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Corte Costituzionale: PMA: no alla maternità surrogata, apertura verso il riconoscimento giuridico del “genitore di intenzione” negli interessi del bambino. Manca una legge

09 Marzo 2021

La Corte Costituzionale è intervenuta a decidere nell’ambito dello stato civile dei bambini nati mediante la pratica della maternità surrogata, pratica che è vietata in Italia dalla legge 40 del 2004, specificatamente nell’art. 12. Pur avendo espresso nella sentenza che costituzionalmente non è possibile (“ammissibile”) nell’ordinamento italiano far valere un provvedimento giudiziario straniero che riconosce oltre il padre biologico anche genitore quello “non biologico di intenzione”, entrambi di cittadinanza italiana, di un figlio nato in Canada mediante maternità gestita per altri, la Corte Costituzionale suggerisce anche che sia compito del legislatore procedere «nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore».

Il bambino nasce in Canada mediante procreazione medicalmente assistita eterologa, da un embrione formato con i gameti di un uomo cittadino italiano e di una ovodonatrice anonima che viene impiantato nell’utero di una gestante per altri. L’atto di nascita viene registrato in Canada. Inizialmente le autorità canadesi riconoscono solo il padre biologico come genitore, non sono citati né la ovodonatrice né la gestante surrogata; poi nel 2017 la coppia ricorre alla Corte Suprema della British Columbia che accoglie l’appello e li riconosce entrambi genitori. Successivamente la coppia, registrata nell’atto delle unioni civili in Italia, fa richiesta all’anagrafe in Italia della rettifica dei dati anagrafici del bambino come riconosciuti dalla Corte Suprema canadese ma ottengono un rifiuto che porterà i ricorrenti ad appellarsi in tribunale italiano.

Le questioni che vengono sollevate alla Corte Costituzionale sono due: la legittimità sul piano della Costituzione della procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo nell’art. 12 della Legge 40/2004 sulla PMA facendo riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e alla Carta dei diritti del fanciullo, e il riconoscimento del provvedimento straniero presso l’anagrafe italiana del rapporto tra il minore nato all’estero tramite PMA eterologa e il genitore di intenzione, e più precisamente su quanto non consente l’ordinamento dello stato civile italiano (1997, 127) «secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».

La Corte ha osservato, sulla falsariga delle sezioni unite della Corte di Costituzione, tale tipo di maternità ritenendola in sintonia con «l’Avvocatura generale dello Stato e una parte degli amici curiae  – che gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita». Cita poi anche la risoluzione del Parlamento europeo del 2016 con cui non ammette «qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali».

Dall’altro lato la Corte ha posto però l’attenzione “sugli interessi del bambino” nato da maternità surrogata, guardando ai « suoi rapporti con la coppia (omosessuale, come nel caso che ha dato origine al giudizio a quo, ovvero eterosessuale) che ha sin dall’inizio condiviso il percorso che ha condotto al suo concepimento e alla sua nascita nel territorio di uno Stato dove la maternità surrogata non è contraria alla legge; e che ha quindi portato in Italia il bambino, per poi qui prendersene quotidianamente cura».

Si è interrogata su quale sia nella vicenda complessa e come salvaguardare il principio dei “migliori interessi o dell’interesse superiore del bambino” espresso nella Convenzione sui diritti del fanciullo (art. 3), che consiste, come già citato in precedenti pronunciamenti della Corte, nella ricerca per «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”»

E ritiene che il migliore interesse del bambino, in questa vicenda, accudito sin dalla nascita da una coppia che «ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata». Si basa sul fatto che la comunità di affetti che lo circondano è dotata di riconoscimento giuridico – l’unione civile -. Non fa riferimento ad “un preteso” «diritto alla genitorialità» ma all’«interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali». Non conta «l’orientamento sessuale l’orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale».

Infine ha fatto osservare come nei Paesi in cui la maternità surrogata è vietata per la giurisprudenza della Corte EDU (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) c’è necessità di un «riconoscimento giuridico del “legame di filiazione”», seppure sia lasciata «alla discrezionalità di ciascun Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali annovera anche il ricorso all’adozione del minore». Soluzione quest’ultima su cui il giudice della CC ha espresso parere favorevole mettendo in evidenza il nodo ancora spinoso sull’adozione con vincoli di parentela e l’altro presupposto, il mancato assenso del genitore biologico.

Conclude rimandando una soluzione parlamentare sul dilemma tra il divieto della PMA eterologa e il rispetto dei diritti dei minori:

al Parlamento: nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco.

 

redazione Bioetica News Torino