Quinto incontro del corso specialistico di Bioetica avanzata 2023 – 2024
Mattinata intensa, stimolante e partecipatissima (sia in presenza, nell’aula magna del Polo Teologico Torinese, che on line) quella di sabato 17 febbraio in occasione del quinto incontro del Corso Specialistico di Bioetica Avanzata, giunto alla quindicesima edizione.
Tematica della mattinata di studi: Dalla medicina ippocratica a quella tecnocratica. Dietro la cattedra il professor Alessandro Bargoni, durante la prima parte della mattinata e, nella seconda parte, una avvincente tavola rotonda che ha visto partecipare relatori quali, Roberto Balagna, Barbara Pasini, Guido Giustetto, Giuseppe Naretto e Mauro Rinaldi. Moderatore della giornata, il dottor Enrico Larghero.
Primo intervento è stato quello del dottor Alessandro Bargoni, Docente presso la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Torino. Titolo della sua esposizione “Valori etici nella medicina, realtà storica o ideazione moderna”. Dopo un interessante excursus storico, affondante le proprie radici nella cultura greca antica, passando per la mitologia fino ad arrivare al Corpus Hippocraticum, il dottor Bargoni mette in atto una riflessione circa l’etica della pratica medica la quale, fin da subito, si è vista caratterizzare da una procedura, una metodologia, che non può esaurirsi solamente nella mera tecnica, bensì abbisogna anche di una dimensione etica che anzi, deve caratterizzare la propria specificità.
E’ vero che i valori etici sono figli del grado di cultura di chi li maneggia, del tempo storico, della religiosità dei tempi e dalle convenzioni, ma già da Ippocrate, ricorda il dottore, troviamo chiari riferimenti al fatto che il medico deve occuparsi di tutti i malati, schiavi o liberi. Sebbene caratterizzate da un approccio e una forma di comunicazione diversa in base a chi si aveva di fronte, il fine ultimo era sempre e solo quello: il bene del malato.
Nel trattato sulle epidemie, sempre nel Corpus Hippocraticum, viene introdotto il concetto dell’utilità dell’intervento medico, ossia che non debba essere caratterizzato dal nocere. Quindi, anche se il risultato non può essere previsto o garantito in toto, l’atto medico non deve mai perdere di vista l’utilità dello stesso nei confronti del paziente.
E’ il cosiddetto paternalismo ippocratico, concetto chiave dell’alleanza terapeutica, almeno fino all’età contemporanea dove i progressi della tecnoscienza come anche le mutate condizioni economiche e sociali hanno apportato ad un cambiamento di paradigma, dove valori etici e deontologia professionale del professionista della salute devono costruirsi in modo diverso rispetto al passato.
Complice anche l’influenza del cristianesimo e del concetto del prendersi cura non solo da un punto di vista strettamente biologico ma anche psicologico/spirituale, il rapporto medico – paziente, ossia l’alleanza terapeutica, da troppo tempo sbilanciata verso il primo della diade che, giustamente, possedeva le competenze per operare in quello che si riteneva giusto per il paziente, nel contesto contemporaneo ove la salute e tutto ciò che gravita intorno ad essa è visto come un bene anche fortemente economicizzabile, un cambio di rotta ove la comunicazione chiara assume un valore paradigmatico, diviene una necessità impellente per tentare di ricostruire una alleanza terpaeutica efficace, corroborata da istanze etiche che diventano lo sfondo valoriale entro il quale collocare gli atti tecnico scientifici propri della prassi medica.
La seconda parte della mattinata è stata caratterizzata da una vivace tavola rotonda. Ad aprire le danze ci ha pensato la dottoressa Barbara Pasini, docente di genetica medica presso l’Università di Torino.
L’ambito della medicina genetica ha visto, negli ultimi tempi, una accelerazione spaventosa, grazie soprattutto all’evolversi delle strumentazioni tecnologiche impiegate in questo ambito della medicina che negli ultimi anni hanno visto raggiungere risultati davvero notevoli.
Ogni anno vengono scoperte nuove malattie (circa trecento), proposte nuove tecniche come le terapie mirate, le terapie geniche, l’editing del genoma, sviluppo della bioinformatica, ecc.
In questo campo, sovente il rapporto medico paziente non è diretto, come avviene in altri ambiti più comuni. L’attenzione, per quanto concerne l’alleanza terapeutica, si è spostata nella diagnosi prenatale. Basti pensare alle consulenze richieste legate al rischio riproduttivo, dove mediante l’uso di sofisticate tecniche di analisi del genoma è possibile sapere in anticipo, con una certa sicurezza, quale potrà essere il futuro biologico del nascituro. Diversi sono gli interrogativi etici connessi a tale pratica scientifica la quale, come si è visto, grazie alla tecnologia riesce ad ottenere risultati davvero importanti. Ma anche in questo caso, fin dove è lecito spingersi? Cosa sarebbe meglio fare e cosa sarebbe meglio non fare, anche se tecnicamente possibile?
