Cristo, è risorto. Si, è veramente risorto e noi ne siamo i testimoni Lettera di Pasqua dell'Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia alle famiglie dell'Arcidiocesi
15 Aprile 2017Cari Amici,
ritorno a visitare le vostre case per annunciarvi con gioia che Cristo ha vinto la morte ed è risorto. Di fronte a tanti problemi e difficoltà che assillano il cuore di molti sia sul piano spirituale che sociale, resta immutata in chi crede la speranza che il bene, la verità e la giustizia prevarranno sul male e su ogni altra ragione di scoraggiamento e di preoccupazione. Questo perché, se Cristo è veramente risorto, allora niente deve farci paura e il nostro presente e futuro non sono soltanto nelle nostre mani e in quelle cieche e spesso irrazionali della violenza o delle calamità naturali, che distruggono l’esistenza di persone e beni come avviene con i terremoti o le guerre fratricide.
Cristo risorto abbatte tutti i muri ed edifica un mondo di fraternità
Cristo immolato sulla croce è fonte di un amore che si offre fino al sacrificio di se stesso per rompere le barriere dell’inimicizia e delle divisioni causate del peccato ed aprire vie di vita, di condivisione e di pace. Egli è la nostra pace, perché ha distrutto il muro che divideva l’umanità da Dio e tra i popoli e le persone e ha fatto pace tra cielo e terra, pace nelle coscienze dell’umanità e tra coloro che si consideravano nemici. Lo ha fatto con il perdono e con l’obbedienza al Padre suo, di cui si è fidato sino alla fine.
Cristo risorto distrugge anche tutti i nostri muri, che costruiamo a volte nelle nostre stesse case, quando una famiglia si divide o vive pesanti condizioni di vita, dovute a fattori esterni, come la mancanza di lavoro o di casa, o interni, come incomprensioni, litigi e contrasti tra adulti o tra questi e i giovani. Ma quanti altri muri sono tra noi e hanno bisogno di essere abbattuti, quando consideriamo un’altra persona diversa da noi per cittadinanza, religione o orientamento sessuale, culturale o sociale non degna di accoglienza, affetto, considerazione ed eventuale aiuto. Penso in questo momento a tanti rifugiati o a chi fa scelte giudicate sbagliate sotto il profilo morale o sociale, oppure a chi ha sbagliato e sta pagando in carcere con la pena dovuta per giustizia. Solo Cristo risorto può aiutarci ad abbattere tutti questi muri e a costruire invece ponti di incontro, di dialogo e di pace.
Questa è la via della risurrezione, che ogni uomo può percorrere grazie alla fede in Cristo. È la via del non lasciarsi mai vincere dal male, ma di vincerlo con il bene, confidando in Dio, che accoglie il sacrificio di se stessi per donare vita e amore perfino a chi è causa dello stesso male. Tutta la vicenda storica di Gesù di Nazareth, e sopratutto la sua passione e morte, lo rivelano, tanto che addirittura un centurione romano, pagano ma onesto e libero da condizionamenti di potere politico, dichiara di fronte alla morte del Signore in croce: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). Lo fa perché ascolta le parole di perdono e di fiducia in Dio, suo Padre, che quel condannato pronuncia prima di morire. Egli non recrimina verso chi lo ha accusato e condannato ingiustamente e reagisce con amore a chi, sotto la croce, lo insulta, lo schernisce e bestemmia: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Lui, il centurione, non lo sa, ma con quelle parole e quel comportamento Gesù mette in pratica quanto ha predicato e insegnato ai suoi discepoli:
«Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,42). Qui sta la forza del Crocifisso e la radice della sua risurrezione: l’amore vince l’odio con il perdono, l’amore è più forte del peccato e di ogni violenza e della stessa morte, l’amore crea un mondo nuovo dove chi è oppresso risulta alla lunga vincitore e non perdente e chi opprime resta privo di speranza e di vita per sempre.
La risurrezione di Cristo fonte della “grande speranza”
La Pasqua conferma questa scelta vincente del Crocifisso e traccia la via che milioni di persone, martiri e confessori della fede, santi e semplici
battezzati, hanno seguito, abbracciandola con coraggio e testimoniandola con gioia, nella loro vita. Ciò che li ha sorretti è stata la grande speranza,
che nasce dalla Pasqua del Signore, che una vita donata, anche se appare a volte sconfitta e perdente rispetto ai risultati immediati conseguiti, è
come un chicco di grano caduto in terra: muore per portare frutto per tutti.
Canta la liturgia pasquale: «Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora vivo trionfa». Chi crede nella risurrezione del Signore, di fronte alla lotta tra la vita e la morte, si schiera sempre dalla parte della vita. Questa è diventata per i cristiani la frontiera più avanzata dell’evangelizzazione e della civiltà, dinanzi all’estendersi del potere della morte, che, ogni giorno, prende piede nelle coscienze delle persone e nella prassi della società.
