Abstract
La proposta, tanto originale quanto impropria, dei due filosofi Giubilini e Minerva, ricercatori dell’università di Melbourne e membri della Consulta di Bioetica, di estendere il concetto, nonché la pratica dell’aborto, anche dopo la nascita, appare come una sfida assai spericolata, nei confronti sia della biofisiologia sia del diritto.
Gli autori, infatti, con l’autorità della loro personale scienza, danno per scontato che la condizione umana non solo del feto, ma anche del nato, risulti priva dello “status morale di persona”. Inoltre, essi utilizzano l’espressione “aborto” anche per il nato, sorvolando sulle differenze fondamentali che distinguono il “modo” di vivere del feto rispetto al nato. Condizioni estremamente distinte e diverse, che si realizzano nel brevissimo tempo del parto e che impongono al soggetto il brusco passaggio dalla condizione di dipendenza totale dalla vita biologica della madre a quella di una vita autonoma, che contempla profonde trasformazioni anatomo-fisiologiche e che, subito dopo il parto, il nato assume. E proprio sulla base di queste fondamentali differenze tra feto e nato, si adatta il profilo giuridico la cui norma viene applicata distinguendo in modo netto la morte provocata del neonato come delitto di “infanticidio” e non come interruzione di gravidanza.
Quanto allo “status morale”, gli autori non tengono per nulla in conto i riflessi condizionanti che derivano dalle consolidate acquisizioni scientifiche, secondo le quali il prodotto del concepimento, fino dal momento iniziale sviluppa un piano evolutivo del tutto unico e specifico: non è pertanto rilevabile nessun istante in cui la vita embrionale, fin dal suo inizio, manifesti caratteri di genericità condivisi con gli altri embrioni. Questo requisito di “unicità” e “specificità” della vita embrionale, che dunque evolve secondo un piano preordinato, non può non configurare un intrinseco status morale, indipendentemente dai livelli funzionali di questo vivente umano. Infine, appare sorprendente la mancanza, da parte degli autori, di ogni riferimento ai requisiti necessari a garantire l’acquisizione dello “status morale di persona”: quando e per quali condizioni questo “status” verrebbe acquisito dopo la nascita?
Aspetti biologici e bioetici
Giorgio Palestro19
L’uomo, di fronte alle scelte che riguardano i contenuti profondi della vita, il suo significato, il suo valore, l’unicità di ogni essere umano e dunque il concetto di “persona” e l’impegno alla sua tutela, non può esimersi dal ricorrere a riflessioni di carattere filosofico e teologico.
E nei rapporti tra filosofia e teologia si profila il confronto sostanziale tra i due ambiti distinti della ragione: quello ancorato al solo mondo mentale, che fa riferimento all’anima e al corpo, ma che prescinde da ogni principio di spiritualità conformante e quello che invece affida il mondo della propria esistenza, il corpo e l’anima, al coordinamento del principio sussistente dello spirito. Sono le due forme di razionalità a cui fa riferimento Benedetto XVI: «quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell’immanenza». Si tratta di una scelta che pone l’uomo «di fronte a un aut aut decisivo»20.
La proposta e la faticosa argomentazione dei dotti Giubilini e Minerva21, a proposito della invocata pratica dell’aborto post-partum, riflette la scelta totale della concezione immanentista. Posizione che, svincolata da ogni riferimento al trascendente, condiziona in modo sostanziale la visione dell’uomo, fin dal suo iniziale costituirsi, il suo significato, quindi il suo valore e di conseguenza ogni concezione bioetica che culmina nell’arbitraria valutazione del suo stato morale di persona. È una proposta che, nascendo da una semplificazione del valore e del senso della vita umana, mira a materializzarla e a finalizzarla al raggiungimento della «maggior quantità complessiva di utilità – intesa – come somma algebrica dell’utilità dei singoli individui»22.
L’argomentazione dei due ricercatori tradisce la fatica di essere convincenti per l’impossibilità di far quadrare incongruenze e criteri sostanzialmente non definibili in assoluto, come l’impossibilità di stabilire in modo obiettivo il momento in cui il soggetto realizza quelle facoltà che gli conferiscono lo status morale di “persona”.
