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Dalla Francia, malato riaccende il dibattito sull’eutanasia: vuole “lasciarsi morire” sui social. Il video rimosso da Facebook

06 Settembre 2020

Tutto quello che viene postato sui social media può essere letto e visto da un numero infinito di persone. La provocazione del cinquantasettenne francese, Alian Cocq, con una gravissima disabilità, che dal suo profilo facebook annuncia di lasciarsi morire e voler trasmettere in diretta la propria agonia non è passata inosservata, seppure in modi differenti e contrastanti, tra le maglie della galassia digitale né da chi detiene il servizio di rete social tramite un suo portavoce né dai sostenitori pro eutanasia. Una vicenda accaduta venerdì scorso, ripresa dai media, e che mette nuovamente al centro dell’agenda politica e di discussione pubblica la legalizzazione dell’eutanasia.

Dall’Ansa si apprenda l’accaduto. «Al momento il video sarà bloccato fino all’8 settembre. Ora tocca a voi», fa sapere deluso il signor Cocq, dopo aver ricevuto un diniego all’eutanasia dal presidente Macron e richiama l’attenzione al suo diritto di libertà di espressione. Cocq, sofferente da tempo di una patologia degenerativa, aveva affermato di sospendere le cure, i sostegni vitali alimentazione e idratazione dando conferma poi con tali parole «la strada per la liberazione inizia e, credetemi, sono felice». Certo che troverà presto un’altra piattaforma su cui veicolare la sua richiesta e il suo messaggio, chiede di unirsi alla sua lotta: «Non mancate di far sapere alle persone cosa ne pensate di Facebook e dei suoi metodi di ingiusta discriminazione e ostacolo alla libertà di espressione, un diritto che è tuttavia imprescrittibile a qualsiasi cittadino francese ed europeo».

La rimozione del video è avvenuto perché, spiega un portavoce di Facebook «pur rispettando la sua decisione di attirare l’attenzione su questa complessa questione, sulla base della consulenza di esperti, abbiamo adottato misure per impedire il live streaming sull’account di Alain poiché le nostre regole non consentono di mostrare tentativi di suicidio».

Intanto i sostenitori di Cocq non vogliono più così come è la legge in vigore dal 2016 sul fine vita, la Claeys-Leonetti che autorizza la sedazione profonda e continua per i pazienti terminali, in uno stato irreversibile, lenendo la sofferenza nei casi di manifestazione di sintomi refrattari e di interruzione dei trattamenti vitali alimentazione e idratazione.

Il quotidiano Avvenire spiega che Cocq convive con la sua malattia rara invalidante, incurabile e dolorosa da una trentina d’anni che si è acuita negli ultimi quattro anni durante i quali la sua esperienza è un calvario, da lui descritto tra rianimazioni, ischemie e interventi. Un uomo tenace che negli anni addietro si era fatto carico dei diritti dei soggetti portatori di disabilità alla Corte Europea dei diritti dell’uomo arrivandovi da Digione con la sedie a rotelle. Ora non ce la fa più e dal letto di casa chiede un medico per porre fine alla sua esistenza. Si viene a conoscenza dalla società di accompagnamento e di cure palliative (Sfap) che il signor Cocq rifiuta le cure palliative e che nel Paese vi sono difficoltà di accesso a tali cure. Problema già rimarcato nel 2018, in occasione della revisione dello studio di bioetica nel quale il Consiglio di Stato francese non ritenne «modificare la legge che vieta l’aiuto al suicidio e l’eutanasia, poiché la legge Claeys – Leonetti è recente ed è stata adottata con ampio consenso dopo approfondito dibattito; poiché persistono carenze nell’accesso alle cure palliative».
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Alcune criticità nella legalizzazione dell’eutanasia in Canada, istituita dal 17 giugno 2016

È uscito questa estate il Primo rapporto annuale del Ministero della salute canadese (luglio 2020) che ritrae un quadro della morte medicalmente assistita per eutanasia e suicidio assistito. Sono stati 5.631 casi nel 2019 mentre dall’entrata in vigore ne vengono riportati 13.946. L’Associazione pro life Australian care alliance nel commentare la relazione (Fiamc, Eutanasia in Canada) tra i diversi punti, fa notare: l’aumento di anno in anno della richiesta del 57% dal 2017 al 2018 e del 26% dal 2018 al 2019; la preferibilità dell’atto eutanasico rispetto al suicidio assistito perché, come riporta il documento, «providers are less comfortable with self-administration (assisted suicide) due to concerns around the ability of the patient to effectively self-administer the series of medications and the complications that may ensue»; il disagio di cure palliative non accessibili se richieste in almeno 91 casi come rileva il documento stesso: «In almeno 87 o 3.9% ( ma possibilmente almeno 227 o 10.2% dei casi i servizi di sostegno alla disabilità non erano forniti sebbene fossero richiesti», che «ammette che perfino per coloro che risultano aver ricevuto tali servizi i dati non forniscono un’analisi di adeguatezza dei servizi offerti». Riguardo a quest’ultimo punto l’associazione richiama l’attenzione ad un fatto di cronaca accaduto ad uomo quarantenne canadese, Roger Foley, ex direttore di banca, sofferente di una malattia neurodegenerativa, che dall’ospedale, consapevole della sua situazione, chiese invano di essere assistito a casa: «He alleges he has been fighting health authorities for the right to manage his own in-home care, but rather than “assisted life” in his own home, he has been offered assisted death in a hospital» (Brean J., Denied “Assisted life“.

(Aggiornamento 7 settembre 2020, h. 0,33)
Redazione Bioetica News Torino