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75 Gennaio 2021
Speciale Bioetica dell'Infanzia

Crescere i bambini come persone: un compito antico e una sfida attuale

In breve

Da una breve analisi del contesto sociale odierno si passa a delineare alcuni aspetti che indeboliscono l'esperienza relazionale dei bambini nella crescita in ambito familiare, lasciandoli non allenati ad affrontare impegni e frustrazioni future.

Introduzione

a cura di Enrico Larghero
Responsabile scientifico del Master universitario in Bioetica – Facoltà Teologica di Torino

Nata nel secondo dopoguerra, la neuropsichiatria infantile si è  gradatamente affermata a partire dagli anni Settanta. Oggi è una importante branca della Medicina che si occupa dello sviluppo neuropsichico e dei suoi disturbi, dalla nascita sino ai 18 anni. Di tale disciplina Pia Massaglia è specialista di grande competenza e nel suo intervento delinea, partendo dalla sua lunga esperienza e dai suoi studi, i legami tra mondo del bambino, psichiatria e neurologia. Il tutto alla luce della Bioetica, di una visione cioè volta a cogliere le criticità evolutive dell’essere umano in una fase particolarmente delicata del suo sviluppo e che avrà forti ricadute sulla personalità adulta. Tutti i grandi sono stati bambini una volta – scriveva Saint-Exupéry nel Piccolo Principe – ma pochi di essi se ne ricordano.


Aspetti influenti nello sviluppo del bambino nel contesto sociale odierno

Nel contesto di vita odierna, in cui la globalizzazione ha ampliato gli orizzonti evidenziando incessantemente disuguaglianze, conflitti, sfruttamento delle persone e devastazione dell’ambiente, è in continua crescita il consumismo e si assiste alla disgregazione delle comunità con accentuazione dell’individualismo. I bambini crescono in un intreccio di dimensioni reciprocamente paradossali: dalla smisurata dilatazione della scena di vita al restringimento dell’interesse a sé, ma con molte incertezze rispetto al futuro.

Proprio il quadro generale connotato da precarietà e mutevolezza rende oggi particolarmente necessaria da parte degli adulti un’attenzione speciale a sviluppare in modo adeguato nei bambini il sentimento di sé e la capacità di pensare, aiutandoli lungo il loro percorso di crescita a diventare sempre più soggetti consapevoli, aperti all’esplorazione del mondo con fiducia e interesse e capaci di impegnarsi positivamente. Tuttavia la realizzazione di un’esperienza relazionale sostenente la crescita del bambino come persona rischia di essere indebolita (se non francamente compromessa) da tendenze ed atteggiamenti piuttosto diffusi, anche in famiglie unite e con un importante investimento affettivo sui figli.

Innanzi tutto occorre considerare una insufficiente (o in certi casi del tutto assente) distinzione generazionale, che compromette la possibilità di un dialogo costruttivo e favorisce la confusione reciproca. In un rapporto “alla pari” non si offrono validi modelli identificatori e non si pongono limiti, sottraendo ai figli la sicurezza data da un confine definito, che permette di individuarsi. Inoltre in una dinamica senza differenziazione (e tanto meno contrapposizione) tra il bambino e la coppia genitoriale il mito di Edipo, alla luce del quale si è avviato il pensiero psicoanalitico, appare al tramonto, mentre emerge il mito di Narciso, con il figlio adorato dai genitori e sempre assecondato, quindi non allenato ad incontrare e sostenere impegni/sforzi/frustrazioni del quotidiano, che predispongono ad affrontare le prove insite nella crescita e più in generale le esperienze di vita.

I “no” autorevoli dell’educazione genitoriale

Quando gli adulti non riescono a dire dei no, a fare richieste di impegno e di disciplina per procedere verso mete elevate, rinunciano completamente alla loro funzione di guida autorevole e lasciano sprofondare i bambini nell’abisso delle soddisfazioni immediate, spesso concrete. Si vive allora alla giornata, all’insegna del principio del piacere, mettendo completamente da parte il principio di realtà e la prospettiva del futuro.

Certamente esercitare un ruolo educativo richiede al genitore la forza di sostenere un conflitto, con la serenità derivata dalla certezza di scegliere per il bene del figlio, pur causandogli momentaneamente reazioni di rabbia o di delusione. Quando l’adulto si sottrae alla propria responsabilità, non accompagna verso la crescita: le proposte basate sul ricatto o sulla ricompensa, oltre a svilire la relazione genitoriale ad un minacciare/mercanteggiare continuo, abituano i bambini ad agire solo in vista di un castigo/premio concreto, come in un riflesso condizionato, annullando valori e significati, utili a delineare nella loro mente la distinzione tra il bene e il male, tra l’essenziale e il superfluo, per poi orientarsi nell’attuare le proprie scelte.

Come comportarsi dinanzi alle loro esperienze di perdita (un oggetto, un animale) ?

Un’altra importante difficoltà degli adulti è offrire vicinanza e sostegno rispetto alle esperienze di perdita, piccole o grandi che siano, per consentire al bambino di affrontare le emozioni ad esse connesse sia nell’immediato, tristezza-disperazione-rabbia-colpa, sia nel prosieguo, tristezza e nostalgia. Frequentemente la morte del pesciolino o del criceto viene camuffata con la sostituzione, come pure l’allontanamento di un amico è minimizzato spronando subito a cercarne altri. In questo modo non si allena il figlio ad incontrare e sopportare le mancanze, che sono evitate, nascoste, negate e/o tamponate con gratificazioni concrete, anche quando si tratta della morte di una persona cara.

Conclusione

Su una trama relazionale così evanescente, dove spesso le cose prendono il posto degli affetti, in genere non si propone solidarietà, ma si invita a pensare per sé e a fare quello che conviene o rende, favorendo non solo l’indifferenza verso gli altri, ma anche il disimpegno rispetto al quotidiano in famiglia. 

Si osserva allora che bambini e ragazzi monetizzano funzioni e piccoli servizi, come giocare col fratellino o far compagnia al nonno o ritirare la posta, ecc. La mercificazione azzera purtroppo la gioia di partecipare con generosità e buona volontà alla vita comune e la soddisfazione della responsabilizzazione su certi compiti.

Ricordo a questo proposito il prezioso richiamo a «lavorare per creare una società di cittadini e non di miserabili consumatori», espresso nell’ultimo Salone del libro dallo scrittore L. Sepulveda, recentemente scomparso nella pandemia in corso. Personalmente auspico che ognuno di noi possa impegnarsi per fornire un apporto costruttivo al riguardo.

© Bioetica News Torino, Gennaio 2021 - Riproduzione Vietata