Fra le incongruenze più evidenti, spicca la confusione tra feto e neonato: non si può parlare di soppressione di entrambi con la stessa espressione di “aborto”. Infatti le due condizioni di vita non sono paragonabili sia dal punto di vista biologico sia sul piano giuridico, che delle diverse condizioni biologiche tiene conto.
La vita umana, e non solo, dal concepimento alla morte per completamento del ciclo vitale, rappresenta un continuum evolutivo. Esiste cioè un processo vitale continuo, specifico e non interrompibile tra i due estremi. E in questa evoluzione, ogni momento completa quello precedente e genera il successivo in un divenire continuo, senza soluzione di continuità, secondo la logica del progetto inscritto, e non per tappe successive. Progetto che, fin dall’inizio della vita, per via della costituzione, pressoché immediata dopo il concepimento, dello specifico sistema informativo, che è il genoma 23, conferisce allo zigote caratteri assoluti di unicità, specifica identità e un nuovo e specifico orientamento teleologico alla formazione di un ben definito soggetto adulto24.
Inoltre, i blastomeri, cioè le cellule embrionali che risultano dalle prime divisioni dello zigote, fino allo stadio di 8 cellule, stadio pre-morulare, sono dotate di totipotenzialità, cioè ciascuna cellula è in grado di dare origine a un individuo completo geneticamente identico a quello prodotto dalle altre cellule25. Questa condizione, che porterebbe a negare la “natura biologica di organismo” all’embrione pre-morulare, per assegnargli la condizione di semplice “insieme di cellule”, non è risultata scientificamente valida. In realtà, l’embrione, in virtù del suo patrimonio genetico-informazionale, realizza una interazione che si attua inizialmente con il materiale extranucleare dell’ovocita e successivamente con le componenti dell’embrione (matrice extracellulare)26.
In sostanza, sulle basi di una dottrina scientifica ormai consolidata, nell’evoluzione del prodotto del concepimento non è stata mai individuata l’esistenza di un “tratto” della vita embrionale in cui esso presenti caratteri di genericità che siano condivisi con gli altri embrioni, pur nell’ambito della stessa specie, e che dunque ne renda accettabile la sua interruzione per mancanza di specifica unicità.
In linea con questo assunto risulta anche la posizione del Comitato Warnock27costituito dal governo inglese per valutare la legittimità biologica di utilizzare gli embrioni per la fecondazione artificiale, proposta da R. G. Edwards, il primo a realizzare la nascita di una bambina concepita in provetta28.Il documento sottolinea il principio della “non interrompibilità” del processo evolutivo embrionale. In esso è chiaramente indicato che, una volta iniziato il processo vitale dello zigote, non esiste stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro, nel senso che tutti sono parte di un processo continuo per cui se ciascuno di essi non si realizza normalmente nel tempo giusto e nella sequenza esatta, lo sviluppo ulteriore cessa.
È dunque intuitivo che una siffatta condizione vitale, con carattere di unicità, specificità e specifico orientamento di sviluppo, fa sì che già l’embrione disponga di una intrinseca condizione di “non interrompibile” prospettiva di “persona”, che prescinde da acquisizioni strutturali e funzionali che ne segnano unicamente il divenire senza modificazioni nella sostanza della sua esistenza.
Per quanto riguarda la vita intrauterina del prodotto del concepimento, pur nelle variazioni evolutive, che definiscono in modo caratteristico per la specie i diversi momenti della vita e che trasformano l’embrione nel feto, questi hanno un comune contrassegno biologico, a cui è connesso un riconoscimento giuridico: sul piano biologico, l’elemento fondamentale consiste nel rapporto “vitale” di dipendenza dalla vita materna, che ne condiziona in modo essenziale le funzioni vitali di base, che riguardano l’apparato respiratorio e cardiocircolatorio. Si tratta degli apparati di riferimento per tutte le altre funzioni che, appunto dipendono dalla quantità e dalla qualità del sangue che scorre nel prodotto del concepimento in tutte le fasi del suo sviluppo. Il rapporto materno è dunque vitale per il feto perché è la madre soltanto che provvede a rifornire il feto di sangue e di ossigeno, senza bisogno che esso metta in funzione il proprio sistema respiratorio, limitandosi a utilizzare e a distribuire, con il suo cuore, il sangue materno, il quale richiede una idoneità che solo la madre può garantire per la vita del feto.
