Covid-19. Ė lecita la richiesta di trasfusione di sangue “no Vax” ?
07 Febbraio 2022Dall’Ansa si apprende che nell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna la vita di un bambino è sospesa. Attende il parere di un giudice per sapere se potrà ricevere trasfusione di sangue da persone che non si sono vaccinate per il Covid-19 avvalendo la tesi dei suoi genitori dichiarati “no Vax” che hanno fatto tale richiesta oppure se si darà corso al consueto iter procedurale per la donazione di sangue prevista dai centri trasfusionali sulla compatibilità.
I medici che dovrebbero operarlo al cuore rimangono in attesa del verdetto che dovrà considerare “il miglior interesse del bambino”.
Della vicenda non conosciamo nulla di più ma da essa scaturiscono alcuni interrogativi e suggestioni in attesa della pronuncia.
L’obbligo vaccinale dai 50 anni in poi e il green pass come lascia passare per accedere a servizi ed attività lavorative sono misure di contenimento e prevenzione da Covid-19 governative che hanno acuito la tensione e il dibattito tra chi è a favore e chi è “no vax”. Quest’ultimo è mosso da motivazioni diverse, dal ritenere il vaccino inoculato più pericoloso per la salute della malattia da Covid-19, punto su cui alcuni, superata o dalla terapia intensiva hanno dato testimonianza opposta, al considerare il vaccino per il Covid-19 non necessario fino ad essere in sintonia con un sentire ideologico mediante l’appartenenza ad un movimento.
Non sono mancate le preoccupazioni da parte dei vaccinati che si sono però affidati, rassicurati, alla letteratura scientifica più recente e al senso di responsabilità dell’individuo nei confronti della tutela della salute pubblica.
Da un lato c’è il rispetto per l’autonomia decisionale dei genitori che esercitando la patria potestà sul minore, possono essere preoccupati per le conseguenze sulla salute già precaria del loro figlio. Al di là di ogni pregiudizio sulla scelta degli adulti di vaccinarsi o meno, vi sono basi scientifiche che i vaccini «dimostrano un’elevata efficacia nel prevenire il Covid-19 (91%). Come per i ragazzi più grandi e gli adulti, dopo la vaccinazione contro il Covid-19 i bambini possono avere alcuni effetti collaterali (dolore, gonfiore) o generali (febbre, malessere, stanchezza) che hanno breve durata (uno – due giorni). I bambini dai 5 anni di età e i ragazzi possono essere vaccinati contro Covid-19 perché la sicurezza e l’efficacia del vaccino è stata attentamente monitorata inclusi studi nella fascia di età 5-11 anni. Suo figlio/a non può ammalarsi di Covid-19 vaccinandosi». Ė tra le numerose risposte dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma di approfondimento sulle domande più frequenti in tema di vaccinazione anti Covid-19 raccomandata per la fascia di età 5 -11 anni.
Sulla questione degli effetti collaterali del vaccino anti Covid-19 nei bambini nella rivista «A Scuola di Salute» dedicata al Vaccino contro il Covid-19 per i bambini, lo stesso Ospedale pediatrico, pur ammettendo che «per adesso non possiamo contare su un lungo periodo di tempo per stabilire l’assenza di effetti collaterali a grande distanza» precisa che tuttavia «abbiamo alcuni fatti concreti che ci permettono di escludere questa possibilità. Il primo è che anche nella popolazione adulta, che finora ha ricevuto due o tre dosi del vaccino, in questo periodo non è mai stato registrato alcun effetto collaterale a grande distanza dalla somministrazione che sia riconducibile al vaccino. Il secondo aspetto è che le componenti del vaccino si degradano rapidamente dopo aver esercitato la propria funzione». Assicura infine che «non esistono i presupposti biologici perché si verifichino effetti collaterali a lungo termine», ciononostante è attivo il monitoraggio per «garantire la massima sicurezza della popolazione vaccinata, inclusi i bambini».
Dall’altra parte c’è il diritto di cura del medico, che, nell’ottica di tutelare la vita e la salute della persona e competente professionalmente, informa i genitori del minore mettendoli a conoscenza in un linguaggio consono a loro sull’intervento e sui rischi e benefici.
