ai fenomeni di visione cieca, allo split-brain, alle diversissime sindromi descritte in letteratura, di cui citerò soltanto l’aprassia (o incapacità di compiere gesti finalizzati e coordinati)41. Parafrasando il neuroscienziato Vilayanur S. RAMACHANDRAN, si può vedere in ogni condizione neuropatologica una sorta di “finestra” sui sostrati neuroanatomici e neurofisiologici che mediano le diverse dimensioni coscienziali e di scelta (libertà). Neuroanatomicamente parlando, sono sostanzialmente due le aree cerebrali significative per la scelta: il giro sopramarginale sinistro che si dirama dal lobulo parietale inferiore, che ci permette di compiere e immaginare (pianificare) diverse linee d’azione (per intenderci è la struttura coinvolta nella nostra capacità di unificarci internamente un’immagine dinamica di azioni previste da compiere e che ci permette di tradurre in azione il nostro pensiero; è l’area implicata, cioè danneggiata, nell’aprassia) e il cingolo anteriore dei lobi frontali, che sottende al desiderio di un’azione gerarchizzata e connessa a certi valori (in dialogo funzionale con le aree corticali prefrontali; danni a quest’area si riscontrano nei pazienti affetti dalla sindrome della mano anarchica, nei quali una mano compie azioni che la persona non vuole realizzare)42.
Ora, avendo specificato che l’ambito della libertà è la scelta, quella che ARISTOTELE nell’Etica definiva «un’intellezione appetitiva o un’appetizione intellettiva»43 , risulta chiaro che un paziente aprassico o uno affetto dalla sindrome della mano anarchica, mantengono perfettamente la loro libertà di scelta o della scelta44 (apice della piramide multidimensionale), pur non potendo, per problemi patologici, tradurre la scelta in azione, il primo (aprassico), o traducendo in azione ciò che non corrisponde alla scelta, il secondo (sindrome della mano anarchica).
All’apice di tutta questa stratificazione si trovi la volontà libera incarnata (embodied-free-will) che per emergere ha bisogno di tutte le dimensioni sottostanti e integrate a quelle coscienziali e che, ad ogni dimensione, si integra e si arricchisce con la relazione alle dimensioni mnestiche, affettivo-emozionali, linguistiche, ect.
Tale volontà libera incarnata (embodied-free-will) che si manifesta nelle scelte personali, è in grado di agire, a sua volta, alterando l’attività neuronale (top/down). Tralascio di esplicitare questo punto che meriterebbe un approfondimento significativo. Rientrano qui, ad esempio, le cosiddette “nuove dipendenze” (new addictions), quelle “comportamentali” (nonsubstance or “behavioral” addictions), il neurofeedback (NFB) ed altro ancora.
Note
28 R. LEVI-MONTALCINI, Abbi il coraggio di conoscere, Bur Rizzoli, Milano 2004, p. 25
29 T. D’AQUINO, Summa Theologiae I-II, q.13, a.1, c
30 T. D’AQUINO, Summa Theologiae I-II, q.13, a.1, c. Tommaso d’Aquino riprende qui Gregorio di Nissa quando afferma che la scelta «per se stessa non è l’appetito, e neppure il solo consiglio, ma la loro combinazione. Come infatti diciamo che l’animale è il composto di anima e corpo, non il corpo o l’anima soltanto, così anche la scelta» (Nemesio, De nat. hom. 33)
31 K. A. PALLE (et al.), «The source of consciousness», Trends in Cognitive Sciences 2014; 18 (8): 388
32 IBID.
33 K. SMITH, «Neuroscience vs philosophy: Taking aim at free will», Nature 2011; 477: 23-25
34 B. LIBET, «Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action», The Behavioral and Brain Sciences 1985; 8: 529-566
35 H.H. KORNHUBER− L. DEECKE,«Hirnpotentialänderungen bei Willkürbewegungen und passiven Bewegungen des Menschen: Bereitschaftpotential und reafferente Potentiale», Pflugers Archive für die Gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere 1965; 284: 1-17
36 P. HAGGARD − M. EIMER, «On the relation between brain potentials and the awareness of voluntary movements», Exp Brain Res 1999; 126: 128-133
37 C. S. SOON (et al.), «Unconscious determinants of free decisions in human brain», Nat Neurosci 2008; 11: 543-545
38 S. BODE (et al.), «Tracking the unconscious generation of free decisions using ultra-high field» fMRI, PLoS One 2011; 6: e21612, 1-13
39 K. A. PALLER – S. SUZUKI, «The source of consciousness», Trends in Cognitive Sciences 2014; 18: 388
40 H. G. HO (et al.), «Do meditators have higher awareness of their intentions to act?», Cortex 2015; 65: 149-158
41 Basti leggersi il capitolo IX – Una scimmia con l’anima: come s è evoluta l’introspezione del volume: V. S. RAMACHANDRAN, L’uomo che credeva di essere morto. E altri casi clinici sul mistero della natura umana, Mondadori, Milano 2012, pp. 268-312
42 IDEM, L’uomo che credeva di essere morto, Mondadori, Milano 2012, pp. 276.311-312
43 ARISTOTELE, Etica VI, 2
44 È interessante che anche la letteratura scientifica riesca ad intuire questo dato, esprimendolo col concetto di «the relative freedom of choice»: P. HAJICEK, «Free will as relative freedom with conscious component», Conscious Cogn 2009; 18: 103-109
4. Alcune considerazioni conclusive
Ho iniziato questo intervento illustrando la posizione di un neurofisiologo rispetto al tema del libero arbitrio, concludo con quella di un filosofo. Che la libertà sia un dato di fatto, cioè una realtà antropologica intrinseca e costitutiva dell’essere umano lo afferma Giovanni Reale; lo ribadì nell’intervista rilasciata il 10 ottobre 2014 su La Stampa replicando, con Giacomo Marramao, alla tesi scettica di Strata45. Molto probabilmente questa fu l’ultima intervista-commento del filosofo Reale, morto il 15 ottobre 2014 a 83 anni nella sua casa di Luino in provincia di Varese. Uno dei maggiori filosofi contemporanei, esperto in antichità, Reale rispondeva su La Stampa alle provocazioni aperte sulle frontiere tra neuroscienze, filosofia e sistema giuridico (neurodiritto) sollecitate dal volumetto La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze.
