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16 Gennaio 2014
Supplemento Convegno: Bioetica, filosofia e teologia

Trascendenza e laicità. Quali prospettive in bioetica

Trascendenza e laicità
Quali prospettive in bioetica

A differenza di taluni studiosi, che negano l’esistenza di un odierno conflitto antropologico, ossia di un contrasto tra diverse maniere di concepire l’uomo e il suo posto nel mondo, Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate afferma l’esistenza di due umanesimi strutturalmente differenti: uno che spiega l’uomo con Dio – reputando che la persona sia tale solo in virtù del suo rapporto con l’Assoluto, inteso come causa, fine e orizzonte di senso della persona – e l’altro che spiega l’uomo con l’uomo, reputando che la persona possa essere autonomisticamente spiegata a prescindere da Dio.

Giovanni Fornero
Storico della Filosofia e studioso di Bioetica

Il primo paradigma è tipico della tradizione cattolica ed è sintetizzato dalla tesi, ribadita dal Concilio Vaticano II, secondo cui la creatura risulta comprensibile solo in relazione al Creatore. Al punto, come hanno precisato a più riprese Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che chi prescinde da Dio falsifica il reale e non spiega l’uomo.

Il secondo paradigma è tipico della cultura laica – anche se esistono credenti che su questo specifico punto procedono metodologicamente come i laici – e consiste nel ragionare etsi creaturalitas non daretur, ossia come se l’uomo e il mondo non dipendessero originariamente e strutturalmente da Dio. In altri termini, rifiutandosi di argomentare nell’orizzonte dell’Assoluto e della Trascendenza, tale cultura procede come se l’uomo, a differenza di quanto insegna la dottrina cattolica ufficiale, non fosse il prodotto di una Intelligenza creatrice e un ente dotato di una particolare “natura”e di determinati “scopi”.

Da ciò l’esistenza di una profonda dicotomia tra coloro che vivono e pensano etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse, e coloro che vivono e pensano etsi Deus daretur, come se Dio ci fosse.

A mio avviso, gettare dei ponti fra queste due posizioni, come testimoniano le vicende della cultura contemporanea, non è impresa facile, tanto più che esse muovono da idee-guida differenti.

Esiste comunque un modo preliminare per avvicinarle ed è il riconoscimento della ineliminabilità della domanda su Dio. Infatti, il problema di Dio, comunque venga risolto, rappresenta qualcosa che ogni uomo non può fare a meno di porsi. Tanto più che tale problema fa tutt’uno con la domanda sul senso ultimo della vita e della morte. “Senso” che la presenza del male, della sofferenza e della morte rende ancora più ineludibile.

Da ciò la possibilità di un dialogo rispettoso tra chi (= il credente) ha cercato e ritiene di aver trovato e tra chi (= il non credente)  ha cercato e ritiene di non aver trovato.
A monte, la questione di Dio funge da spartiacque anche in sede bioetica.
Infatti, mentre la bioetica cattolica che si pone in sintonia e continuità con i documenti del Magistero ritiene di non poter parlare in maniera veritiera (e fondata) dell’uomo e del mondo senza discorrere al tempo stesso di Dio, cioè dell’Essere da cui l’uomo e il mondo ricevono la loro esistenza, il loro significato e la loro norma, la bioetica laica –partendo dal principio della completa autonomia dell’umano – prescinde programmaticamente da qualsiasi riferimento ontologico ed etico al divino. Nello stesso tempo, la bioetica laica prescinde in toto dall’idea magisteriale di un “piano di Dio sulla vita”con funzione normativa.

Insieme – e come effetto – di questa basilare differenza, come ho cercato di documentare nei miei libri, ve ne sono molte altre (si pensi alla questione dell’esistenza o meno di una legge morale naturale). Di conseguenza, anche in quel cruciale settore che è la bioetica nasce il problema di un possibile avvicinamento fra le varie posizioni o per lo meno la necessità di un dialogo basato sul reciproco rispetto delle diversità. Del resto, se tutti pensassero allo stesso modo non avrebbero senso il confronto e il dialogo.

Personalmente ritengo che in bioetica la prima condizione per un  dialogo proficuo sia la franca esplicitazione delle precomprensioni e dei presupposti paradigmatici che stanno a monte del diverso modo di affrontare le varie questioni biomorali.

Una seconda condizione del dialogo è lo sforzo, da parte di ognuno dei dialoganti, di prendere “sul serio” i valori dell’interlocutore.
Ad esempio, il valore-vita (e il principio “non uccidere”) è qualcosa che interpella non solo i credenti, ma anche i non credenti. Emblematica, a questo proposito, è la tesi di Norberto Bobbio, secondo cui i laici non dovrebbero lasciare soltanto ai cattolici il compito (e il privilegio) di difendere questo basilare principio dell’umana convivenza.

Analogamente, il valore-libertà è qualcosa che interpella non solo i non credenti, ma anche i credenti, in particolare i cristiani.

Ovviamente conciliare in modo coerente e fondato tali valori, che in certi casi sembrano confliggere fra loro, non è agevole, soprattutto quando si discorre di inizio e  fine vita e si affrontano questioni intricate come quelle dell’aborto e dell’eutanasia.

Da ciò la sfida che, al di là di  ogni indebita semplificazione dei problemi, si pone dinanzi agli uomini del nostro tempo. “Sfida” che si gioca non solo sul piano dottrinale e filosofico, ma anche su quello pratico e politico. Tanto più che in una società pluralista e democratica una qualche forma di “mediazione” fra le sue varie componenti appare inevitabile. Soprattutto in quel basilare settore – la bioetica – che tratta di questioni  di vita e di morte.


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