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DPI: tra inquinamento ambientale e sostenibilità e riduzione dei rifiuti sanitari

02 Febbraio 2022

C’è necessità di una migliore gestione dei rifiuti: la sola pandemia ne ha prodotti decine di migliaia di tonnellate. Tanto nell’Unione Europea quanto negli altri Paesi nell’emergenza l’attenzione sulla sicurezza e sostenibilità dei rifiuti è passata in secondo ordine, dichiarano gli studiosi di un recente Rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) sull’analisi dei rifiuti sanitari durante la pandemia, che ricordano che agli inizi 115 mila sanitari persero la vita a causa del Covid-19.

Fanno osservare come i sistemi sanitari si trovino ora in difficoltà e si teme per la salute umana e ambientale, pensando all’impatto che avranno quelle 87mila tonnellate stimate di dispositivi per la protezione personale (dpi) procurati tra marzo 2020 e novembre 2021 e inviati e distribuite nelle regioni dell’Oms che ne avevano più bisogno, pari a 261mila aeroplani jumbo jet 747. Citano la plastica (2.600 tonnellate) di cui sono composti in parte i set per i test per il tracciamento del Covid e le relative sostanze chimiche presenti (731 mila litri), il materiale della fornitura dei vaccini da aghi a siringhe e scatole di sicurezza (144 mila tonnellate). Il 97% dei rifiuti plastici dei testi viene incenerito con il rischio di un aumento di inquinamento laddove l’attività di incenerimento non è controllata bene.

Non è solo un rapporto sulla situazione attuale in relazione ai dispositivi di protezione personale ma presenta anche delle raccomandazioni e dei suggerimenti su alcune pratiche di sostenibilità nella gestione ambientale dei rifiuti e su quali investimenti ci si potrà concentrare per essere preparati in situazioni simili in futuro.

«Ė importante fornire gli operatori sanitari un adeguato PPE (equipaggiamento di protezione personale)», altresì «assicurarsi che possa essere utilizzato in modo sicuro senza andare ad impattare l’ambiente circostante», afferma Michael Ryan, direttore esecutivo, Programma di emergenze sanitarie dell’Oms.

Introduzione

Agli inizi della pandemia gli sforzi erano tutti rivolti alla produzione e al rifornimento di materiale protettivo mediante l’alleanza fra diversi membri dell’Unione europea. Questo avveniva nonostante fosse allora evidente che nella «maggioranza dei servizi sanitari dei paesi a basso e medio reddito mancasse la capacità di gestione dei carichi di rifiuti esistenti, ancor più con il crescere del volume».

Gli autori M. Montgomery, A. Hayter, J. Klu et al. di questo Rapporto Global analysis of health care waste in the context of Covid-19, spiegano che «una povera gestione di rifiuti mette a rischio potenzialmente gli operatori sanitari di infettarsi mediante ferite da aghi, escoriazioni ed esposizione a microorganismi patogeni» e che «può anche infettare le comunità che vivono in prossimità delle discariche mal gestite e dei siti di smaltimento dei rifiuti attraverso la contaminazione dell’aria, di un’acqua di qualità povera o da insetti che trasmettono malattie».

La preoccupazione cresce anche per l’ambiente. La produzione di plastica è più che raddoppiata. Non si conosce quale sarà il suo impatto a breve dispersa nei fiumi, negli oceani, nell’aria dai fumi prodotti dall’abbruciamento e a lungo termine sottoforma di nano particelle.

La situazione di gestione dei rifiuti sanitari

Risulta in sofferenza. C’è una grande quantità che si rileva da dispositivi di protezione personale (guanti, mascherine, copricamici) dai test per il tracciamento Covid, dai vaccini somministrati.

Si stima che 3 miliardi e 400 milioni di mascherine usa e getta sono state gettate via ogni giorno nel 2020, comprese quelle in uso dalla popolazione aumentando enormemente il volume di rifiuti di plastica. Nei paesi a basso e medio reddito con sistemi limitati di gestione dei rifiuti una parte è finita ad inquinare l’ecosistema terreste e marino.

Si osserva che agli inizi quando non si conosceva come si trasmetteva il covid-19 si è avuto un utilizzo improprio e abuso dei DPI, che continua ancor oggi. Secondo le linee guida dell’Oms i guanti sono l’articolo più spesso utilizzato in modo improprio, raccomandati per gli esami quando c’è un rischio di esposizione diretta del sangue, della pelle non intatta o delle mucose, mentre non lo sono ad esempio per la misurazione della temperatura e per le vaccinazioni.