La vita intrauterina caratterizza dunque un essere vivente con specifici aspetti funzionali che sono profondamente differenti rispetto a quelli che costituiscono invece il modo di essere e di funzionare del neonato, immediatamente dopo la nascita. Come è comunemente noto, il passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina avviene in modo estremamente rapido e in questo brevissimo lasso di tempo avvengono trasformazioni funzionali, che preludono a modificazioni morfologiche altrettanto fondamentali, degli apparati cardio-vascolare e respiratorio. Una delle più immediate e fondamentali conseguenze di queste trasformazioni è l’attività respiratoria, ora a totale carico del neonato. In sostanza, se alla nascita non si verificassero tali modificazioni, essenziali per garantire le funzioni vitali, il neonato cesserebbe di vivere. Perché ora egli è “solo” a intraprendere e a mantenere una vita autonoma, con le intuibili implicazioni psichiche, dettate dagli stimoli sensoriali, che questa nuova condizione comporta; necessita unicamente di un sostegno esterno protettivo, come d’altra parte in tutte le fasi della vita successiva, anche se in modi e forme diverse29.
Quanto al profilo giuridico, esso stabilisce le differenze fondamentali tra i due momenti della vita del feto nel suo passaggio alla vita extrauterina. Differenze a cui la norma giuridica si applica in modo nettamente distinto, considerando la morte provocata del neonato come delitto di “infanticidio”.
In sostanza, pur nella specifica continuità evolutiva che sta tra il prodotto del concepimento e l’estinzione per senescenza, va rimarcato che le differenze tra i due “modi di vivere” sopra descritti, non consentono di associare in una condizione analoga la vita fetale, fino al momento della nascita, e la vita dell’infante appena nato.
Ma l’arbitrio ostinato di molti, con sprezzo del rispetto proprio del significato dimostrativo della scienza, continua a pretendere di sostenere, attraverso meri assunti di principio, la mancanza di patente di diritto alla vita non solo più all’embrione fino al 14° giorno, con l’immaginifico e arbitrario, ma privo di ogni significato etico-biologico, concetto di pre-embrione, come sostenuto dall’embriologa Anne Mc Laren30, ma estende lo stesso principio perfino al feto e al neonato, al quale, per simmetria concettuale dovrebbe essere assegnato lo “stato” di pre-bambino. Si tratterebbe dunque di entità che condividerebbero lo stesso “status” morale di esseri umani ma di persone soltanto potenziali e non reali.
In conclusione, il “salto” tra vita in ambiente uterino e vita in ambiente esterno è dunque tale da non consentire alcuna identificazione tra le due condizioni. Bisogna allora violentare la fisiologia, oltreché il lessico giuridico, per parlare di aborto anche nei confronti del neonato. E qui spicca un’altra grave incongruenza: ci si deve chiedere quali siano i criteri per stabilire in modo accettabile l’estensione temporale del concetto di neonato: poche ore, giorni, mesi, e su quali “momenti” definiti si dovrebbe basare l’interruzione “abortiva” di un processo di “continuità” che passa, senza soluzioni dalla fase di embrione, a quella di feto, neonato, infante, adolescente…? A queste condizioni, per estensione del concetto, chi potrebbe impedire di considerare aborto anche la soppressione di un adolescente?
