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Vaccinazioni Sars-CoV-2 per migranti: protezione della loro salute e di quella pubblica Raccomandazioni del Comitato nazionale di Bioetica in cinque punti

03 Maggio 2022

Per quanti si trovano nel nostro Paese come migranti, sia regolari o irregolari, nella situazione di richiedenti asilo o profughi, beneficiari di protezione umanitaria e temporanea oppure di rifugiato, che sono categorie vulnerabili a condizioni di marginalità sia economica sia sociale e sanitaria, il Comitato nazionale di Bioetica si è espresso all’unanimità nel presentare il proprio parere (pubblicato il 19 aprile 2022) al Governo sulla necessità di tutelare la salute di queste persone da Covid-19 e da altre malattie infettive e al tempo stesso quella pubblica.

Ha scritto alcune raccomandazioni articolate in cinque punti motivate da alcuni fattori: uno è che la pandemia «non solo accresce la rilevanza dei fattori che producono diseguaglianze in rapporto al diritto alla salute, ma anche aggrava le condizioni socio-economiche già sfavorevoli per determinati gruppi, rendendole un evidente fattore di rischio per il contagio e un determinante sociale della gravità degli esiti di malattia». Il sovraffollamento, spazi inadeguati e scarse condizioni igieniche concorrono a diffondere il contagio.

Un secondo fattore è legato alla possibile scarsa situazione vaccinale obbligatoria o raccomandata da malattie infettive come morbillo, poliomielite, tubercolosi, difterite, del loro paese di provenienza, che se a a bassa copertura può esordire in focolai epidemici e con il rischio di sviluppare il contagio nelle strutture di accoglienza.

Poi una condizione di svantaggio è certamente data non solo dalla mancanza di lavoro ma anche da una inesistente o poca familiarità linguistica del paese di accoglienza che li emargina e rende comunque per loro difficile il reperimento di informazioni sulle offerte di servizi sanitari e che aiutano a comprendere meglio come e perché sia importante l’osservanza di misure restrittive anti-Covid-19.

1. Diffusione dell’informazione sull’efficacia vaccinale anti-Covid-19

La difesa della loro salute e quella di quella pubblica poggia sui principi etici e costituzionali di uguaglianza e non discriminazione, giustizia ed equità sostiene il Comitato invitando di conseguenza il Governo a promuovere una campagna vaccinale dedicata in particolar modo ai migranti, adulti e minori, accompagnati da un familiare o soli, e ai gruppi particolarmente vulnerabili come i poveri, i senza tetto.

Sottolinea l’importanza di una informazione nella loro lingua riportando come esempio l’opuscolo della società pediatrica italiana (Sip) per le vaccinazioni in età evolutiva e il modulo del triage pre-vaccinale come guida al consenso informato in lingua ucraina.

I profughi ucraini, 96.989 al 19 aprile, hanno dovuto lasciare il loro Paese a causa della guerra e accolti in Italia sono soprattutto anziani, donne e bambini. Il problema è la vaccinazione obbligatoria o raccomandata che è limitata in Ucraina in cui il morbillo è endemico e nel 2021 sono stati segnalati casi di poliomielite, poi c’è la guerra in corso e solo il 35% risulta vaccinato da Covid-19.

2. Vaccinazione anti-Covid-19 ai migranti dai 5 anni in poi

Il Comitato sollecita rispetto delle indicazioni ministeriali per la vaccinazione dai 5 anni di età compresa dose booster per i soggetti con più di 12 anni.

3. Accoglienza speciale

Ai minori non accompagnati, donne, anziani, nuclei familiari monoparentali porre una maggiore attenzione

4. Mediatori culturali e interpreti

Alla somministrazione vaccinale preceda un consenso informato valido che tuteli i loro diritti nell’interlocuzione da parte medici formati e interpreti culturali.

5. Iniziative di promozione vaccinale

Il materiale sulle vaccinazioni sia tradotto in lingue diverse.

***

La Sip e i diritti dei profughi minori ucraini per la guerra in Italia

Un vademecum della società pediatrica italiana sui diritti alla salute a cui questi bambini, in fuga dalla guerra nel loro paese, hanno diritto.

  1. al pediatra di famiglia con l’assegnazione di straniero temporaneamente presente che riconosce loro gli stessi diritti dei bambini italiani
  2. visita medica per la valutazione del loro stato di salute generale, nutrizionale e identificazione di ectoparassitosi
  3. screening per covid-19 entro 48 ore dall’arrivo con tamponi nasofaringei antigenici o molecolari secondo la normativa e possibilità di essere vaccinati anti-Covid-19 dall’età di 5 anni
  4. vaccinazioni obbligatoria e raccomandata secondo il piano nazionale vaccinale
  5. screening per tubercolosi perché questa malattia è molto diffusa in Ucraina
  6. diritto all’ascolto fornendo sostegno psicologico e promuovendo il ricongiungimento familiare
  7. mediatori culturali nel settore sanitario
  8. consigliato un rapido inserimento dei profughi ucraini minori a scuola per apprendere la lingua madre del paese di accoglienza.