Un tempo si parlava della morte di Dio; oggi si può ben parlare della morte dell’uomo, perché è la creatura più minacciata dai suoi stessi simili. Dal primo istante del suo concepimento al suo naturale tramonto, egli deve affrontare la violenza di chi ne vuole usufruire per esperimenti, come fosse una particella della natura, una cosa da usare per dare vita ad altri; di chi lo sopprime prima ancora di nascere, erigendosi a padrone assoluto della sua vita; di chi addirittura dice di amarlo, togliendogli la vita quando non è più considerata degna di essere vissuta.
È questa una conseguenza di quella filosofi di vita e di cultura, la quale predica che Dio è superfluo e che vivere come se non ci fosse rende più felici. Ma ignorare e rifiutare Dio significa far morire anche l’uomo, che è sua immagine e, in Cristo, è suo figlio.
Più la cultura dell’individualismo e dell’edonismo avanza e più l’uomo si fa giudice assoluto di se stesso e degli altri, fino a decidere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che merita di vivere o merita di morire, dimenticando di rapportarsi a Dio, che ha immesso nella coscienza e nel cuore di ogni uomo la sua legge, affinché sia fonte di una vita che vince anche la morte. Questa legge ha un nome solo: quello dell’amore, che si offre e si dona come Cristo sulla croce e non cede mai alla tentazione di scegliere altre strade, ritenute più efficaci e concrete, per sconfiggere la forza dirompente del peccato e della morte.
Senza sacrificio per amore non c’è redenzione per se stessi e per gli altri; non c’è vita nuova; non c’è risultato efficace e vittoria dell’amore sull’odio, della pace sulla violenza, della vita sulla morte.
L’apostolo Giovanni, di fronte al Battesimo che ci ha fatto rinascere in Cristo ad una nuova vita, la sua stessa di risorto, esclamerà con stupore, ma anche con profonda convinzione: «Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?» (1Gv 5,4-5). Dunque, siamo certi che la nostra fede può vincere il mondo, anche se questo sembra così forte da distruggere ogni germe di risurrezione. Cristo ha vinto e i suoi discepoli vinceranno con lui, perché, alla fine, l’ultima parola è sempre di Dio, che vuole la vita e la vuole in abbondanza e piena per tutti.
Questa è la speranza che nasce nel cuore di ogni uomo quando accoglie la risurrezione del Signore. Ciascuno di noi oggi ha bisogno di sperare in un futuro migliore, più sereno e positivo sul versante della famiglia, del lavoro, della società. Si tratta di speranze umane, che coltiviamo nel cuore e che Dio conosce e di cui si fa carico, perché ci ha creati e redenti perché abbiamo la vita e la possediamo in abbondanza. Credere nella risurrezione significa immettere questa grande speranza nel tessuto delle nostre esperienze umane, intrise di dolori e sofferenze, di gioie e attese. Il Padre, che non ha abbandonato suo Figlio al potere della morte, ridà speranza e forza a chiunque confida in Lui, perché non si rassegni mai, neanche di fronte alle tragedie più dure da patire.
La speranza, che nasce dal Cristo risorto, infatti, non è come quelle umane, che spesso falliscono o deludono. Pensiamo all’amore che unisce le persone, quando diciamo «Ti amo»: vorremmo che questo sentimento così forte durasse per sempre. Oppure, quando siamo felici per qualche situazione di vita, desidereremmo che questa felicità durasse più a lungo possibile. Purtroppo, non è così, perché la vita si incarica di metterci davanti a prove e difficoltà di ogni genere, che sembrano distruggere o infrangere queste speranze. C’è bisogno di una speranza, che vada oltre e che sia assoluta e definitiva. Solo in Cristo risorto la troviamo; solo lui ha vinto anche la morte e chi crede ha la sicurezza che l’amore, la vita, la felicità, tutto potrà durare per sempre.
Il cuore del Vangelo cristiano
Questo è il Vangelo, la buona notizia, che nasce dalla risurrezione del Signore e che dobbiamo testimoniare a tutti con la nostra vita. Vivere da risorti significa non scoraggiarci mai, perché il male può essere vinto, ogni forma di ingiustizia e di violenza superata, la stessa sofferenza diventare via di salvezza, come è stata quella di Gesù.
Si racconta nel Vangelo di Giovanni che «il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e
vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,1-9).
In quel giovane apostolo che Gesù amava e in Pietro, io individuo le nostre comunità, i nostri giovani, che corrono veloci per incontrare il Signore
risorto e precedono gli adulti e anziani. Penso anche che sia importante entrare tutti insieme, uniti, nel sepolcro vuoto per vedere e credere. Io,
come Vescovo, e voi, genitori e nonni, voi cristiani adulti, che avete creduto per primi, confermate i ragazzi e i giovani, con la testimonianza della vostra vita, nella fede che Gesù è veramente risorto. Tutti lo possiamo fare con verità, perché abbiamo ricevuto la stessa testimonianza dagli Apostoli, da coloro che ci hanno fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Essi non hanno seguito favole artificiosamente inventate, ma sono stati testimoni oculari della potenza del Signore. Quello che hanno veduto e udito, ce lo hanno trasmesso, perché la loro gioia sia la nostra e noi siamo in comunione con loro e con il Padre e Gesù Cristo, mediante il suo Spirito.