Infatti, oltre all’arbitrarietà del principio stabilito dai due “bio-scienziati”, per quanto insostenibile proprio sul piano scientifico, di considerare feto e neonato alla stessa stregua, ciò che sgomenta è la pretesa di perseverare nel mantenere lo stesso stile arbitrario nell’assegnare a un periodo dell’esistenza umana, tracciabile dalla vita intrauterina al periodo neonatale, la condizione di esistenza generica, senza i requisiti di “persona”, ma senza peraltro precisare quando tali requisiti vengano acquisiti, in modo da disporre di un riferimento sicuro al quale fare corrispondere una eventuale legittimità di una procedura di estinzione.
E se per essere “persona” si pone come condizione necessaria la consapevolezza della propria esistenza, ne consegue che gli individui che non sono ancora nelle condizioni di consapevolezza del valore alla loro stessa esistenza, come il feto e il neonato (e non solo nelle prime ore), così come coloro che, per intervenuti fenomeni regressivi della mente, tale consapevolezza hanno perduto, non sono, o non sono più, persone. Paradossalmente, pensiamo con raccapriccio che se Gesù fosse comparso sulla terra ai giorni nostri, gli sarebbe negato lo “status morale” di persona poiché, sul piano strettamente biologico, il suo processo evolutivo feto-neonatale ha ricalcato quello di tutti noi: in quella fase mancava la percezione di essere Dio; come ricorda Luca: «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». E dunque il carattere umano di Gesù necessitava ancora di quella crescita sapienziale, la cui evoluzione gli consentirà di percepire e sentire Dio in sé, come rimarca Benedetto XVI31:«Egli (Gesù) non vive in un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere».
Contestare lo status morale di persona al concepito nella vita intrauterina, così come al neonato, lascia dunque irrisolto l’impellente quesito di definire il tratto temporale in cui si diventa “persona”. Né esiste alcun esperto a cui affidare la soluzione del quesito, se non con assunti arbitrari.
Infine, affermare, in sostanza, il principio secondo il quale l’infanticidio, cioè non vivere, ha più senso che non l’offerta adottiva, significa inclinare la propria intelligenza verso una soluzione di drammatica memoria mengeliana.
19 Prof. Emerito di Anatomia Patologica e già Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Torino
Presidente del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino.
20 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009): AAS 51(2009), 641-709, par. 74.
21 GIUBILINI A., MINERVA F., After-Birth Abortion: Why Should the Baby lLve?, in «Journal of Medical Ethics», Online First (2012), http://jme.bmj.com/content/early/2012/03/01/medethics-2011-100411.full [21.03.2013].
22 Ibid., p. 4.
23 LEVINE M.S., HARDING K.W., «Drosophila: the zigotic contribution», in GLOVER D.M., HAMES B.D., Genes and Embryos, IRL Press, Oxford 1966, 39-89.
24 PEARSON H., Your destiny from day one, in «Nature», 2002, 418: 14-15; SERRA A., L’uomo-embrione. Il grande misconosciuto, Cantagalli, Siena 2003, 3.
25 COUGHLAN M.J., The Vatican, the Law and the Human Embryo, Basingstoke 1990, 69-70.
26 PEREDA J., CHEVIAKOFF S., CROXATTO H.B., Ultrastructure of a 4-cell human embryo developer “in vivo”, in «Human Reproduction», 4, 1989: 680-688; DALE B., GUALTIERI R. et al., Intercellular communication in the Early Human Embryo, in «Molecular Reproduction and Development», 29, 1991: 22-28; GUALTIERI R., SANTARELLA L., DALE B., Tight junctions and Cavitation in the Human Pre-embryo, in «Molecular Reproduction and Development», 32, 1992: 81-87.
27 DEPARTMENT OF HEALTH AND SOCIAL SECURITY, Report of the Committee of inquiry into Human fertilization and Embryology, London Her Majesty’s Stationary Office, London 1984, 65.
28 STEPTOE P.C., Edwards R.G., Birth after the reimplantation of a human embryo, in «Lancet», II, 1978: 366.
29 Ibid.
30 MCLAREN A., Embryo Research, in «Nature», 1986, 32-570
31 RATZINGER J., L’infanzia di Gesù, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, 146-147.
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