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89 Giugno 2022
Speciale L'Arte al servizio della vita

Bioetica e cinema. Dal grande schermo alla musica. Il mondo musicale dei giovani

Molti film sollevano questioni bioetiche. Narrano cioè vicende controverse, ambientate in contesti clinici o di ricerca,  attraversate da problematiche morali relative all’eutanasia, la procreazione assistita, i trapianti, la genetica, l’allocazione delle risorse, l’aborto, la privacy, la comunicazione della verità, la morte, la sperimentazione, la qualità dell’alleanza terapeutica. In tali racconti vengono a conflitto valori, visioni del mondo, nozioni di malattia o di salute, ideali di medicina o di scienza.

Lo spettatore è sollecitato ad elaborare un’ opinione, a verificare la coerenza della soluzione proposta dal regista, a discutere le proprie tesi con altri. Questo esercizio argomentativo, apparentemente semplice, offre la possibilità di migliorare la conoscenza dei concetti e delle teorie etiche e le capacità di dialogo pluralistico. Nel contempo approfondisce la familiarità con il linguaggio cinematografico e con l’analisi narrativa, acuendo la percezione delle dimensioni affettive implicate.

Riflessioni tra immaginario cinematografico e realtà

Il cinema di qualità è divenuto un’importante risorsa nella formazione etica dei cittadini ed in particolare nel training umanistico di chi si occupa di sanità (le cosiddette medical humanities) e di chi insegna religione, in quanto coinvolge direttamente lo spettatore nel cuore di situazioni complesse, disegna rappresentazioni sociali e vissuti individuali emotivamente ricchi, apre prospettive inedite nella descrizione della realtà e dell’uomo  e svolge con coerenza narrativa alcune alternative comportamentali in merito alle quali occorre prendere una decisione nella vita reale.

Il cinema, come la letteratura in genere, mette alla prova le teorie morali generali e prepara, attraverso le sue finzioni, un’interpretazione più fedele del significato (anche religioso) dei gesti, delle storie, degli atteggiamenti su cui l’etica ha il compito di esprimere valutazioni razionali fondate e comprensibili.  Linguaggio estetico e sapere morale, etica narrativa e critica cinematografica interagiscono spontaneamente, con reciproco vantaggio. 

Negli anni trascorsi come professore ordinario di bioetica clinica alle Università di Firenze e Varese ho sempre trovato da parte degli studenti una grande risposta, attenta e partecipata. Penso che anche durante l’insegnamento della religione cattolica sia utile introdurre alla lettura di alcuni dilemmi morali in medicina, da quelli più comuni a quelli di frontiera, commentando film e opere musicali e collegandoli alla storia delle due arti. In arte, in etica e nella religione, alla fin fine, i problemi sono i medesimi! Di ciascuna pellicola recensita in una occasione specifica, sintetizzavo la trama, le parole chiave e una breve analisi valutativa. Il resto, lo faceva il dibattito e …lo Spirito.

La sclerosi multipla in Go Now (1996)

Farò ora la stessa cosa. Il caso clinico è l’insorgenza di una sclerosi multipla. Ne parla il film Go Now, Gran Bretagna 1996, regia di Michael Winterbottom, con Robert Carlyle e Julie Aubrey.

Un’attrazione scanzonata ed intensa lega due giovani di diversi ambienti: lui operaio edile, lei impiegata. Sono giorni felici, leggeri come gabbiani, spesi in un’innamorata  esplorazione reciproca. E poi il gruppo degli amici, il football, un nuovo senso di dignità nel lavoro, una promessa di convivenza. Ma compaiono i primi sintomi neurologici della sclerosi multipla di Nick (Carlyle). Lei, Karen (Aubrey), lo accompagna dal neurologo, assiste alla visita e agli esami strumentali ed ha i primi sospetti specifici.

Ė lei che esplicitamente interroga a tu per tu il medico, commentando: «ognuno di noi ha il diritto di sapere contro che cosa deve lottare». Un incidente d’auto obbliga ad approfondire le indagini cliniche e la verità emergerà in modo a tratti brusco e lacerante, a tratti lento, troppo lento. Reggerà la storia a due? Come accompagneranno gli amici la disabilità di uno di loro? E la famiglia di Nick come reagirà?

Ė un film sulla menzogna e sulla verità, sulla lotta al male tra resistenza e resa (le famose due cifre della teologia di Bonhoeffer), sull’amore tradito e sospeso, poi ripreso, un amore esigente e gravido di una promessa, di un “per sempre” e “a qualunque condizione”, sull’eros e la carità (mai divaricabili, nemmeno nell’amore che Dio ha per noi e che noi abbiamo per Lui, quando ne “abbiamo cura” come del nostro alleato indefettibile).

Il film ha una sua colonna sonora. In realtà ne ha due: l’altra è rappresentata dal gruppo di amici di lui, un coro scanzonato e irriverente che ha pietà senza cadere nel patetico, senza compatire, senza stucchevoli lacrime, poiché se un amico sta male, io sto male con lui, sto male per lui  e sto male io stesso, perché se lui manca, è come se mi avessero amputato di un arto, se mi avessero strappato via il mio pianoforte, il mio disco preferito, il mio udito.

