Cyberbullismo. Il 31% dei tredicenni ne è stato vittima. E l’85% dei casi non arriva a conoscenza degli adulti
20 Novembre 2014Cyberbullismo fenomeno sempre più diffuso tra i giovanissimi, ma resta in gran parte sommerso. A svelarlo è l’indagine ‘Abitudini e stili di vita degli adolescenti’ 2014 condotta dalla Società Italiana di Pediatria su un campione nazionale di 2.107 studenti delle scuole secondarie di primo grado. Il 31% dei tredicenni (35% delle femmine) dichiara di aver subito (una o più volte) atti di cyberbullismo e ben il 56% di avere amici che lo hanno subito. Gli adolescenti più a rischio sono gli assidui frequentatori dei social network: infatti tra quelli che ne frequentano più di tre la percentuale di chi ha subìto atti di bullismo online sale dal 31 al 45% (quasi uno su due).
Insulti, persecuzioni e minacce su social network (39,4%), in chat (38,9%) o tramite sms (29,8%) sono le modalità prevalenti con cui si compiono atti di bullismo online, seguite dall’invio o pubblicazione di foto o filmati (15%) e dalla creazione di profili falsi su Facebook (12,1%).
Eppure la maggioranza delle vittime non ne parla con gli adulti e l’85% dei casi di cyberbullismo non arriva a conoscenza di genitori e insegnanti. I dati sono stati presentati per la prima volta il 20 novembre agli Stati Generali della Pediatria, organizzati dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Polizia di Stato, in collaborazione con Facebook in occasione della Giornata Mondiale del Bambino e dell’Adolescente dedicata al tema ‘Bambini sicuri dalla strada alla rete’.
Un’iniziativa alla quale hanno preso parte gli studenti delle scuole di Roma, volta a sensibilizzare genitori, insegnanti, istituzioni sulla necessità di azioni congiunte per favorire l’uso positivo del web, a partire proprio dalla prevenzione e dal contrasto al cyberbullismo.
Un fenomeno di difficile emersione. Il comportamento di gran lunga prevalente tra le vittime di cyberbullismo risulta essere “difendersi da soli” (60% dei maschi e 49% delle femmine). A distanza seguono:
– ho informato un adulto (genitore, insegnante …) 16,8%
– ne ho parlato con un amico/a 14,2%
– ho subito senza fare niente 11,7%
– denuncia (con i genitori) alla polizia postale 3,2%
Da questi dati emerge che, sommando il “difendersi da solo” con il “subire senza far niente”, si arriva ad un 70% di “non emersione” del fenomeno. E se si considera anche chi si limita a confessare la cosa ad un amico/a, la percentuale di casi che non arriva a conoscenza di un adulto di riferimento sfiora l’85%. Emerge inoltre un atteggiamento incoerente tra teoria e pratica. Infatti quasi la metà degli adolescenti che non sono mai stati vittime di bullismo dichiara che, qualora lo fosse, informerebbe un adulto.
Questo scostamento tra intento teorico e comportamento effettivo è stato sempre osservato anche nel bullismo tradizionale, ma è molto più significativo nel cyberbullismo. Questo perché riferire una prepotenza subita nell’ambito dei rapporti reali è più facile, in quanto può essere circoscritta al singolo o a limitati episodi. Fare emergere invece una ‘persecuzione’ attraverso Internet costringe la vittima ad ‘aprire’ ai genitori (o ad un altro adulto) tutta la propria vita sui “social”, mettendo inevitabilmente in luce uno “storico” di atteggiamenti e comportamenti complessivi che raramente un adolescente ha facilità a rendere noti ai propri genitori, nella maggior parte dei casi estranei al funzionamento e al linguaggio della rete.
“Di fronte al quadro di solitudine in cui si trovano le vittime di cyberbullismo – afferma il Presidente della Società Italiana di Pediatria Giovanni Corsello – occorre rafforzare gli strumenti a loro sostegno, favorire il dialogo, l’apertura e la fiducia verso gli adulti, anche con interventi di prevenzione nelle scuole che coinvolgano non solo vittime e carnefici, ma gli spettatori passivi. Non dobbiamo trascurare che, come risulta anche da una recentissima revisione della letteratura scientifica, il cyberbullismo ha conseguenze negative sulla salute delle vittime, tra le quali sindromi depressive, ansia, sintomi somatici, ed una maggiore propensione all’uso di droghe e comportamenti devianti. Non ci sorprende che i ricercatori siano arrivati a definire il cyber bullismo come ‘un problema di salute pubblica internazionale’. I pediatri, che rappresentano una figura di riferimento per il bambino e l’adolescente, dovrebbero anche intercettare e riconoscere i segnali di disagio dell’adolescente che potrebbe essere vittima di cyberbullismo, ma è necessario rafforzare la formazione in questo ambito. Oggi sigliamo un importantissimo accordo con la Polizia di Stato che va in questa direzione”.
“La Polizia di Stato – ha spiegato Roberto Sgalla, Direttore Centrale per la Polizia Stradale, ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato – opera da anni per far sì che i rischi della rete, soprattutto nei confronti dei minori, non debbano costituire un limite allo sviluppo della comunicazione sul web, ma al contrario un valore aggiunto per la propria crescita culturale. I dati disponibili e le nostre esperienze nelle scuole – dichiara Sgalla – ci mostrano come i bambini, già dalle scuole dell’infanzia e scuole primarie iniziano ad avere i primi contatti con i mezzi informatici e la Rete Internet. Contatti sempre più frequenti man mano che questi diventano più grandi, passando dal mondo degli oggetti a quello delle relazioni attraverso le chat, social network e dell’instant messaging. Per questo – conclude Sgalla – il protocollo siglato oggi con la Società Italiana di pediatria, rappresenta un importante passo per la creazione di un modello di formazione e informazione a cui ci siamo sempre ispirati per rendere la “rete” un’opportunità e non un pericolo sia per le famiglie, sia per i nostri ragazzi sempre più proiettati nel mondo online”.
fonte: Quotidiano Sanità
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