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Covid -19. Anche l’Italia potrà riconoscerla tra le malattie professionali con la nuova Raccomandazione UE

25 Maggio 2022

C’è bisogno di riconoscere il Covid-19 come malattia professionale nell’assistenza socio e sanitaria, domiciliare, e in un contesto pandemico in settori laddove è comprovato che vi sono maggiori rischi di infezione sui luoghi di lavoro: è quanto le diverse parti, governi, lavoratori e datori, al Comitato di consulenza sulla sicurezza e salute sul lavoro dell’Unione Europea (ACSH) hanno concordato il 18 maggio specificandone il settore, quello della cura socio e sanitaria e laddove un alto rischio di infezione è comprovato.

La Commissione europea farà tesoro di questo parere che segna un passo in più nel proprio impegno preso per la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori delineato nella relazione del Quadro strategico dell’Ue dedicato per gli anni 2021-2027, datata 28 giugno 2021. Potrà così aggiornare, entro i tempi che aveva indicato nel Quadro strategico, entro il 2022, la Raccomandazione UE del 19 settembre 2003 sulle malattie professionali inserendo la Covid-19 tra quelle descritte in quell’elenco europeo. In tal modo gli Stati membri possono riconoscerla adattando le normative nazionali alla Raccomandazione aggiornata.

Nel parere del Comitato Ue di Consulenza su Sicurezza e Salute sul Lavoro, adottato il 18 maggio, il nuovo ingresso nell’elenco delle malattie professionali della Raccomandazione della Commissione del 2003 apparirà con il numero 408 nella categoria delle Malattie infettive e parassitarie con la seguente dicitura: «408 Covid-19 a causa del lavoro nell’assistenza socio e sanitaria, nell’assistenza domiciliare, nella prevenzione della malattia, o in un contesto pandemico, in settori dove c’è un esordio in attività nelle quali un rischio di infezione è stato comprovato» e compito della Commissione sarà quello di chiarire nella prossima Raccomandazione il significato di “in un contesto pandemico” e come l’assistenza sociale dovrebbe essere interpretata alla luce del nuovo articolo inserito, il 408.

«Un forte segno della politica di riconoscere l’impatto della Covid-19 sui lavoratori e della consapevolezza dell’importante contributo degli operatori socio e sanitari, come pure di lavoratori in altre attività in cui il rischio di contrarre questa malattia infettiva da Sars-CoV-2 è più alto», ha affermato il Commissario per il lavoro e i diritti sociali Nicolas Schmit.

Si tratta di un passo importante, come afferma la Commissione europea, per promuovere il riconoscimento di questa malattia infettiva dovuta al Sars-CoV-2 da parte di tutti gli Stati membri, la cui competenza di riconoscimento tuttavia è nazionale. Al tempo della sua Relazione al Parlamento sul Quadro strategico su Salute e sicurezza sul luogo di lavoro 2021-2027 , nel giugno 2021 la Commissione europea riferiva che c’erano già 25 Paesi membri che riconoscevano Covid-19 come malattia professionale o infortunio sul lavoro. Riportava l’esempio della Francia che l’ha introdotta nel settembre 2020 con un decreto governativo per operatori nel settore sanitario e assimilati nei casi che causano gravi infezioni respiratorie consentendo anche un risarcimento; oppure quello danese in cui i casi di Covid-19 possono essere riconosciuti e compensati previa valutazione delle autorità competenti come malattia professionale e infortunio sul lavoro in tutte le professioni.

Nell’indagine Eurostat dell’Istat nel settembre 2021 citata dalla Commissione Europea, che verteva sulla possibilità di riconoscere Covid-19 come malattia di origine professionale ad un livello nazionale nell’UE e nei Paesi Efta, 17 erano i Paesi che riconoscevano Covid-19come malattia professionale: Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Francia, Ungheria, Latvia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Svezia. Anche Svizzera e Norvegia la riconoscevano come tale, invece tre membri Italia, Slovenia e Spagna come infortunio sul lavoro. Cinque paesi membri, Austria, Belgio, Danimarca, Germania e Finlandia la riconoscono come infortunio sul lavoro o malattia professionale a seconda dei criteri nazionali. E da Grecia e Irlanda veniva associata a infezione di origine lavorativa, senza specificare l’una o l’altra situazione.

Anche l’Italia aggiornerà il proprio elenco nazionale: l’accordo Ue raggiunto « apre ora la strada a un riconoscimento della malattia professionale a tutti i camici bianchi e dovrebbe spingere lo Stato, come da noi auspicato, a riconoscere retroattivamente a tutti i medici caduti per Covid-19 quel risarcimento che finora ha riguardato solo una parte di loro», ha commentato il presidente dell’Ente di previdenza della categoria, Enpam, Alberto Oliveti. Nel nostro Paese un primo passo è stato fatto dall’Inail che ha provveduto in mancanza di una copertura assicurativa per i decessi da Covid-19, come spiega la nota dell’Enpam, a risarcire i medici dipendenti per infortunio da lavoro con effetto retroattivo escludendo però i liberi professionisti e parasubordinati non iscritti all’Inail, non aiutando così i familiari superstiti dei medici di famiglia, categoria quest’ultima che ha pagato il tributo tra i più alti agli inizi della pandemia.

Per Oliveti lo Stato dovrebbe aumentare le risorse al fondo di Stato istituito con la legge finanziaria del 2007 per i morti sul lavoro, che prevede il diritto ad una tantum a prescindere dall’iscrizione all’Inail, risorse al momento insufficienti per coprire quanti vi hanno diritto ad un’indennità, tutti i familiari superstiti dei medici e odontoiatri.

L‘Inail pubblica il nuovo rapporto nazionale, 27° rapporto sui contagi sul lavoro che le sono giunti dall’inizio della pandemia. Da gennaio 2020 fino al 30 aprile si contano 260.750 infezioni da Covid-19. Il 2022, tra gennaio ed aprile, con i suoi dati di contagio, 63milae700, ha superato il 2021. In forte diminuzione sono i decessi. L’età media dei lavoratori contagiati è di 46 anni per entrambi i sessi, con la fascia d’età 50-64 anni al primo posto con il 41,2% delle denunce, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (20,2%) e over 64 anni (2,0%). La maggioranza è italiana, pari all’80%, seguita da quella straniera, rumena, peruviana, albanese, moldava, svizzera ed ecuadoriana.

I maggiori contagi denunciati provengono dal Nord Ovest, quasi la metà, poi da Nord- Est attorno al 20% e il rimanente Centro, Sud e Isole. Tra le province più colpite dalle denunce di contagi sono Milano, Torino, Roma, Napoli, Genova, Brescia, Verona, Venezia e Varese.

L’Inail ha riconosciuto positivamente il 76% delle denunce arrivate dall’inizio della pandemia e un indennizzo per quasi tutti i casi (95%) che riguardano in prevalenza inabilità temporanee (99%) e il restante tra menomazioni permanenti, rendite a superstiti per casi mortali.

In Piemonte le professioni più colpite indicate nella scheda infortuni Covid -19 dell’Inail risultano più colpiti i tecnici della Salute (maggior parte infermieri seguiti da assistenti sanitari, tecnici sanitari – di laboratorio e radiologia – e fisioterapisti, poi le professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, soprattutto operatori socio-sanitari; i medici tra generici, internisti e anestesisti.

(Aggiornamento 25 maggio ore 23.57)

redazione Bioetica News Torino