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Biomarcatori della sla, un possibile passo verso la diagnosi della malattia

26 Gennaio 2021

Sono stati identificati i potenziali biomarcatori correlati alla Sclerosi laterale amiotrofica in uno studio condotto dal Dipartimento di Scienze anatomiche istologiche medico-legali e dell’apparato locomotore dell’Università Sapienza di Roma in collaborazione con l’Istituto di ricerca Pasteur Italia.

LA SLA

Malattia neurodegenerativa, causata da una progressiva perdita dei motoneuroni, che controllano il movimento e l’attività dei muscoli, inclusi quelli della respirazione, porta nel giro di pochi anni alla paralisi e al decesso del paziente, eccetto alcuni casi nei quali la sopravvivenza è superiore ai 10 anni. Il registro nazionale delle Malattie rare (RNMR) presso l’Istituto Superiore di Sanità raccoglie 10 mila600 segnalazioni al 2016 di persone malate con Sla. Il trattamento terapeutico è legato soprattutto alla sintomatologia, di tipo farmacologico nel rallentare il decorso della malattia e vi sono in corso, da alcuni anni, ricerche sperimentali cliniche. Rientra tra le patologie autoimmuni perché si sviluppa un attacco ad alcuni componenti del sistema nervoso centrale, dovuta ad una reazione anomala delle difese immunitarie, confondendoli per agenti estranei.

Generalmente ne sono affetti le persone giovani adulte tra i 20 e i 40 anni; sono circa 122 mila diagnosticate in Italia.

LO STUDIO DELLA SAPIENZA E ISTITUTO PASTEUR

Lo studio citato, pubblicato sulla rivista internazionale Cell Death Discovery, di tipo longitudinale, evidenzia che sono stati tracciati i biomarcatori della sla, che possono essere inclusi per la diagnosi e prognosi della malattia. Si tratta di molecole di microRna non contenenti informazioni per la formazione delle proteine ma che risultano spesso alterate in alcune condizioni patologiche e che possono anche essere rilasciate nel sangue. Per il prof. Antonio Musarò si tratta del primo studio che quantifica «i miRNA circolanti nei pazienti con SLA e a farlo durante la progressione della malattia permettendo così di dare un significato prognostico a tre delle cinque molecole studiate e rappresenta una base da cui partire per mettere a punto dei test sierologici per la valutazione di queste molecole nelle persone affette da Sla». Una ricerca importante per la possibilità che offre nella sperimentazione clinica utilizzando «i livelli sierici di tali molecole per suddividere i pazienti secondo aggressività e velocità di progressione della malattia», prosegue Musarò dell’Unità di istologia ed embriologia medica alla Sapienza.

Alti livelli di miR-206, miR-133a e miR-151a-5p possono predire un declino più lento della funzionalità del paziente. Si è arrivati analizzando i livelli circolanti di cinque specifiche molecole miRNA – miR-133a, miR-199a-5p, miR-151a-5p, e miR-423-3p) nel siero, periodicamente raccolti ogni 3 mesi dai pazienti con Sla. Biomarcatori mediante i quali si può stratificare la gravità del progredire della malattia, si afferma nell’articolo scientifico, aperto al pubblico, della rivista citata, intitolato A longitudinal study defined circulating microRNAs as reliable biomarkers for disease prognosis and progression in Als human patients e pubblicato il 11 gennaio 2021; 7 (4).

Finora, afferma l’articolo, la ricerca si è incentrata nello scoprire i biomarcatori consistenti per la Sla ma «sfortunatamente  nessuno di questi sono stati di recente tradotti in uno strumento pratico diagnostico».

Hanno partecipato allo studio soggetti reclutati dall’Ospedale San Camillo – Forlanini di Roma, dal Policlinico Umberto I di ROma, dall’Azienda ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino e infine dalla Fondazione del Policlinico Umiversitario A. Gemelli IRCCS di Roma.

Lo studio internazionale dell’Università Vita e Salute

Uno studio che giunge dopo un mese a quello, sempre italiano, e a livello internazionale, dell’Università Vita e Salute del San Raffaele e l’Ospedale IRCCS San Raffaele in collaborazione con l’associazione italiana sclerosi multipla AISM e la sua Fondazione in cui emerge che è «il processo infiammatorio cronico che si sviluppa in corso di SM ad essere sul banco degli imputati e non le cellule che producono mielina. Un’infiammazione che c’è sin dall’emergere della patologia e che colpisce indiscriminatamente le cellule del sistema nervoso con cui viene a contatto, oligodendrociti o neuroni che siano. Da qui l’esigenza di sviluppare nuove terapie neuroprotettive in grado di bloccare il processo infiammatorio presente fin dall’esordio della malattia e la degenerazione dei tessuti che ne consegue che poi è la responsabile ultima dei deficit neurologici che si sviluppano».

Redazione Bioetica News Torino