Alla domanda «Professor Reale, è possibile? Le acquisizioni dei neuroscienziati mettono in crisi le cattedrali della filosofia e del sistema giudiziario?», il grande “maestro” di pensiero antico (autore di opere come Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, prima edizione del 1983, nuova edizione rivista e ampliata 2013):
L’intervistatrice, Mirella Serri, lo incalzava con un’altra domanda: «Volontà e libertà sono reperti del passato». Il professor Reale ribadiva: «Dostoevskij, che è anche un grande filosofo, diceva che il bene e il male – lo dimostra ne I Fratelli Karamazov – derivano solo dalla libertà. Durante una conferenza in una sala piena di 600 persone un docente di matematica intervenne e disse che la verità si raggiungeva solo con la matematica e le sue formule. “Ma lei quando litiga o parla con sua moglie usa formule matematiche?”, gli chiesi. Il prof se ne andò indignato e il moderatore, il giornalista Armando Torno, mi spiegò che era appena uscito da una separazione familiare molto dolorosa».
La seguente affermazione del professor Giovanni Reale a mio avviso costituisce il leitmotiv per capire ed interpretare, secondo realtà e verità, i dati neuroscientifici relativi alle peculiarità dell’essere umano: «L’uomo non deve essere vittima di quello che costruisce e alla scienza non deve chiedere né poco né troppo»46.
La riflessione neurobioetica sul libero arbitrio diviene, oggigiorno, un “ponte” tra la classica bioetica, la filosofia perenne e le moderne neuroscienze. Questa “neurobioetica del libero arbitrio” ha l’estremo “potere” di ampliare l’orizzonte della speculazione antropologica proprio per il suo tipico approccio interdisciplinare alle sfide poste dalle neuroscienze. La sua tendenza ad una razionalità “aperta” ad integrare tutte le dimensioni dell’umano, inclusa la sua trascendenza e la ricerca del senso del suo essere ed agire, rende ragione di definizioni di “persona umana” che non si collocano nelle abbondanti prospettive riduzionistiche, ma che cercano di coglierne tutte le dimensioni costitutive dell’Homo sapiens. Per dirla secondo il filosofo canadese GLANNON:
Un approccio integrativo tra ricerca medica e riflessione filosofica è ciò che si auspica. È sempre più necessario integrare i saperi e le loro applicazioni alla persona umana; persona che si caratterizza sempre, anche quando fragile, malata o prossima alla morte naturale, quale unità-totalizzante di multiple dimensioni biologiche, psicologiche, sociali e spirituali.
Il ridurre la complessità dell’essere umano alla sola sfera materiale assolutizzandola non è indifferente, ha delle conseguenze pratiche sia a livello personale, che sociale. Nel suo splendido libro Chi è l’uomo, Abraham Heschel scriveva:
Ecco allora che le neuroscienze ci stanno aiutando sempre più ad identificare quella necessaria base organica (neurofisiologica) in grado di mediare, di manifestare, di rendere possibile l’espressione di qualità umane uniche quali la volontà libera. Concordo con AGLIOTI e BERLUCCHI quando affermano che
Sempre più, alla luce dei risultati neuroscientifici, il cervello viene “letto” come “organo relazionale”, necessario, ma non sufficiente, che media le interazioni tra l’organismo (soggetto umano) e l’ambiente. Sebbene la prospettiva delle neuroscienze sia importante, la complessità dell’umano si otterrà solo nella mutua complementarietà con una prospettiva che consideri (e includa) fattori esterni al cervello. Esternalismo ed internalismo del mentale devono venir riconciliati armonicamente secondo un dinamismo di circolarità e mutua interdipendenza.
L’errore di un certo neuro-determinismo è confondere il mezzo materiale, il cervello (condizione sine qua non in questa dimensione terrena), con la “vera” causa. Ce lo ricordava già il grande PLATONE che narrando la morte di Socrate affermava:
Note
45 M. SERRI, La filosofia non ci sta. “La libertà umana è un dato di fatto”. Giovanni Reale e Giacomo Marramao replicano al neurofisiologo Strata che nega il libero arbitrio, «La Stampa», 10 ottobre 2014
[http://www.lastampa.it/2014/10/10/cultura/la-filosofia-non-ci-sta-la-liber-umana-un-dato-di-fatto-201I0ZvP0r0cHpVWjUuR7L/pagina.html]
46 IBID.
47 W. GLANNON, Brain, Body, and Mind. Neuroethics with a Human Face, Oxford University Press, New York 2011, p. 5
48 S. M. AGLIOTI – G. BERLUCCHI, Neurofobia. Chi ha paura del cervello?, Prefazione, Raffaello Cortina, Milano 2013, p. 11
49 A. CARRARA, «Walter GLANNON, Brain, Body, and Mind. Neuroethics with a Human Face, Oxford University Press, New York 2011, pp. 225», recensione libro, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia (vol. 4, n. 1, 2013), http://www.rifp.it/ojs/index.php/rifp
50 PLATONE, Fedone 98c – 99a
51 IBID., 99a – 99b
© Bioetica News Torino, Ottobre 2017 - Riproduzione Vietata