Ringraziamo il prof. Fornero, oltre che per la sua competenza, anche per l’onestà intellettuale con cui ha affrontato la questione oggetto del Convegno.
Invito il prof. Stephan Kampowski per la seconda relazione.
Enrico Larghero
Responsabile Scientifico
Master Universitario in Bioetica
Da parte mia una breve riflessione. Ascoltando il prof. Fornero, mi è sovvenuta l’immagine dell’Uomo vitruviano di Leonardo ed anche «Umanesimo integrale» di Jacques Maritain.
Di quanto la filosofia, la teologia e la scienza si intersechino tra di loro ce lo dimostra la storia. La medicina è figlia di Cartesio, quando ha portato avanti un discorso riduzionistico e, tutto sommato, la medicina di oggi è anche figlia di un Illuminismo che ha portato la scienza a ritenersi unica depositaria del sapere nonché autoreferenziale. La scienza, nella sua evoluzione attraverso i secoli, è progredita, portando l’essere umano a porsi delle questioni di senso, come ben evidenziato dal prof. Fornero, e quindi a recuperare una dimensione filosofica e teologica.
Condivido quanto sostenuto dal professore: una parte di filosofia riteneva che si potesse vivere «etsi deus non daretur» – «come se Dio non esistesse» – ma quando la vita ci porta a riflettere sulle questioni di senso – due fra tante: la morte ed il senso stesso della sofferenza – inevitabilmente la medicina e la scienza si rendono conto di non avere le risposte a queste domande ultime. È inevitabile quindi che recuperino una dimensione di spiritualità e di trascendenza.
Chiudo con un’ultima riflessione che è anche un richiamo all’eventuale dibattito: Cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide è fondamentale.
La domanda che pongo a me stesso e a voi tutti è la seguente: se un’etica del dialogo, pur partendo da nobili presupposti, riesca ad elaborare un’etica forte o altrimenti solo un’etica minima.
E ancora: apprezzo il recupero della componente trascendente, a cui ha dato rilievo il prof. Fornero, perché il rischio della bioetica non è quello di perdere la componente umanistica, ma di portare avanti una deriva giuridica, dove il principio di autonomia, cui faceva riferimento il professore, non è “‘giocato” a livello antropologico-umanistico, bensì in altre sedi ed in altre aule. Il rischio concreto, con questa deriva di biogiuridica e di biodiritto, sta nel non andare nella direzione del bene della persona.
Abbiamo parlato spesso di modelli antropologici, di cui ci parlerà il prof. Stephan Kampowski, che affronterà questa tematica. Vi ringrazio.
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© Bioetica News Torino, Gennaio 2014 - Riproduzione Vietata