Uno studio italiano sulla differenza di impatto del Covid-19 tra cittadini italiani e stranieri

«Una diagnosi tardiva nei casi di cittadini stranieri può spiegare un peggior esito rispetto ai casi italiani» concludono Massimo Fabiano, Alberto Mateo-Urdiales et al. nel loro studio italiano dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato nel 2021 su European Journal of Public Health (e presentato anche su Epicentro dell’Iss), in cui hanno analizzato l’impatto della pandemia da Covid-19 in Italia su individui stranieri – migranti economici, viaggiatori di breve durata e rifugiati nel periodo tra febbraio e luglio 2020. Più precisamente hanno attinto i dati dal sistema di sorveglianza integrata dei casi Covid-19 confermati in laboratorio diagnosticati in Italia tra il 20 febbraio e il 19 luglio 2020. Per quanto l’analisi abbia diverse limitazioni, tra cui la completezza dei dati di sorveglianza, fa tuttavia considerare, come gli stessi Autori rilevano, l’importanza di assicurare quanto prima un accesso alla diagnosi e al trattamento per i cittadini non italiani che facilita il controllo di trasmissione del Sars-CoV-2 migliorando la situazione sanitaria di tutta la popolazione in Italia.

Dall’analisi su 213 mila180 casi di Covid-19 che comprendevano 15mila974 cittadini non italiani e tra questi 15mila 546 erano migranti regolari, è emerso che per questi ultimi casi la diagnosi è avvenuta in ritardo, circa due settimane dopo rispetto ai casi italiani, arrivando anche a 4 settimane per i migranti provenienti da Paesi a basso sviluppo umano (ISU, o indice di sviluppo per determinare il benessere di un paese individuato dalle Nazioni Unite). Gli Autori suggeriscono che nel nostro Paese i casi non italiani sono stati diagnosticati in un tempo meno tempestivo rispetto ai casi italiani, quando la malattia era in fase più avanzata e con sintomi più gravi. Si è anche riscontrato un aumento del rischio di morte tra i casi non italiani provenienti da Paesi a basso sviluppo umano. Del resto fanno notare gli Autori che un ritardo nella diagnosi è già accaduto per altre infezioni come la tubercolosi (Quattrocchi A. et al., Determinants of patient and health system delay among Italian and foreign born patients with pulmonary tubercolosis: a multicentre cross-sectional study, BMJ Open 2018).

Dai risultati emerge, affermano gli Autori, che «in questa fase della epidemia da Covid-19 in Italia i casi non italiani avevano una maggiore probabilità di essere ospedalizzati e ammessi all’Unità intensiva a confronto con i casi italiani e mostrando anche una probabilità maggiore del rischio di morte per infezione per quelli provenienti da paesi a basso sviluppo umano». E il ritardo nella diagnosi, associata a condizioni cliniche peggiori, potrebbe spiegare, proseguono Fabiano M., Mateo- Urdiales A. et al., «l’elevato tasso di ospedalizzazione, ammissione all’Unità intensiva e morte osservata tra i casi non italiani rispetto ai cittadini italiani in Italia, soprattutto tra quelli provenienti dai paesi a basso sviluppo umano».

I casi non italiani affetti da Covid-19 provenivano: da paesi a basso sviluppo umano prevalentemente dall’Africa centro meridionale e dall’Asia, da paesi a medio sviluppo umano come l’America centro-meridionale, i paesi europei esclusi dall’Unione Europea e il Nord Africa e infine per i paesi ad alto sviluppo umano in gran parte dagli altri paesi dell’Unione Europea. Sono stati diagnosticati prevalentemente nell’Italia del Nord e nelle aree urbane, in confronto ai cittadini italiani. Avevano un’età mediana attorno ai 44 anni, più giovane rispetto ai casi italiani, di età mediana sui 63 anni. Mentre la fascia di età che è stata più colpita tra i casi italiani riguardava gli ultra settantacinque anni con 68 mila circa casi tra i non italiani sono stati maggiormente colpiti i giovani sotto i 30 anni con 2.500 casi.

L’ospedalizzazione mostra 75.432 ricoverati tra i cittadini italiani e 4.884 tra quelli non italiani mentre l’ammissione all’Unità intensiva ha riguardato 9.066 cittadini italiani e 549 casi non italiani. E riscontrato che il tasso di ospedalizzazione era più elevato tra i casi non italiani (Adj. RR=1.39, 95% CI: 1.33–1.34) soprattutto in quelli provenienti da paesi a basso sviluppo umano e lo stesso per il tasso di ammissione alle unità intensive (Adj. RR=1.19, 95% CI: 1.07–1.32).

Quali i motivi che possono aver causato un ritardo nella diagnosi dei casi non italiani dello studio citato?

Innanzitutto gli Autori dello studio premettono che in Italia agli stranieri vengono concessi servizi di accesso alle emergenze e alcuni servizi ambulatoriali mentre quelli aggiuntivi compreso l’assegnazione di un medico di famiglia, sono legati alla residenza italiana con uno status documentato. Poi spiegano che a prescindere dallo loro status le barriere informali, ad esempio di tipo linguistico, amministrativo, giuridico, culturale e sociale, impediscono un accesso tempestivo ai servizi sanitari probabilmente dovuto ad una diagnosi fatta in ritardo. Ritardo che potrebbe essere dovuto durante la pandemia al timore della quarantena o isolamento che avrebbero inciso sulla loro attività lavorativa. In generale i migranti nel panorama internazionale hanno impieghi più in lavori dove viene richiesta una competenza minore.

(aggiornamento 4 maggio 2022 ore 15.40)

redazione Bioetica News Torino