Sono riportati alcuni esempi di uso appropriato di DPI: per lo screening di un paziente sospetto di Covid -19 è richiesta la mascherina medica (include ASTM F2100, levels 1–3; and EN 14683, types II or IIR) mentre non vengono richiesti i guanti a meno che non vi sia un’esposizione diretta al sangue o alle mucose e la protezione degli occhi è indicata se non può essere mantenuta la distanza fisica; nei test per il Covid-19 viene richiesta la mascherina medica, non sono richiesti i guanti mentre per la protezione degli occhi dipende se non può essere mantenuta la distanza fisica; per la vaccinazione covid-19 è necessaria la mascherina medica, non si richiedono i guanti mentre per la protezione degli occhi dipende dalla valutazione del rischio; nell’assistenza di cura domiciliare di un paziente è richiesta la mascherina medica mentre per i guanti e la protezione degli occhi dipende dalla valutazione di rischio.


Opzioni sostenibili: mascherina chirurgica biodegradabile o reciclabile per materiale plastico o di base per il manto stradale; guanti biodegradabili fino all’85%; altri dispositivi: prodotti laminati o film possono essere sostituiti da polimeri biodegradabili.

Sostenibilità ambientale, prevenzione e riduzione dei rifiuti

Si può iniziare dai guanti, che da tempo, ancora prima della pandemia, sono un problema sul piano dei costi e dell’impatto ambientale, e da altri dispositivi il cui uso giornaliero risulta inappropriato a patto che la sicurezza non sia compromessa e le forniture, ad esempio dei guanti siano programmate disponibili dove l’utilizzo è necessario nell’interazione con un singolo paziente.

Ridurre i volumi degli imballaggi e preferire quelli sostenibili, in particolare mascherine, guanti e vaccini, è una pratica utile. Gli autori sostengono che «solo gli articoli sterilizzati come i guanti chirurgici dovrebbero avere imballaggi individuali. Inoltre dovrebbe esserci una chiara distinzione tra i prodotti venduti per uso pubblico da quelli per interazioni mediche di tipo generico con basso rischio sanitario e da quelli per scenari sanitari ad alto rischio che hanno un imballaggio appropriato». Ritengono non necessari quegli imballaggi di guanti e mascherine avvolti in sacchetti di plastica in numero limitato per ciascun sacchetto e poi impacchettati con cartone e infine inscatolati se non si tratta di materiale sterilizzato. Non solo comporta un rifiuto in più ma anche rallenta il rilascio di gas, alcuni dei quali possono essere dannosi, dal prodotto realizzato in polimeri.

Riguardo ai vaccini, la raccomandazione riguarda, come tra l’altro sta già accadendo per quelli contro il Covid-19, di massimizzare la capacità del flaconcino aumentando il numero delle dosi vaccinali per flaconcino, di considerare altri approcci a quelli con la siringa e aghi come ad esempio con i cerotti e somministrazione orale.

La maggior parte dei dispositivi di alta qualità e sicurezza sono prodotti per un singolo utilizzo. Un riuso comporta un processo di decontaminazione che è sicuro ma per la maggior parte richiede una tecnologia complessa, alcuni elementi essenziali come l’acqua ed corrente stabile, oltre ad operatori formati. Secondo le linee dell’Oms più recenti l’uso delle mascherine mediche o respiratorie dipende dal tipo di interazione con il paziente e dalle procedure. Migliaia di mascherine vengono gettate via ogni giorno nei grandi ospedali. Per far fronte alle carenze di forniture agli inizi della pandemia venivano riusate mascherine di uso singolo dopo approcci disinfettanti complessi e gli studi hanno mostrato, spiegano M. Montgomery, A. Hayter, J. Klu et al. nel Rapporto, che la disinfettazione è costosa e offre una sicurezza limitata; pertanto solo nel caso di carenze estreme tale procedura viene raccomandata per le mascherine ad uso singolo mediche e respiratorie.

Alcune mascherine possono essere riciclate: biodegradabili, prodotte in Francia e in Spagna. O il riciclo di quelle chirurgiche che una compagnia francese effettua raccogliendo le mascherine in un punto preciso di raccolta, depositandole per 4 giorni in quarantena, macinandole in piccoli pezzi ed esponendole ad una luce ultravioletta per sostenere la decontaminazione prima del riciclo. Miscelato con altri materiali vengono trasformate in plastica o usate per materiali di costruzione. In tre mesi nel 2020 ne ha riciclate 50 mila producendo 2000-3000 prodotti riciclati. Il riciclo di mascherine mediche usate serve per la base del manto stradale.

Infine un’impronta ecologica parte anche da una produzione nazionale eliminando i viaggi oltreoceano come quelli avvenuti agli inizi dall’Asia.

CCBYSA

(aggiornamento 03 febbraio 2022 ore 10.21)

redazione Bioetica News Torino