Il secondo intervento della tavola rotonda è stato tenuto dal dottor Guido Giustetto, Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurchi e degli Odontoiatri della provincia di Torino, , circa le problematiche relative alla medicina territoriale. Questa è affetta da varie questioni quali: gli aspetti demografici ed epidemiologici (leggi invecchiamento della popolazione, cronicizzazione delle malattie); il problema delle aspettative molto alte da parte dell’utenza verso la medicina in generale; discrasia tra quella che è la nota definizione dell’OMS circa il costrutto di salute, intesa come situazione di completo benessere fisico, psicologico e sociale e l’effettiva realtà in cui i pazienti sono inseriti; la complessità del sistema sanitario nazionale, la burocratizzazione dello stesso; l’uso dei social network, di internet e della comunicazione in generale quando si tratta di parlare di medicina e di salute; la telemedicina e l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario. Tutti questi mutamenti hanno apportato ad un modo diverso di vivere e di utilizzare la medicina, sia da parte dei pazienti sia degli specialisti. Chiudere gli occhi di fronte a questo mutamento antropologico è insensato. Ecco che bisogna ricorrere a nuove forme di comunicazione e di intervento il più efficaci possibili inserite in un contesto profondamente mutato, ma dove la gente continua a star male e ha bisogno di aiuto.
L’intervento del dottor Balagna, Direttore di Anestesia e Rianimazione 2, c/o il centro della Salute e della Scienza di Torino, si ricollega con quanto detto dal dottor Giusetto, ossia che ora, nella seconda decade del XX secolo, il medico si trova di fronte ad una popolazione decisamente mutata: anziani, malattie croniche, situazioni di fragilità e caratterizzate da numerose comorbilità, tutte situazioni che richiedono interventi continui e costanti. Non si tratta più di persone sane e di malati gravi. Ed è qui che subentra la questione della proporzionalità delle cure. Tale principio si basa sulla distinzione tra mezzi terapeutici ordinari e mezzi straordinari. Il ricorso a tali mezzi è sovente lasciato alla coscienza (e alla scienza) del medico, come per esempio accade nei casi di pazienti incapaci di intendere e di volere. Come realizzare in questi casi l’alleanza terapeutica? Il dottor Balagna cita il noto filosofo H. G. Gadamer: “Il medico esercita la sua autorità sul paziente non in forza dei suoi studi o in nome della scienza, ma paradossalmente per imposizione dello stesso paziente. E’ lo stesso paziente che dovendo ricercare una soluzione al proprio problema di salute, investe il medico di un’autorità e di aspettative di cui altrimenti, senza idolatrare l’autorità stessa, un genere di libertà diversa dalla libertà dogmatica, che è invece intollerante a qualisasi tipo di autolimitazione”.
Alla proporzionalità delle cure è connesso anche il problema dell’accanimento terapeutico, ossia l’insieme di iniziative clinico terapeutiche di carattere eccezionale che non porta alla guarigione o alla cura. Subentra qui il discorso della desistenza terapeutica, la quale deve avere alla sua base il criterio di accompagnamento alla morte secondo criteri biologici e deontologici ben definiti. Ultimo richiamo nell’intervento del dottor Balagna è stato quello relativo alla distinzione tra palliazione ed eutanasia, distinzione intorno alla quale oggi, spesso (specie i media), fanno molta confusione. Nella palliazione si cerca la sospensione del dolore e si tollera conseguentemente la morte, mentre nell’eutanasia si ricerca la morte per ottenere l’effetto della scomparsa del dolore e della sofferenza.
L’intervento del professor Mauro RInaldi, direttore del reparto di Cardiochirurgia della Città della Aalute di Torino, inizia con una specificazione: la differenza tra tecnica e tecnologia. La tecnica è l’insieme delle norme applicate e seguite in un’attività intellettuale o manuale, mentre la tecnologia è invece tutto quello che supporta o permette l’evoluzione e lo sviluppo della tecnica. Quale il ruolo del chirurgo in un contesto dove la tecnologia sembra farla da padrona? Certamente quella di farsi assistere dalla stessa, senza mai farsi sostituire. Anche oggi quando si parla di chirurgia robotica, superando quello che è l’immaginario comune, ci si trova dinnanzi ad una telemanipolazione computer assistita, dove il ruolo del medico è fondamentale.
L’ultimo intervento della giornata è stato quello del dottor G. Naretto, direttore S.C. Cure Palliative dell’ASL della Città di Torino.
Cosa sono le cure palliative? Esse arrivano alla fine, quando la medicina non ha più strumenti, quando il malato non è ancora morto, ma bisogna fare qualcosa. Nella legge 38/1, all’articolo 2, sono così definite: “L’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti in cui la malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.
Quando si segue un approccio di tipo palliativista il prolungamento della malattia è possibile tecnicamente ma spesso non porta a risultati, anzi, sovente allunga il processo agonico del malato. Non si tratta più di basarsi su un approccio solamente fisiologico (basandosi sulle tante tecniche che si hanno a disposizione), ma la relazione con il malato (e con i suoi cari) deve spostarsi anche verso la valutazione della dimensione esistenziale, che tenga in considerazione oltre agli obiettivi terapeutici (ragionevoli e pienamente condivisi), ma anche la consapevolezza dei valori e del progetto di vita e del contesto sociale del paziente.
Nelle cure palliative, conclude il dottor Naretto, diviene quindi prioritario rispondere alle domande di senso (sia di chi opera in tal ambito sia di chi vi è sottoposto), come anche tenere in considerazione che in questo settore la tecnologia troverà sempre un limite nella impermanenza del corpo biologico e che nessuna macchina, ad oggi, è in grado di sostenere la frantumazione di un sé malato. Questa può essere solo sostenuta da un umanissimo gesto di cura e di vicinanza nel quale, la presenza e l’ascolto diventano elementi essenziali sia per il paziente che per la sua famiglia.
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