Riguardo alla donazione di sangue, la normativa, come descrive il Ministero della Salute sul sito aggiornato al 13 gennaio 2022, pone innanzitutto una differenza tra vaccino con virus attenuati – non disponibili in Italia – per i quali occorre aspettare almeno 4 settimane prima della donazione, e vaccino a base di virus inattivati o ricombinante per i quali la donazione è possibile 48 ore dopo la somministrazione se si è in assenza di sintomi come febbre o spossatezza o una settimana dopo la presenza di sintomi post- vaccino (dopo la completa guarigione). Non si può invece donare se si è positivi al Covid-19 e in tal caso si potrà fare tale gesto di gratuità solo dopo 14 giorni dalla risoluzione dei sintomi escluse la perdita di gusto e olfatto che potrebbero protrarsi per alcune settimane oppure il test molecolare o antigenico è risultato positivo. Se si è stati a contatto stretto con un soggetto positivo o se si torna da un viaggio all’estero la donazione può avvenire dopo un periodo di quarantena obbligatoria o dopo l’esito negativo di tamponi antigenici o molecolari.
Infine qualora sia stata fatta la donazione e nei 7 giorni successivi viene diagnosticata l’infezione o se compaiono sintomi associabili al Covid-19 oppure se nei due giorni precedenti alla donazione si fosse stati in contatto con una persona che abbia contratto il Sars-CoV-2 il donatore è tenuto ad avvertire il servizio trasfusionale.
C’è il rischio di cadere nella falsa notizia della presenza di linee cellulari di feti abortiti nei vaccini anti-Covid-19: le stesse case farmaceutiche nei loro foglietti di Vaxzevria e Janssen smentiscono. Viene fatto osservare in un articolo intitolato Bufalavirus, i vaccini anti Covid-19 non contengono feti umani pubblicato sull’Osservatorio delle malattie rare (8 aprile 2021) in cui Roberta Villa, medico, giornalista e divulgatrice scientifica ne spiega il motivo: «per sviluppare i vaccini nei laboratori vengono usate delle linee cellulari umane, che per riprodursi praticamente all’infinito devono essere di origine embrionale, e quindi programmate per replicarsi fino a produrre tutti i tessuti dell’organismo. I virus che servono per produrre alcuni vaccini sono dunque coltivati su cellule che derivano, attraverso innumerevoli generazioni, dai tessuti donati alla ricerca da due donne che negli anni Sessanta si erano sottoposte ad un’interruzione volontaria della gravidanza. Si tratta quindi di linee cellulari prodotte su scala industriale e comprate dai laboratori da decenni!».
Anche la Pontificia Accademia per la Vita aveva espresso una nota nel 2017 sulla questione dei vaccini, riferendosi in particolare modo a quelli in maggior uso in Italia, contro rosolia, varicella, epatite A e poliomielite, affermava che «va considerato che oggi non è più necessario ricavare cellule da nuovi aborti volontari, e che le linee cellulari sulle quali i vaccini in questione sono coltivati derivano unicamente dai due feti abortiti originariamente negli Anni Sessanta del Novecento» e per questo «non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo» mentre ribadiva «la responsabilità morale alla vaccinazione per non far correre dei gravi rischi di salute ai bambini e alla popolazione in generale». Allora circolava la stessa “falsa notizia”.
Sul piano della sicurezza la stessa dottoressa Villa ha spiegato che questi vaccini «non contengono né cellule embrionali né i loro residui, anche perché provocherebbero reazioni di rigetto da parte dell’organismo», sono “estremamente purificati” e “sottoposti a centinaia di controlli lungo tutta la filiera produttiva”.
Allora alla luce delle conoscenze attuali ci si chiede se può essere lecita una tale richiesta o se essa assuma toni discriminatori sul tipo di sangue, tra chi è vaccinato e non, sulla linea delle discriminazioni razziali?
CCBYSA
Nota di aggiornamento del 9 febbraio 2022: L’agenzia italia (AGI) informa che il giudice tutelare di Modena ha deciso che ci sono le condizioni di assoluta sicurezza nel sangue fornito dall’ospedale, qualsiasi sia la sua provenienza. Il piccolo potrà essere operato. Il giudice ha accolto il ricorso dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna che doveva operare il bambino di cuore ritenendo l’intervento “urgente e necessario” per la cui operazione aveva presentato ai genitori l’eventuale ipotesi di trasfusioni di sangue. I genitori avevano espresso il loro rifiuto non all’intervento ma per “motivi religiosi” alle eventuali trasfusioni di sangue proveniente da donatori vaccinati da Covid-19, rifiuto che aveva portato a sospendere l’intervento.