Invero Invero ― ma qui devo andare veloce ― Go now come ogni altro racconto, allude a tre cose: 1. A un tema esplicito (la paralisi dovuta alla sclerosi neurologica); 2. Al regista, quale occhio narrante, che nel pensare e confezionare la storia ne ha patito cognitivamente e affettivamente (Winterbottom ha uno stile originale nel trattare la sofferenza); 3. Alla pratica narrativa, poiché un film sulla malattia rappresenta il cinema come una malattia, come un voyeurismo incollato su una poltrona di sala, paralizzato dal collo in giù, contagiato dalle immagini, trapiantato di quelle stesse immagini.

La quarta cosa (ma qui i teologi generalmente si tappano gli orecchi) è Dio: ogni film parla di Dio poiché annuncia che la verità sull’Essere è narrabile (e questa è già una buona novella) e che l’Essere stesso è interessato a venir immaginato e narrato (tant’è che ha mandato il Figlio come Verbo, ossia come racconto, come storia incarnata per vedere Lui, che nessuno ha mai visto) e che l’Essere amorevole che Gesù dischiude chiamandolo “Abbà” è un Essere che ama essere pensato e creduto come la fonte del narrare, anche quando cadono le metafore troppo umane di Dio sotto lo scacco del male ingiustificabile, del male genuino, del male intrattabile.

Ma dove si insegna teologia del cinema nelle Facoltà teologiche? Eppure Pasolini diceva che ogni film è un ritaglio, un cutting (nel senso gergale di montaggio) all’interno di un infinito piano sequenza e “infinito” è da sempre uno degli attributi divini.

La storia nella musica di A. Gavin e J. Tex

Non si fa consumo di buon cinema. Ė il cinema che consuma noi. Non si usa il cinema come strumento didattico, è il cinema che fa uso di noi, poiché noi siamo i racconti in cui crediamo, e siamo anche le musiche che ci incantano. In Go now le musiche sono di Alastair Gavin, un free lance composer, ma quella che ascoltiamo al minuto 20:50 circa è Woman like that yeah (Una donna come quella), è scritta e cantata da Joe Tex.

Man give a woman plenty of lovin’
Woman like that, yeah
And when man see woman cry
Man go to her and dry her eye…

Anche una composizione sonora è un racconto, nel senso che rappresenta una sequenza temporale di eventi sonori (suoni, rumori, voci, pause silenziose), legati da una trama unitaria di interesse umano.

Come scriveva il grande filosofo e musicologo T. Adorno, la musica non ha un significato univoco ma ha un senso riconoscibile e convincente quanto più è buona musica. Ha un aboutness ― come dice l’estetica analitica ― ed un’essenza artistica che trascende la carta su cui è scritta la partitura ed il legno più budello di cui è fatto il violino e l’archetto. La rivelazione di verità, che la musica ci concede, è nell’evento in cui il fruitore crede all’accadimento sonoro e lo capisce, percependo che esso parla di un tema, di uno stile, di un mondo personale, di un’atmosfera stilistica (Zeitgeist), di un essere (frammento dell’Essere) che è stato trovato/inventato (dal latino invenìre) prima che fosse possibile la separazione tra soggetto e oggetto.

Dunque i ragazzi e le ragazze, persi dietro la musica, sono sedotti da una verità, da un flauto magico, da uno strumento di Dio, per chi crede in Dio. Più che spegnere la musica e stare attenti ad altro, dovremmo chiedere loro di comporre musica e di indagare assieme a noi che cosa c’è dietro la coppia armonia-melodia. Qui c’è dietro Joe Tex, ossia Joseph Arrington Jr., nato a Baytown nel Texas nel 1933 e morto obeso nel 1982 a Navasota, cantante e rapper (dico rapper) afro-americano che nei decenni ’60 e ’70 parlava più che cantare adottando un tono popolaresco come le sue origini e sfidando il leggendario James Brown che gli rubò la moglie ricevendo in cambio la canzone You keep her, “Tienila!”. Interesserà a un’insegnante di religione sapere che Joe Tex cambiò religione e si convertì all’islam come Yusuf Hazziez. Fate un po’ voi i conti.

C’è la trama del film (che potrebbe essere muto). Poi c’è la trama sonora. Poi c’è la trama di Woman like that yeah. Dio non esiste come una sostanza immobile ma insiste come un ritmo che ti picchia nelle orecchie e ti scalda il cuore prima di capire bene perché, come e quando. Credigli e vai a vedere. Se ti vien voglia di vender tutto come nella parabola del mercante e della perla preziosa, se ti vien voglia di danzare senza vergogna come il re David rimproverato dalla moglie, forse è Dio, anche se non lo capisci (se lo capisci, dice S. Agostino, certamente non è lui). Tanto, se non canti tu, canteranno i sassi per te.

Bibliografia

Per approfondire:

CATTORINI P.M.,  Bioetica e cinema,  FrancoAngeli, Milano 2006
ID.,  Teologia del cinema,  EDB,  Bologna 2021
ID., Aver cura di Dio. Un’etica per resistere al male, San Paolo, Cinisello Balsamo  2022.

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