Tocca, dunque, a ciascun cristiano, bambino, giovane o adulto, fare lo stesso: vedere e credere sulla base della testimonianza della Chiesa, per diventare testimone credibile della Pasqua del Signore. È questo l’impegno del diventare cristiani, che, ad ogni età della vita, si pone al credente. Mai possiamo dirci cristiani fino in fondo. Abbiamo bisogno di vedere e credere con maggiore convinzione e sincerità, perché, anche per un credente, la comprensione della Scrittura e l’accoglienza della testimonianza degli Apostoli, che ci rivela la risurrezione del Signore, restano un punto di arrivo permanente verso cui tendere con la mente, il cuore e la vita.
Fede in Cristo e vita quotidiana
«La fede in Gesù risorto ci aiuta a vivere con gioia e ad affrontare i nostri problemi con speranza?». È una domanda che tanti nostri contemporanei ci pongono, a parole o con le loro scelte alternative alla fede. Nessuno può restare indifferente a Gesù Cristo, perché la sua persona esercita pur sempre un fascino nel cuore di ogni uomo, che ne conosce l’insegnamento e la storia. Questa domanda ce la poniamo anche noi credenti, per primi. La fede, infatti, non è mai una realtà acquisita e scontata, ma sempre una conquista incessante, che apre vie misteriose da percorrere, a volte con grande luce,
a volte nel buio fitto del dubbio e dell’incertezza. Ebbene, io vi assicuro che colui che, con sincerità cerca il Signore, lo trova, perché è il Signore stesso che si fa incontrare sulla strada della vita.
La sua voce risuona potente nel cuore ed indica il cammino da percorrere per superare ogni tristezza ed ogni prova e gustare fino in fondo l’amore. Non temete, dunque, e fate come Pietro e l’Apostolo che Gesù amava: correte veloci verso il sepolcro, dove hanno pensato di seppellire per sempre il Signore della vita, che, invece, trionfa e risorge! Sì, perché anche oggi ci sono tanti sepolcri, che vengono costruiti per seppellire al loro interno,
per sempre, Gesù: sono la potenza del denaro, la frenesia del sesso, la via dell’inganno e della falsità, il fascino della scienza, la forza delle armi. Potentati forti, che sembrano invincibili, ma che nulla possono contro il Dio della vita, dell’amore e della pace, perché egli rovescia ogni realtà terrena e compie cose nuove e sorprendenti. Non dobbiamo aver timore, come credenti, di affrontare questi messaggi, questi ambienti e queste situazioni, perché in essi non c’è vita, ma morte, non c’è speranza di risurrezione, ma solo disperazione, noia, indifferenza, non-senso della vita.
Gesù vive altrove ed incontra l’uomo là dove ci sono la vita e l’amore puro, bello, vero, affascinante e faticoso insieme; dove ci sono persone che
lottano per la giustizia, rinunciano ai beni materiali per il bene sommo, che è Dio, sanno essere puri di cuore e misericordiosi, sanno perdonare e vincere il male con il bene, operano per la pace e cambiano così la loro vita e quella degli altri.
Ai giovani che incontro, racconto sovente l’esperienza che ho vissuto in Thailandia, visitando, i missionari che operano in quella terra, dove per mezzo della loro predicazione diversi villaggi diventano cristiani. Ciò accade, perché chi giunge alla fede diventa subito testimone e missionario presso parenti e amici ed annuncia a tutti il Vangelo senza timore, con entusiasmo e gioia grande.
Così, mentre da noi tanti abbandonano la fede, la Chiesa missionaria cresce e si estende tra nuovi popoli e nazioni. Il Vangelo ha perso, tra noi,
la sua carica di novità e di speranza? O forse è la nostra scarsa fede in Cristo che ci impedisce di credere in Lui e di parlarne ovunque e con chiunque, senza timore, testimoniandolo con coerenza e verità nella nostra vita? Questi nuovi cristiani non ci danno l’esempio di ciò che dovremmo fare anche noi per comunicare la gioia della fede agli altri?
A Pasqua, accogliamo l’augurio che i fedeli delle Chiese cristiane ortodosse si trasmettono l’un l’altro; esso è un vero programma di fede professata e annunciata a tutti: «Cristo è risorto. Sì, è veramente risorto e noi ne siamo testimoni».
Pace a questa casa che mi ha accolto e a tutti coloro che la abitano. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Amen!
+ Cesare Nosiglia
vescovo, padre e amico
Documento tratto da Lettera di Pasqua dell’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alle famiglie dell’Arcidiocesi, 16 aprile 2017, Arcidiocesi di Torino.